Uomini in Carrera

di Simone Basso
Quel nome, nel 1992, divenne celebre: un altro Mario Chiesa, il mariuolo craxiano del Pio Albergo Trivulzio, inaugurò suo malgrado il terremoto di Tangentopoli. Anche in questo particolare beffardo sta il tremendismo del Mario Chiesa giusto, lo sfregaselle della Carrera dei tempi che fu.

Ricordando il biondino, e gli altri martinitt della vittoria, vorremmo glorificare il ruolo più indispensabile e poetico dell'epos ciclistico, ovvero quello del gregario. Il Mario nei pro vinse una sola gara, per sbaglio naturalmente, ma corse tantissimo: rappresentò alla perfezione lo stereotipo ingrato del cavallo da tiro. Ebbe il privilegio di farlo in un'epoca, Epolandia ascensionale, già liberata dalla schiavitù dei kamikaze dell'imperatore: perchè, nell'età dell'oro precedente, al luogotenente veniva impedita qualsiasi dignità professionale. Una specie di servo della gleba ciclistico. Allora, per festeggiare la libertà condizionata, gli ex intoccabili alla Chiesa cominciarono a raddoppiare le fatiche: da una parte il servizio militare per il capitano, dall'altra gli esercizi di fuga per la vittoria, nei giorni di licenza dal fronte.
Il bresciano fece l'intera carriera con Davide Boifava, al servizio dei campioni più scapigliati ed anarchici del gruppo: il Chiappucci e il Pantani. Servirli fu quindi un'impresa titanica, considerando il sacro fuoco agonistico dei due e, soprattutto per il Diablo, il disordine tattico a volte suicida. Fedele scudiero del Chiappa, in un'occasione dichiarò il suo smarrimento di fronte alle pazzie del capitano: "E che vuoi fare? Lo lasci andare e speri in Dio. Lui va, ma quando? Non lo sappiamo neanche noi, questo è il bello...". Il Mario allora scappava pure lui, con gli occhialini posati sulla fronte, verso imprese impossibili: accumulò centinaia di chilometri in tentativi disperati ma allegri, punto di riferimento crudele per l'avanzata cinica e inesorabile del plotone. La scienza quasi esatta del ricongiungimento deve molto agli esperimenti effettuati con il Chiesa; una cavia perfetta perchè passista d'ottima fattura, con il rapporto lungo come credo filosofico. Sulle doti da camoscio invece non appulcriamo verbo: più di una volta finì le corse con la tribunetta già smontata...
Il suo valhalla fu a Milano, nel circuito cittadino che concluse il Giro 1995: a 60 chilometri dal traguardo se ne andò via in compagnia di Teteriuk e Molinari. Inseguiti dalla muta di dobermann dei velocisti, gli altri due si arresero: il Chiesa no! Fece un gesto atletico incredibile; a cinquantacinque all'ora contro gli squadroni che lo inseguirono a pancia in giù, senza pietà: la pedalata da veltro disperato, l'acido lattico anche nei pensieri. L'impresa utopica si risolse, beffarda, sotto il triangolo rosso dell'ultimo chilometro: con tanti, ma tanti, saluti ai sogni di gloria. Vinse incredulo, era il 1990, il Trofeo Matteotti; gli altri, per una volta, sbagliarono i tempi del riaggancio: o forse, considerando la canicola africana di quel dì, si sciolsero sotto quel sole impietoso.
