Ancora con l'Ottantadue


Perché il Mondiale 1982 è qualcosa che nemmeno il trionfo in Germania ha spazzato via dall'immaginario collettivo? Perché eravamo tutti più giovani, sicuramente, ma forse anche perché le vittorie che restano nella memoria storica di un popolo non sono tutte quelle con coppa alzata, ma solo quelle che segnano una svolta, un passaggio, un riscatto. Pensieri profondi, che ci sono tornati alla mente ascoltando il discorso elettorale di Walter Veltroni a Crotone, durante il quale il leader del centrosinistra (sì, non si chiama più così) ha paragonato il Partito Democratico all'Italia del 1982, raccontando di avere ricevuto qualche tempo fa una telefonata di incoraggiamento nientemeno che da Enzo Bearzot, e più di recente a Matera la visita di Franco Selvaggi, lo Spadino che fu convocato per non mettere pressione a Paolo Rossi (con Roberto Pruzzo, capocannoniere della serie A per la seconda volta consecutiva, lasciato a casa). Missione compiuta, con zero presenze. Veltroni voleva far intuire una rimonta del PD nei sondaggi, mentre al di là delle battute su Ronaldinho e sul figliol prodigo Shevchenko, le metafore calcistiche di Berlusconi nemmeno si contano più. Ma perchè torniamo sempre a quel successo? Arrivato dopo due cicli mondiali in cui i nostri club, Juventus a parte, in Europa non andavano mai oltre i primi turni delle tre coppe (in particolare, nel 1981-82, nessuno arrivò ai quarti), dopo un decennio politico di terrorismo ed uno economico di austerità. Due anni fa l'Italia di Lippi arrivava sì da Calciopoli, ma era anche formata da giocatori consapevoli della propria forza. Forza certificata da Champions League e riconoscimenti di ogni tipo, superiore anche alla cattiva congiuntura in attacco con Totti convalescente e uomini-gol senza ispirazione schillaciana. Non si può spiegare il culto del 1982, che ha anche abissi retorici insopportabili (siamo gli unici a non riuscire più a guardare Sfide?), con l'Argentina di Maradona, il Brasile di Zico, la Polonia di Boniek (peraltro in semifinale senza Boniek) e la Germania Ovest di Rummenigge, come se Shevchenko, Ballack e Zidane fossero mediaticamente delle comparse. Eppure è spesso così che si fa, in linea con la poetica del calcio di una volta che era sempre meglio. Ripensandoci, nel 1982 avevamo tutti più fame di grande calcio ancora più che di grandi vittorie: non ci ricordiamo un solo bambino della generazione Subbuteo che tifasse contro l'Italia, mentre ne abbiamo visti troppi (per tacere degli adulti) della generazione Playstation che ragionavano per milanismi, romanismi, interismi, eccetera. I po-po-po hanno funzionato al momento, poi ci è rimasta un'Italia senza fame (di calcio, almeno) e senza futuro.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

stefano, oggi non sono d'accordo con te, penso che per i 15enni di oggi il "mondiale" per antonomasia rimarra quello del 2006, penso che Fabio Grosso nel 2030 sarà al posto di Dossena nelle telecronache Rai, insomma il mondiale viene mitizzato in base all'età in cui viene vissuto. Per esempio il mio mondiale del cuore è usa94 e Baggio che segna alla Nigeria l'immagine simbolo, avevo 12 anni era tutto più bello.

Anonimo ha detto...

Condivido quello che dice anonimo. Da bambino ascoltavo mio padre che parlava di Skoglund e Nordhal come dei miti, ma per me erano solo delle vecchie foto sfocate in bianco e nero. Per me il calcio era Rivera. Sono cresciuto con lui e quando ha smesso mi sembrava incredibile che tutto potese continuare come prima.
Sul mito dei Mondiali '82 non peserà anche il fatto generazionale dei giornalisti sportivi?

Kubinski

Stefano Olivari ha detto...

Mi permetto di non essere d'accordo con chi...non è d'accordo. La vittoria del 1982 fu mitizzata anche al momento e nei mesi immediatamente successivi, anche senza il bisogno dell'effetto nostalgia. Se le squadre del tuo paese, non necessariamente la tua squadra, vanno quasi regolarmente in fondo in Champions League, il Mondiale e le competizioni per nazionali assumono un altro fascino. Poi i discorsi generazionali contano, non c'è dubbio.

Anonimo ha detto...

Non per fare la figura del maniaco sessuale, ma se fosse la sindrome della "prima volta"? Voglio dire, nel 1982 quasi nessuno sapeva cosa volesse dire vincere i Mondiali. Il 1938 era lontanissimo e vincere i mondiali era una cosa sognata, desiderata, bramata, ma mai vissuta dal vero. Nel 2006 era diverso. Si potevano fare confronti... "E tu dove eri nell'82? ... E ti ricordi i gol di Paolo Rossi?... E ti ricordi la partita con il Brasile?" ecc. ecc.

Kubinski

Kubinski

Stefano Olivari ha detto...

Stiamo dicendo la stessa cosa...

Stefano Olivari ha detto...

Dal 1974 al 1982 solo la Juve aveva dato segni di vita in Europa, è logico che anche uno Smolarek o un Buncol qualunque venisse mitizzato. Non diciamo Maradona...

Anonimo ha detto...

sono il primo anonimo. Penso che anche la vittoria del 2006 è stata immediatamente mitizzata, non c'ero nell'82 (sono nato 4 mesi dopo), ma l'effetto mitizzazione è partito subito pure stavolta. Caressa che scrive il libro manco avesse vinto lui i mondiali, i milioni di video su youtube, le suonerie e alti mille esempi ne sono la dimostrazione.
una cosa, stefano: Ma perchè non è più arancione l'indiscreto?! é un po come se la gazzetta diventasse verde per l'uscita di Shrek! saluti federico

Stefano Olivari ha detto...

Indiscreto è diventato un blog giornalistico personale, qualcosa doveva cambiare...poco a poco caricheremo tutti vecchi pezzi, comunque...l'attività primaria è La Settimana Sportiva, in sintesi sono sempre io...

Anonimo ha detto...

Pienamente d'accordo con quanto scritto nell'articolo... sarà la vecchiaia incombente (classe 66) ma trovo che Spagna 82 abbia uno spessore COMPLETAMENTE diverso.