La scuderia di Donadoni
Fra Donadoni e Moggi prenderemmo sempre Donadoni, ma non sono sbagliate alcune considerazioni che l'ex direttore generale della Juventus fa nel suo 'Un calcio nel cuore' (editore Tea), in mezzo ad una arringa difensiva che nei suoi argomenti portanti (intercettazioni mancanti, comportamenti comuni a tutte le società, freddezza della proprietà della Juventus) si è già letta su mille giornali ed ascoltata dalla bocca di tutti i giornalisti che gli devono favori, dal biglietto omaggio al figlio assunto nella grande televisione passando per qualche buono sconto nei centri massaggi. Moggi non ci sta a passare per l'unico italiano che una volta al potere cerca di piazzare i 'suoi' e andando a parare sul solito Guido Rossi analizza le sue scelte principali. Partendo da Demetrio Albertini, per anni assistito da Giovanni Branchini (che Moggi definisce 'Bianchini', storpiando i cognomi in stile Emilio Fede) e Carlo Pallavicino, che una volta arrivato ai vertici della federazione sceglie come c.t. il suo vecchio amico e compagno Donadoni, anche lui della medesima scuderia di procuratori, e come selezionatore dell'Under 21 Casiraghi, casualmente sempre della stessa famiglia. Al momento delle nomine, due allenatori dal curriculum non proprio scintillante. Ed il ragionamento prosegue alla Moggi, per non dire all'italiana, con Amelia che passa da Zavaglia alla scuderia di Donadoni una volta appreso del cambio di c.t. Poi con Branchini e Pallavicino passano anche i giovani bianconeri Marchisio e De Ceglie e così via, in un delirio di intrecci e di sospetti. Moggi potrà anche essere stato il grande vecchio del calcio (dovendo puntare su un grande vecchio diremmo Geronzi, garante finanziario e politico non solo del moggismo) italiano, ma di sicuro si è inserito in un contesto in cui aiutare 'la famiglia' non suscita alcuna riprovazione sociale.
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