L'immagine di Menzo

1. “La mia immagine: sono un ex-portiere, sono giovane e sono nero, pertanto nessuno mi prende in considerazione”. Parole di Stanley Menzo, allenatore del Volendam primo in Eerste Divisie e principale indiziato per la promozione diretta nella massima divisione olandese. Comunque vada, l’ex numero uno dell’Ajax lascerà la panchina degli Andere Oranje (gli Altri Oranje) a fine stagione. Vuole di più, vuole un club di Eredivisie con ambizioni, vuole il giusto riconoscimento nei confronti di una carriera che si sta costruendo passo dopo passo, senza imboccare scorciatoie né corsie preferenziali alla Van Basten. I dilettanti dell’Afc Amsterdam, l’Agovv Apeldoorn, la nazionale olandese in qualità di preparatore dei portieri, quindi, dal 2006, il Volendam. Gavetta, in poche parole. Ma all’orizzonte di offerte non se ne vedono. “La mia immagine…”, continua a ripetere Menzo. Non riusciamo a dargli torto.
2. Lo chiamavano “De vliegende kiep”, il bassotto volante, quando indossava i guantoni e difendeva la porta dell’Ajax. Lo ha fatto per undici stagioni prima di venire giubilato da Louis van Gaal a favore dell’emergente Edwin van der Sar dopo una papera nei quarti di finale della Coppa Uefa 92-93 contro l’Auxerre. Ma Stanley Menzo rimane tutt’oggi il portiere più amato dai tifosi dell’Ajax, che non hanno mai mancato di tributargli calorosi applausi ogniqualvolta il nostro è tornato, in veste di avversario (un'amichevole tra Ajax e Lierse) o di ospite (la festa per il 50esimo compleanno di Johan Cruijff), a calcare il prato dell’Olympisch Stadion e dell’Amsterdam Arena. Non un fenomeno ma indubbiamente un ottimo professionista (la sua annata migliore fu la stagione 86-87, quando l’Ajax tornò a vincere in Europa battendo 1-0 il Lokomotive Lipsia nella finale di Coppa delle Coppe); non molti però sanno che il buon Stanley è un miracolato. Nell’estate del 1989 infatti un aereo modello SLM DC 8 che trasportava una selezione di giocatori olandesi, tutti di colore, diretti in Suriname per disputare un torneo amichevole contro la nazionale locale, si schianta sull’aeroporto Zanderij di Paramaribo causando la morte di numerose persone, tra le quali l’intera squadra e lo staff tecnico. E’ la tragedia del “Kleurrijk Elftal” (letteralmente “squadra di colore”, nomignolo che indicava appunto una selezione oranje composta da giocatori di origine surinamese), e quando il 12 agosto si ritorna in campo per l’inizio del campionato, la Eredivisie riparte senza Steve van Dorpel, Llyod Doesburg, Andro Knel, Ruben Kogeldans, Ortwin Ginger, Fred Patrick ed Andy Scharmin. Tra gli scampati invece Aaron Winter, Ruud Gullit e Frank Rijkaard, che non avevano ricevuto il permesso dai propri club, rispettivamente Ajax e Milan, di aggregarsi alla selezione, Winston Haatrecht, costretto a rinunciare alla convocazione in quanto impegnato con l’Heerenveen nella “nacompetitie” (i play-off salvezza/promozione), e proprio Stanley Menzo, che si era recato in Suriname con un volo precedente.
3. Non erano tempi facili per l’Ajax quelli sul finire degli anni Ottanta, tra scandali, squalifiche, insuccessi e tragedie. Di queste ultime abbiamo già parlato, riguardo al resto si passa dell’affare FIOD alla squalifica dalle coppe europee, per terminare con le quattro stagioni consecutive di digiuno (proprio come sta accadendo oggi) dalla vittoria del titolo nazionale. Lo scandalo FIOD è presto spiegato; nell’ottobre del 1988 i vertici del club finiscono sotto indagine da parte del Fiscale Inlichtingen en Opsporings Dienst, una sorta di agenzia di controllo fiscale, in merito ad alcuni pagamenti in nero di giocatori ceduti negli anni compresi tra il 1979 ed il 1985, per una vicenda che porterà alle dimissioni in blocco dei vertici societari e, cinque anni dopo, alla condanna da parte della Corte di Giustizia di Amsterdam al pagamento di due milioni di fiorini per frode. Il 27 settembre 1989 invece nell’incontro casalingo contro l’Austria Vienna, valevole per il terzo turno di Coppa Uefa, viene lanciata dai tifosi dell’Ajax una barra di metallo che colpisce sul capo il portiere austriaco Franz Wohlfahrt causando la sospensione dell’incontro sul punteggio di 1-1. Pesanti sono le sanzioni inflitte dall’Uefa; sconfitta dell’Ajax per 3-0 a tavolino, squalifica per un anno da tutte le competizioni europee ed obbligo di giocare, una volta terminata la squalifica, i primi tre incontri casalinghi in Europa ad almeno 300 chilometri da Amsterdam.