In quella Carrera, la razza benedetta degli sgobboni ebbe folta rappresentanza; con loro la classe operaia andò almeno in purgatorio. Collega di trenate con il Chiesa, Giancarlo Perini fu il principe dei gregari: entrò nella storia quando, in Spagna, tirò la volata del clamoroso bis iridato a Gianni Bugno. Una beffa, se si pensa ai rapporti tempestosi tra il gruppo Boifava e la Gatorade di Stanga. Nota di folclore per sponsorizzare gli esegeti del famoso gruppo: se riguardate le foto dei festeggiamenti in piscina di quella sera, non cercate il Chiappucci...Il Pero, Duca di Benidorm, del cavallo da traino ebbe tutto; dal physique du role, con quella pelata che luccicava, al curriculum zeppo di piazzamenti onorevolissimi, con il Gronchi rosa di un ottavo posto finale al Tour 1992. Corse per dodici anni senza uno straccio di vittoria e poi, all'improvviso, la "tragedia": si impose, in bello stile, in una tappa del Giro di Puglia 1993. Il suo fedelissimo fan club, con un gesto che può avvenire solo in questo sport, decise di sciogliersi per festeggiare l'evento
Lasciando stare i ronzini che ebbero momenti degni di Varenne (Ghirotto e soprattutto Tafi), con quella maglia si esibì anche l'inenarrabile Fabio Roscioli. L'incubo vivente di un paio di generazioni di ciclisti pigri, la maledizione dei gerarchi della pedivella; il marchigiano vinse qualcosa, ma ancora più del palmares contarono le doti gladiatorie esibite. Rouler indomabile, passò una carriera intera a testare i limiti: i suoi, fisici, e quelli della pazienza degli sceriffi, che alcune volte avrebbero voluto strangolarlo. La sua giornata da mattatore fu alla Grand Boucle 1993, in una maratona verso Marsiglia: centottanta chilometri di assolo, uno dei più belli del decennio. Il Fabio ci prese gusto e si immedesimò sempre di più nel ruolo; quello dell'assaltatore guastafeste. Il periodo rosso, nel senso di Picasso e dei tori, aggiunse vittorie (e fama) all'eterno fuggitivo. Due momenti di quell'epoca si iscrissero nella mitologia ufficiosa del ciclismo: alla Vuelta 2000 fuga solitaria quasi in porto, con la minaccia incombente dell'Alto de Xorret prima dell'arrivo. Più che una salita, una tortura dell'inquisizione spagnola. Il nostro forò e (nella concitazione) cambiò mezzo, adottandone uno con una moltiplica standard: sulle rampe finali, roba da ventisei se scalatori provetti, si impiccò letteralmente. Una scena commovente e assurda, col Rosciolì che non trovò di meglio che zigzagare ai sette all'ora per non mettere il piede a terra: durante l'inedita via crucis, con il 23 come condanna, perse sette minuti in sei chilometri, qualche mese di vita e, naturalmente, la tappa. Ma l'Iginio Tarchetti della fuga estrema compì il gesto simbolo, e sintesi, della carriera a una corsetta iberica primaverile: scappò, scattando in faccia al gruppo sonnolento, PRIMA del chilometro zero. La rassegnazione dei colleghi si manifestò con un coro internazionale di bestemmie...
Trovateci soggetti più interessanti di Chiesa e dei suoi fratelli, non solo nel ciclismo, ma nell'intero scibile sportivo: la superiorità filosofica e concettuale della pedivella sta tutta qui. Il campionismo, bruttissima malattia, non riguarderà mai questi personaggi romantici, che ci spiegano in silenzio il significato di tutto. Francamente gli ordini d'arrivo sono una scusa, ciò che più ci interessa è il senso di quei gesti: non c'è metafora esistenziale più potente di un gregario che sputa l'anima per arrivare novantaseiesimo. E' lui che rappresenta al meglio lo spirito di questo rito pagano. I campioni divi lasciateli soli con il loro castello di sabbia: molte volte, troppe, sono espressione di un egoismo e di una cattiveria rivoltanti. Sulla strada ruvida, che ti regala quella sensazione di libertà negata da stadi e palasport, attendiamo trepidanti i nostri veri eroi: quelli con un quarto d'ora di ritardo, gli antidivi come Mario Chiesa, che applaudiamo come fossero nostri figli.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

