Da Cucchiaroni a Veron, il libro di Alberto Facchinetti su quella che forse è la più grande scuola calcistica del mondo e sulla storia della Sampdoria. In comune di sicuro c'è la quantità di talento sperperato...
“Dio è argentino (ma è impegnato da un’altra parte)”.
Sergio Levinsky
Secondo un leitmotiv della riflessione critica di Gianni Brera, il calcio argentino ha sempre annoverato una quantità di campioni maggiore, in proporzione, rispetto al calcio brasiliano e tuttavia, per la carenza di cultura tattica e per l’insipienza dei tecnici della nazionale albiceleste, esso non ha mai raggiunto i traguardi corrispettivi a livello internazionale: è una tesi che lo stesso Brera avrebbe ritrattato, nei suoi anni tardi, dopo la vittoria della squadra di Menotti (da lui fieramente detestato) a Baires nel 1978 e specialmente dopo quella di Bilardo (un “italianista” da lui invece prediletto) a Città del Messico, nel 1986, dov’era esploso con la potenza di una folgore il genio ditirambico di Diego Armando Maradona. Fatto sta che due soli titoli mondiali fanno probabilmente ancora torto al fútbol che non solo ha allestito squadre di gran rango quali il River Plate, il Boca Juniors o l’Independiente, ma ha saputo mantenere intatto il vivaio da cui sono usciti, nei decenni, fuoriclasse come Alfredo Di Stéfano, Ángel Labruna, José Sanfilippo, Néstor Rossi, Omar Sivori, Antonio Valentín Angelillo, Osvaldo Ardiles e, buon ultimo ma non esattamente l’ultimo, Lionel Messi.
Di una simile storia è parte la squadra che all’anagrafe risulta la più giovane tra le grandi italiane e cioè la Sampdoria che, fondata tra le macerie di Sampierdarena nell’agosto del ’46, ha comunque tesserato diciassette giocatori argentini (taluni oriundi, con doppio passaporto) in poco più di sessant’anni di attività agonistica. Una certa affinità elettiva, se non proprio una diretta filiazione, continua dunque a mantenersi tra gli emigrati genovesi che sbarcarono alla foce del Rio della Plata e chi porta sulla maglia lo stemma orgoglioso del Baciccia, l’intrepido lupo di mare con tanto di berretto e di pipa. Alberto Facchinetti ricostruisce oggi le diciotto biografie dei Doriani d’Argentina, tra calciatori e tecnici, con puntualità filologica e chiarezza espositiva. Se l’almanacco del calcio con i relativi tabellini statistici è un suo appoggio costante e persino obbligato, Facchinetti decodifica il cifrario e lo ordisce in prospettiva: non gli interessa la storia trionfale della Samp (che non ebbe peraltro argentini nello squadrone del ’90-’91) ma gli preme semmai di raccontare, scandita per frammenti o per tessere mosaiche, una vicenda malnota e certamente più segreta.
Qui non può che ritornare utile l’intermittenza o la costitutiva ambivalenza che il biografo di Maradona, lo scrittore Sergio Levinsky, assegna agli argentini tout court alludendo alla quantità di talento prodigato, sperperato, con tale regolarità da richiamare l’autolesionismo. A pensarci, è una caratteristica che, nel lungo periodo, sembra incidere sulla fisionomia del popolo doriano e, prima, sui risultati di una squadra per proverbio incostante e imprevedibile. Necessaria eccezione alla regola fra gli argentini in blucerchiato è l’eroe eponimo Tito Cucchiaroni, originario di Misiones e bandiera degli ultras, un’ala di estri molto contenuti ma di micidiale regolarità la quale resta nel ricordo dei tifosi alla pari di un tracciante che continui a duettare sotto il cielo di Marassi con Lennart Skoglund e Sergio Brighenti, gli assi di un’altra memorabile annata (il ’60-’61). Antipode dei cosiddetti calciatori di ventura e ovviamente dei quidam de populo che pure alla Samp non sono mancati (i Bello, i Garro, i Sabatella o il medesimo Ariel Ortega, puro vaniloquio calcistico), Cucchiaroni è colui che riscatta in anticipo o compensa la parabola di almeno due suoi discendenti, entrambi di classe strepitosa: Francisco Ramón Lojacono, grande stoccatore anni sessanta e impudente libertino, Juan Sebastián Verón, una mina vagante per l’intero rettangolo di gioco le cui detonazioni repentine rappresentano tuttora un omaggio al calcio inteso come inventiva ludica e virtuosismo balistico.