4. Infine il dominio del Psv di Guus Hiddink, spezzato solo al termine della stagione 89-90; il club della Philips perde Ronald Koeman per scelta di mercato e, nella seconda parte di stagione, Romario per infortunio (il brasiliano finisce ko contro l’Fc Den Haag, partita conclusa dal Psv con un perentorio 9-2, ma riesce comunque a laurearsi capocannoniere del campionato grazie una strepitosa media di 23 gol in 20 incontri, ovvero 1,15 reti a partita). Ne approfitta l’Ajax di Don Leo Beenhakker, rientrato alla base proprio quell’anno, che si presenta alla penultima giornata con due punti di vantaggio sui rivali. Gli ajacidi (Menzo, Wouters, Winter, Roy, il bomber svedese Petterson, i giovani gemelli De Boer, Dennis “Mister Class” Bergkamp e la futura meteora genoana Marciano Vink) ce la mettono tutto per regalare il quinto titolo consecutivo al Psv, prima pareggiando 2-2 contro il Roda al Watergraafsmeer, dopo essere stati sotto di due gol fino ad undici minuti dal termine ed aver riequilibrato la partita grazie a Jonk e a Willelms, entrambi entrati nella ripresa, poi 1-1 al De Goffert di Nijmegen contro un Nec alla disperata ricerca di punti salvezza (anche in questo caso è Wim Jonk a riequilibrare il risultato), ma questa volta il processo di auto-distruzione non arriva al suo pieno compimento, paradossalmente proprio grazie ai nemici di sempre del Feyenoord, che dalla palude di un anonimo undicesimo posto si regalano un improvviso scatto d’orgoglio imponendo al Psv un pareggio che indirizza definitivamente la Eredivisie sulla strada di Amsterdam.
5. Torniamo al presente con le parole del giovane difensore del Psv Dirk Marcellis, che in vista del quarto di finale di Coppa Uefa contro la Fiorentina ha dichiarato: “Spero che i viola facciano giocare Manuel Da Costa, così per noi l’incontro sarà più facile”. Non propriamente una dichiarazione di stima, ma del resto il difensore portoghese ad Eindhoven non ha lasciato grandi ricordi. Tecnicamente parecchi gradini sopra Marcellis, Da Costa cade rovinosamente dal punto di vista della mentalità; presuntuoso, supponente e poco concentrato in campo, il giocatore nato a Saint-Max, comune francese nella regione della Lorena, il 6 maggio 1986 da padre portoghese e madre marocchina, si è guadagnato una buona fama tra gli osservatori di calcio internazionale prima grazie a un ottimo torneo giovanile disputato a Tolone nel 2005 (giocava nel Nancy, si misero sulle sue tracce Paris Saint Germain e Inter), quindi per le belle prestazioni con la maglia del Psv in Champions League. Peccato però che il suo rendimento sia drasticamente calato in Eredivisie, dove ha accumulato errori banali e grossolani in quantità, tanto da finire in panchina per lasciar spazio al già citato Marcellis, disastroso fino allo scorso autunno, adesso in crescita, e al modesto ghanese Addo. Uno spreco di talento che a Firenze Cesare Prandelli può fermare. Fino ad allora alla seta pregiata di Da Costa continueremo a preferire la lana grezza di Marcellis.
6. In Italia dalla Eredivisie non si importa ormai quasi più niente, mentre dalla più modesta Jupiler League belga qualcuno tenta sempre di scovare il grande affare, spesso con risultati deludenti. Lo testimoniano i casi di Tony Sergeant e di Anthony Vanden Borre, per i quali però occorre fare un netto distinguo. Nel primo caso il flop è imputabile in maniera piena a chi ha avallato l’acquisto del giocatore ignorando completamente il contesto dal quale proveniva. Sergeant, centrocampista destro-centrale di spiccate propensioni offensive arrivato la scorsa estate a Bari (da cui è ripartito a gennaio per tornare in patria nel Cercle Bruges), era reduce da un paio di ottime stagioni con lo Zulte Waregem, squadra di semi-professionisti capace di passare nel giro di un paio di stagioni dalla Tweede Klasse belga alla vittoria in coppa nazionale, con tanto di qualificazione Uefa. Un miracolo e una bellissima storia, frutto però di una di quelle strane alchimie che a volte si manifestano all’interno delle squadre più improbabili, rendendole protagoniste di avventure uniche e irripetibili. In tali occasioni il valore del collettivo supera di gran lunga quella dei singoli, creando un amalgama pressoché perfetto che finisce però con l’amplificare le reali potenzialità dei giocatori. Fino all’età di 23 anni Tony Sergeant come primo lavoro faceva l’assicuratore. Fino al 2004 era un anonimo trequartista dell’Anversa. Indubbiamente per lui la Serie B è stata l’occasione della vita, ma davvero qualcuno poteva pensare che sarebbe stato l’uomo giusto per riportare il Bari nella massima serie? Curriculum, referenze e talento diverso invece per Anthony Vanden Borre, enfant prodige del calcio belga già a 16 anni nel giro della prima squadra dell’Anderlecht e della nazionale. Il ragazzo non ha trovato spazio a Firenze, e ne sta trovando poco anche a Genova con i rossoblu di mister Gasperini. Lo scorso autunno però è stato colpito da un gravissimo lutto. Ad appena 20 anni, lontano da casa, tutto diventa ancora più difficile. Merita rispetto e pazienza. Per il termine flop aspettiamo almeno fino alla prossima stagione.

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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