11 commenti:

GuusTheWizard ha detto...

@Simone
Già non sono un appassionato di ciclismo, ma dopo "appulcriamo" ho dovuto abbandonare per manifesta inferiorità ...

kalz ha detto...

La vera grande forza mitologica del ciclismo stava nei gregari e soprattutto nelle facce dei corridori. Perini è stato uno degli ultimi gregari, in senso lombrosiano. Almeno fino a qualche tempo fa. Adesso hanno tutti la stessa faccetta: ciclisti, cantanti, disk jockey, professionisti in carriera, esperti di IT, blogger. E così il mito è andato a farsi fottere e con lui temo anche il ciclismo.

Simone ha detto...

@GuusTheWizard:trattasi di neologismo da barricata.
E' un peccato che tu abbia abbandonato la lettura proprio in quel momento:il senso del pezzo sta nel suo epilogo.

@Kalz:sull'aspetto lombrosiano del Duca di Benidorm sono d'accordo.
Però alcuni sgobboni da parata,almeno nel ciclismo, persistono perchè indispensabili.
E' poi vero che non vengono valorizzati da certo ambiente.
Prendi Tiralongo(un nome,un destino..), messo da parte da un Cunego poco lucido.
Nel 2010,alla faccia di Saronni e del Principe,sarà la spalla di Contador...

GuusTheWizard ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
GuusTheWizard ha detto...

@Simone
... vedi che sono io ad essere un pò "tardo". Adesso lo rileggo con calma ...

gaby69it ha detto...

Da cicloturista di 1.87 x 80 kg,senza speranze in salita,il Roscioli che zigzaga con il 23, rende il mio zigzagare con il 30-26 sul San Pellegrino in alpe,molto piu' sopportabile.Grazie per aver spiegato in tre parole la "bellezza" della fatica,che si puo' capire,solo dopo aver zigzagato per 2 km al 20%

Gabriele

Simone Salvador ha detto...

Ciao Simone, da poco tempo ho scoperto il vostro blog (ne gestisco uno anch'io in cui parlo di vari temi sportivi: http://simonesalvador.blogspot.com/). Posso solo farvi i complimenti per la qualità dei post. Io sono nato nel 1982 e mi sono innamorato subito del ciclismo. Lo amo anche adesso, nonostante tutto. Mario Chiesa me lo ricordo in una fuga interminabile alla Milano-Sanremo. Anche Roscioli era un grande sgobbatore o sfregaselle. Volevo citare altri ciclisti di quegli anni secondo me straordinari per coraggio e determinazione. Franco Vona, scalatore laziale della MG Technogym e Michele Coppolillo, sfregaselle calabrese. Senza dimenticare qualche anno dopo l'impresa di Eros Poli, passistone da 80 e passa chili che si impose nella tappa del Mont Ventoux. Meriterebbero tutti un bel post.

Simone ha detto...

@Gaby69it:molte grazie Gabriele.
Io,che in forma agonistica pesavo 64 chili,potrei testimoniare quanto fossero temute le rampe improvvise e cattive.
Ai tempi del 42 come padellino da salita e con i rapporti obbligatori del ciclismo giovanile.
Il San Pellegrino in Alpe?
Gran bella salita,la ricordo al Giro 1989.

@SIMONE SALVADOR:thanks!
Mi fa piacere ciò che scrivi:ricordiamoci sempre che senza antid****g, non c'è d****g...
Pensa che ho cancellato i riferimenti a Poli e Vona all'ultimo momento,ma torneranno.
Perchè,magari l'anno prossimo,racconteremo più storie di uomini e meno di campioni...
Nel fine settimana farò un giro sul tuo blog.

gaby69it ha detto...

Simone,
si il san pellegrino in alpe e' una salita cattiva specialmente negli ultimi due chilometri.Io non smettero' mai di ringraziare la tripla,con il fisico che mi ritrovo,alto e neanche tanto magro,non avrei mai potuto scalare certe salite con la corona a 39 denti classica.
Credo che ti riferisca alla tappa del '99 quando Casagrande attacco' negli ultimi due chilometri della salita per poi arrivare solo all'Abetone.C'e, stata una tappa anche nell'89 Pensa te che questa doppia scalata la faccio spesso,quando torno in Toscana dalla mia famiglia.
Non intervengo molto su indiscreto,ma leggo sempre, i tuoi articoli sul ciclismo che fu,e mi emozionano molto perche' mi ricordano i tempi in cui da bambino tifavo per Moser (pensa te).Maledetto calcio,che mi ha tolto gli anni piu' belli,che avrei potuto dedicare alla bici...
vabbeh va..

Ciao Gabriele

golden boy ha detto...

bravissimo simone...hai ricordato un grande...grandissimo nel suo ruolo di gregario,mario chiesa mio conterraneo, e' oltre a questo molto di piu....e' un gran bravo ragazzo,uno di quei professionisti che non avevano problemi a pedalare con noi cicloamatori,anzi ti salutava sempre lui per primo.vinse il matteotti quasi per sbaglio,in volata a due su ballerini se non ricordo male

Simone ha detto...

@Golden Boy:grazie!
Il Chiesa è l'esempio classico di un atleta e un uomo serio: ciò che scrivi è una conferma dell'assioma.