Ma a Genova i doriani d’Argentina non hanno vinto mai, non hanno vinto nulla. Cos’è allora, sulla pagina di Facchinetti, che ne rende avvincente, o alla lettera intrigante, il repertorio? Non un rigurgito di nostalgia, come pure si potrebbe ipotizzare, e nemmeno uno slancio di filologia sentimentale. C’è forse qualcos’altro e di più arduo da individuare che non è tanto l’abitudine alla sconfitta quanto, si potrebbe azzardare, la metafisica della sconfitta anche nella vittoria. Tra i numerosi interlocutori di Facchinetti, infatti, è occorso di scrivere a Maurizio Puppo in Bandiere blucerchiate (Fratelli Frilli editori, Genova 2005) e a proposito dello scudetto del 1991: “C’è una certa volgarità e un paradossale scacco nella vittoria; l’esultanza e il trionfo provocano nei più accorti una malinconia pensosa […]; la vittoria sottrae al sogno la sua forza, il suo profilo arcuato e seducente riducendolo ad una gratificazione di deludente banalità”. Tale consapevolezza è iscritta, si direbbe, nel genoma dei doriani, argentini e non: è un tratto della loro nobiltà primordiale, il più inconfutabile.
Massimo Raffaeli
(prefazione del libro 'Doriani d'Argentina', di Alberto Facchinetti per Edizioni Cinquemarzo: per informazioni contattare l'autore, scrivendo a alberto.facchinetti1@virgilio.it o l'editore scrivendo a info@cinquemarzo.com)
33 commenti:
Bèh, "forse la più grande scuola calcistica del mondo" non sarei riuscito a scriverlo nemmeno io, comunque quella di Cucchiaroni è una storia affascinante e misteriosa: non son mai riuscito a capire cosa avesse scatenato l'amore folle dei doriani, quasi a livelli di un Roberto Mancini...
p.s.: Direttore, se nei prossimi giorni trovo un po' di tranquillità giuro che termino Labruna... ;-)
Veron non si discute, si ama!
l'ajatollah dell'esterno destro, il re del tracciante, la brujita
C’è una certa volgarità e un paradossale scacco nella vittoria; l’esultanza e il trionfo provocano nei più accorti una malinconia pensosa […]; la vittoria sottrae al sogno la sua forza, il suo profilo arcuato e seducente riducendolo ad una gratificazione di deludente banalità
Maurizio Puppo è interista :-D
Juan Sebastián Verón, una mina vagante per l’intero rettangolo di gioco le cui detonazioni repentine rappresentano tuttora un omaggio al calcio inteso come inventiva ludica e virtuosismo balistico.
La più bella frase sulla Brujita che abbia mai letto.
Vederlo giocare lo definirei quasi un orgasmo, sensazioni provate solo per i grandissimi...Ronaldo o giù di lì.
Tornando in argomento, ricordo sempre con piacere la sorpresa che provai nello scoprire che quelli del Boca sono conosciuti come Xeneizes, ovvero "genovesi" in...dialetto genovese, o giù di lì! :D
Confesso che non potrei sorbirmi le diciassette biografie in questione, ma invece un bel libro che approfondisca la storia del calcio argentino e dei talenti sprecati? O magari nel suo rapporto con l'Italia? Esiste? Sapete consigliarmelo?
Poi sarei curioso di sapere quanti sono stati quelli dell'Inter...ho paura che a 17 ci si avvicina con una sola stagione! :D
Trovati, se interessasse a qualcun altro...sono 36.
Salto subito in battaglia per la vostra gioia: Veron è la versione non pubblicizzata di Beckham. Senza ruolo preciso, un po' centrocampista ma difendeva poco, un po' trequartista ma segnava poco, per me; un altro alla Pirlo che ha bisogno dell'orchestra al massimo che lo supporti. Ma come regista, 300 volte meglio Pirlo. L'emblema calcistico del molto fumo e niente arrosto.
Come ogni direttore.....
E' vero cydella, come giocatore aveva un sacco di difetti, oltre a quelli tattici che hai detto un po' anche di carattere (mi viene in mente la demenziale faida con Sorin e Riquelme nel ritorno del quarto con il Villareal).
Però era bellissimo vederlo giocare.
@mb: sei consapevole di aver firmato la tua condanna a morte col tuo commento, vero?
E perchè? Dane in 3 parole ha già detto tutto quello che c'era da dire.
Che poi fosse il miglior giocatore della storia del football non lo pensa nessuno, quindi è evidente che dei difetti doveva averli...per quanto riguarda me, comunque, parlavo di emozioni e non di "forza".
"Veron non è da inter" (cit)
cydella: buon paragone, pero´non ha avuto la stessa carriera di beckham, per motivi extracalcistici
bello da vedere, per fare la differenza doveva fare quel che faceva, ma trenta metri piu´avanti
meglio riquelme
E' già stato detto che Beckenbauer in fondo non faceva la differenza?!...
Bello da vedere, aveva stile, alla Rui Costa; la classe, per me, è un'altra cosa però.
però a 37 anni suonati insegnava ancora calcio...
hate: si´, in argentina, e ronaldo segnava ancora in brasile anche se in maternita´
scusate, ci sono diversi Veron. Quello della Samp era giovane e non del tutto consapevole delle sue potenzialità, uno spettacolo vederlo all'opera. Non ancora un leader, ma ispirava ai grandissimi come ha detto qualcuno. Quello del Parma e della Lazio un giocatore maturo, all'apice della carriera, faceva la differenza. Quelli dopo totalmente irritanti, non lo avrei voluto nella mia squadra. Ma il tipo restava un'intelligenza sopraffina
C'è un solo JSV. Il migliore di tutti. Quello per cui tuttora in vacanza o in certi giorni feriali a Milano giro con la 14 dell'Estudiantes. Quello per cui mi sono spellato le mani a San Siro come per nessuno. Quello che ha avuto la sola sfortuna di capitare nel biennio sbagliato (eh si, perchè Vieira ha vinto 5 scudetti in Italia, vuoi mettere...)
