1. Il personaggio della settimana è un tecnico che, nel suo passato di giocatore, è stato votato miglior talento olandese anno 1984 davanti a Marco van Basten e Gerald Vanenburg, ha disputato la sua prima stagione da titolare sostituendo nientemeno che il Maestro Cruijff, appena ritiratosi, quale numero 10 del Feyenoord, e in Serie A si è tolto la soddisfazione di segnare un gol (al Messina) da oltre cinquanta metri. Stiamo parlando di Mario Been, talento mai pienamente espresso del calcio oranje a causa di un approccio alla professione piuttosto frivolo e scanzonato. In Italia ricordiamo un’esperienza in chiaroscuro nel Pisa. In Austria c’è andato semplicemente per godersi lo splendido panorama con vista su Innsbruck gentilmente offertogli dal Tirol. In patria, dopo un Mondiale under-20 in Messico che gli aveva precocemente cucito addosso l’etichetta di campione (ancora oggi viene ricordato l’incontro di esordio degli oranje a Guadalajara, avversario il Brasile di Bebeto e Dunga, quando “Mariodona” saltò in dribbling tre difensori verdeoro per poi segnare con un morbido lob), ha vivacchiato tra la media borghesia (Feyenoord, Roda) e il proletariato (l’Heerenveen di quegli anni, l’Excelsior di sempre) accontentandosi di acquisire lo status di giocatore di culto, idolo di una città (Rotterdam) e dei suoi dintorni. Proprio da lì è cominciata la sua carriera da allenatore, per molti un puro vezzo legato al personaggio, perché cosa avrebbe mai potuto combinare un talentuoso simpaticone amante dello scherzo di gruppo e della bevuta in compagnia? In quattro anni Mario Been ha riportato l’Excelsior in Eredivisie, ha partecipato al Mondiale 2006 in qualità di assistente di Leo Beenhaaker sulla panchina di Trinidad e Tobago e ha ridato dignità sportiva ad un Nec Nijmegen sull’orlo dell’abisso economico nonché sportivo. In Italia diciamo celebrare le nozze con i fichi secchi; un’occhiata all’attuale rosa del Nec rende bene l’idea. Eppure nella seconda parte della stagione, dopo un inizio traumatico (e in questo caso merita un plauso la dirigenza dei rosso-nero-verdi, paziente anche nei momenti più bui, vedi l’uscita in coppa d’Olanda contro lo Zwolle), il Nec ha viaggiato a ritmi da scudetto, con nove vittorie raccolte nelle ultime undici partite. Dalla zona calda ai play-off Coppa Uefa, con qualche discreto prospetto messo in vetrina. I nomi? Jermaine Lens, Brett Holman e Youssef El-Akchaoui. Gente che, alla pari del proprio allenatore, meriterebbe una chance di maggior spessore.
2. Con Van Basten all’Ajax, Stevens al Psv Eindhoven, Verbeek al Feyenoord e Sollied all’Heerenveen, per Been si prospetta almeno un’altra stagione a Nijmegen, salvo eventuali scossoni in quel di Alkmaar. Lui però non se ne fa un cruccio, dal momento che il suo sogno rimane quello di allenare una squadra italiana. Il Belpaese nel cuore, come molti stranieri passati dalle nostre parti. Un piccolo motivo di vanto in una terra per il resto sempre più deprimente, soprattutto durante la campagna elettorale. Non sono deprimenti invece i ricordi del periodo italiano di Been, come recentemente affermato in una bella intervista: “Pisa è stata un’esperienza fantastica, nonostante alla mia prima stagione fossimo retrocessi in Serie B. Ma c’era quel presidente, Romeo Anconetani, una persona incredibile. Veniva a vedermi personalmente al De Kuip a Rotterdam perché si era innamorato, professionalmente, del sottoscritto, tanto che al Feyenoord qualcuno mi consigliò di chiedere almeno il doppio dello stipendio che mi avrebbe proposto, e lo avrei ottenuto. Al mio arrivo in Toscana trovai un sacco di tifosi ad aspettarmi, perché una tv locale aveva mandato in onda un video con il meglio del mio repertorio e probabilmente mi consideravano un fuoriclasse. Diciamo che qualcuno aveva esagerato un poco, però fu divertente, così come quando mi portavano a fare il giro di tutti i più costosi negozi di abbigliamento, che saccheggiavo letteralmente. Poi, se vincevamo, pagava Anconetani, mentre in caso di brutto risultato, cioè spesso, si infuriava e ci spediva subito sul bus della squadra e quindi di corsa al campo di allenamento. Ma signor Anconetani – dicevamo –, non abbiamo nemmeno un paio di mutande di ricambio. Lui non rispondeva, poi il giorno seguente ci faceva recapitare una decina di indumenti di biancheria intima nuovi di zecca. Quell’uomo viveva per la squadra, era la passione fatta persona. Una volta invece pareggiammo 0-0 a San Siro contro il Milan di Gullit, Van Basten e Rijkaard, e al ritorno a Pisa trovammo dieci-quindicimila persone ad attenderci, per una festa che oggi si fa solo in caso di vittoria in qualche coppa europea. Poi arrivò la Serie B e, all’inizio della terza stagione, un brutto infortunio. Allora erano permessi solo tre stranieri per squadra, pertanto decidemmo di comune accordo con la società la mia partenza per lasciare il posto al neo-arrivato Josè Antonio Chamot. Ma una città come Pisa non si dimentica”.