Immenso.
f: alla lazio i leader erano mancini e nesta, in generale era una squadra fortissima, veron ne era una componente ma non la piu´importante
al parma forse era il leader tecnico...e il parma vinse meno del possibile
al manchester falli´, punto
poi a 31 anni se ne e´tornato in argentina
il mio discorso sui trenta metri e´facile da capire: con quel fisico doveva e poteva giocare piu´avanti e incidere sotto porta, invece arretrando tutti ammiravano le sciabolate orizzontali
rimane uno da 8, come impatto valeva beckham o scholes, dietro giggs
beh, lo scudetto della lazio lo vinse il suo centrocampo (simeone, veron, nedved, lasciamo stare sergio c.) nesta aveva il merito di fare reparto da solo, ma mancini senza tutto quell'ambaradan avrebbe vinto al massimo la coppa del nonno. veron non era solo "uno del gruppo", era uno decisivo
Poi magari ogni tanto ricordiamoci anche che il calcio è uno sport collettivo e ci sono ruoli diversi...
si e poi soprattutto non parliamo dell'impatto di scholes...
Interessante.
La scuola argentina è un pò l'aleph(così si rimane a Buenos Aires..)del pianeta calcio.
Proprio come il Belgio per il ciclismo,la Lituania nel basket europeo,la Giamaica nello sprint,l'Austria per lo sci alpino...
Sono luoghi dove la predisposizione ambientale e la tradizione si sposano con una vera e propria cultura.
Nella lista dei grandi vorrei citarne uno importantissimo.
Soprattutto per noi italiani.
Il violinista che,col passaporto tricolore in tasca o meno,è stato forse il più grande giocatore del Bel Paese.
Mumo Orsi.
marattroni: certo, scholes non vale un cazzo, e´un altro miracolato dei procuratori, poi non fa sciabolate, solo giocate intelligenti, che gli permettono anche adesso che non cammina piu´di avere un ruolo ad altissimo livello
d'altronde qui conta solo cio´che si e´fatto nell'inter, quindi viera e´una pippa, ibra e´il migliore del mondo e benitez un arrogante
a posto cosi´
Anche per me avrebbe dovuto "cioccarla dentro" un po' di più. Con quel fisico, quel tiro, non puoi fare solo 5 goal all'anno quando va bene. Poi sinceramente, le sciabolate in orizzontale saranno belle da vedere, ma servono a niente.
rimane uno da 8, come impatto valeva beckham o scholes, dietro giggs
Quindi schifo? Fatemi capire...
In ogni caso Beckam-Veron ok due grandi giocatori, Scholes e Giggs molto più decisivi, superiori.
Mancini ha vinto uno scudetto nella Lazio e uno nella Samp, entrambi da protagonista e leader della squadra, se il suo carattere gli avesse permesso di resistere in ambienti quale Milan-Juve (ma lo stesso metro può essere fatto per BAggio, quello che ha fallito con le grandi ma talmente grande lui da non poter esere messo in discussione), avrebbe collezionato scudetti e ne parleremmo ai livelli di un DEl Piero.
Intanto consideriamo che in quindicianni abbiamo avuto dieci come, in ordine di età, Baggio, MAncini, Zola, Del Piero e Totti. Ora abbiamo Cassano e Giovinco!!!
E' stato già detto che quel fallito di Rijkaard "con quel fisico avrebbe dovuto esser capocannoniere ogni campionato", che quel Beckembauer "che aveva bisogno dell'orchestra al massimo che lo supportasse" senza i gol di Gerd Muller non avrebbe vinto niente, che quell'inutile di Suarez passava 90 minuti a sparare "sciabolate di 40 metri che non servono a niente"?!...
p.s.: oh, se qualcuno si accorge che Veron era un Falcao e non uno Zico faccia un fischio, eh?!...
Ha detto tutto Dane,Veron insieme a Pirlo ed Albertini è stato il miglior regista degli ultimi 10-15 anni,poche chiacchiere...altro che doveva fare 51 gol a stagione....ed ora uno che potrebbe fare grandi cose in quel ruolo è Hernanes se arretrato appunto di 20 metri.
Veron a Genova e Parma giocava trequartista nel 3-4-1-2 dell'epoca, quindi non faceva il regista. Che poi l'arretramento sia avvenuto gradualmente dalla Lazio in poi, è un altro discorso. Per me, avrebbe dovuto insistere da trequartista e fare un po' più il Kakà, per dirne uno.
Direi che per essere un'ala sinistra come si deve gli mancava un bel po' di corsa.
E poi il colpo di testa -dio mio- il colpo di testa! Ma come pretendi di affermarti come centrale difensivo se non hai un colpo di testa decente?
Nick hai dimenticato che gli mancava esplosività per essere un buon portiere....
Posta un commento