3. Nec Nijmegen ai play-off di coppa Uefa, si diceva, a patto che mantenga l’attuale posizione in classifica. Una situazione che non potrà più verificarsi la prossima stagione, dal momento che la Federcalcio olandese ha deciso di togliere questi spareggi di qualificazione alle coppe europee introdotti un paio di anni fa. Un’appendice che possiede indubbiamente un suo fascino, specialmente nei play-off Champions League (vi partecipano le classificate dal secondo al quinto posto), ma che non rispecchia i veri valori espressi dalla Eredivisie. Finisse infatti oggi il campionato ci potrebbe essere la possibilità di avere l’Heerenveen (quinta classificata) in Champions League, il Nec (nono) in Uefa e l’Heracles (tredicesimo) in Intertoto. Poi non ci si può lamentare se l’Olanda è scivolata (salvo exploit dell’ultima ora del Psv Eindhoven) dal settimo al nono posto del ranking Uefa per le coppe europee, superata da Russia e Romania. Per un campionato però che torna alla semplicità della regular season, c’è una coppa che minaccia di veder introdotte partite di andata e ritorno. La spinta, ovviamente, arriva dalle grandi squadre, mosse dal malcelato fine di cautelarsi da figuracce che potrebbero puntualmente verificarsi in un qualche piovoso mercoledì novembrino sul campo dell’Omniworld piuttosto che dell’Haarlem di turno. “Una pessima idea”, ha sentenziato Johan Cruijff dalle colonne del De Telegraaf. Vista l’aura da cui è circondato l’ex Nummer 14 in Olanda, potrebbe bastare questa bocciatura a far affossare il progetto. Se qualcuno continuasse però ad avere dei dubbi, lo inviteremo a vedere qualche partita di Coppa Italia.
4. “Per Kluivert è finita”. Così si leggeva sull’Equipe qualche settimana fa. E fanno quattro; dopo Valencia, Newcastle e Psv Eindhoven, adesso il Lille, per il quarto flop consecutivo. La Ligue 1 doveva essere il posto giusto per ricominciare, la scommessa da vincere a tutti i costi; nel 4-4-1-1 disegnato da Puel per Patrick Kluivert era pronto un ruolo da numero 10, rifinitore alle spalle del Mirallas o del Frau di turno. Tutto inutile. Una manciata di presenze, quattro reti (la prima al Valenciennes, quindi Olympique Marsiglia e doppietta al Rennes) e tanta panchina mista a tribuna. Soprattutto però una frase che pesa come un macigno: “A volte in allenamento, più raramente in partita, capita quell’azione, o quel tocco, che ti fa capire come un tempo Kluivert sia stato un giocatore eccezionale”. Un giudizio che andrebbe bene per un 50enne. Patrick Kluivert di anni però ne ha solo 31, eppure sembra già appartenere al passato. Un ferrovecchio, che però detiene tuttora il primato di miglior marcatore di sempre nella storia della nazionale olandese, nonostante non la frequenti ormai da quasi quattro anni (l’ultimo cap è datato 5 giugno 2004, Olanda-Irlanda 0-1). Un record non certamente costruito a suon di triplette contro Lussemburgo e Malta, bensì attraverso due campionati Europei (6 reti in totale) e un Mondiale (con 2 centri). Senza dimenticare la Coppa Campioni vinta a 18 anni con l’Ajax grazie ad un suo guizzo, il Milan arrivato troppo presto, le grandi annate a Barcellona. Una storia utile, la sua, che andrebbe raccontata nelle scuole calcio come monito per frenare pulsioni tutto sommato naturali ad una certa età. La bella vita piuttosto che quella da atleta, le piste da ballo invece che il manto erboso di un campo di calcio, mai come oggi esiste libertà di scelta. Se poi, superata la soglia delle trenta primavere, vi troverete a far da spettatore sulle tribune del Métropole nella grigia Lille, saprete però a chi dare la colpa.
5. C’è una nuova band in città, il duo Royston & Rio, all’anagrafe Royston Drenthe e Ryan Babel, che ha esordito nel mondo discografico con un singolo, “Taki Taki”, in collaborazione con il rapper U-niq. Hip-hop duro e puro, quindi apprezzabile da un limitato numero di ascoltatori, tra i quali non ci includiamo. Ma se le performance canore dei due si rivolgono a pochi intimi, quelle in campo sono godibili per tutti. E la prossima estate Royston & Rio dovranno ballare parecchio sul rettangolo verde. Ad attenderli, Euro 2008 e le Olimpiadi di Pechino, crocevia importanti delle loro ancora giovani carriere. Per il rap c’è sempre tempo.
Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it
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