Gli arrabbiati di Siena

di Oscar Eleni
La necessità dei consorzi, il Montepaschi calciofilo, i Giochi di Bovolenta, la sgridata di Gamba, la caduta con l'Olympiakos, la panchina di Bryant e le squadre dei Laporta. Voti a Caja, Girolami, Green, Rosselli, Diener, Datome, Griner, Markovski, Pecile e Ciamillo.



Oscar Eleni a cavallo dalla via Francigena, schivando l’amianto, per trovare la vera pace, il gusto di guardare al basket come un gioco, nell’aria primaverile che di notte diventa gelida, osservando le stelle sul cielo di Staggia, vecchio regno di Berengario e della famiglia Soarzi, terra di conquista per Guido della Foresta o anche dei Franzesi, un allenatore ingaggiato per fare la guerra da Filippo il Bello ma anche per far lavorare in pace alle fortificazioni un genio come il Brunelleschi. Via dal pazzo basket dove ti svegliano per sgridarti, dove non sai mai quello che i “potentoni” vogliono davvero, dove sei alla gogna se pensi di dover scrivere quello che ti dicono, anche se non è una intervista ufficiale, perché non siamo così intelligenti, come ci ripete chi si lamenta, da capire che una chiaccherata, anche informale, dopo così tanto tempo, era stata fatta proprio per evidenziare il problema che l’anno prossimo sarà di molti, se non di tutti: o funzionano i consorzi come se li sono inventati a Varese, come stanno cercando di fare a Treviso, oppure si andrà verso il mare nero perché poi potrebbe succedere che persino Armani, il più solido in questo momento, o la Cremascoli, la più appassionata in questo momento, urlassero quello che urlano già in tanti: con voi non ci sto più.  
Sembrava logico che il Montepaschi, circondato da chi si sta arrabbiando perché la famiglia fa entrare “stranieri” e mette alla porta chi ci è nato, fosse perplesso davanti alla richiesta di anticipi sulla sponsorizzazione dell’anno prossimo per la squadra di calcio che in questo momento non sa davvero se il Mezzaroma, deluso dal fatto di non poter costruire uno stadio, con qualche ostacolo che va oltre la buona economia aziendale, continuerà a stare in città o lascerà il Rastrello in mano ad altri. Erano giorni di tempesta per la doppia sconfitta calcio-basket e per trovare spazio su giornali che ascoltano soltanto se parli anche del primo sport e non si eccitano certo per il secondo, abbiamo voluto fare questa fusione di quasi veleno e sconcerto creando tensioni, spezzando rapporti che sembravano solidi. Pazienza. Ormai è tempo del ritiro, meglio non avere rimpianti, ma non ci sentiamo colpevoli di nulla.
Era lavoro nero da fare a cottimo, ci siamo buttati su questa idea, senza malizia, senza voglia di glorie postume, come diceva chi contestava perché, modestamente, avremmo qualche cosa nel passato professionale di cui andare certo più orgogliosi, anche se in una delle dieci Olimpiadi fummo stregati dal sorriso di Vigor Bovolenta che adesso piangiamo insieme al mondo della pallavolo, uno sport che fatica come il basket a tgrovare luce, ma che trova sempre buone idee contrariamente alla lunga linea grigia che devi seguire per arrivare ai canestri. Dicevo di Staggia e di quella partita contro Arezzo per un campionato anche inferiore a quello dove giocano i tuoi figli che, fortunatamente, non saranno gelosi di sapere che abbiamo cercato il ristoro nel basket della passione, della palla che viaggia, della difesa lingua fuori, che non potrebbe essere il loro perché ci sarebbero coinvolgimenti difficili da mascherare come dimostrano tutti quei padri, quelle famiglie che a tavola ti dicono che il bambino, la bambina, devono fare sport per divertirsi, soltanto per quello, ma poi aspettano l’allenatore fuori dallo spogliatoio per chiedere il perché e il per come.
Ma, come, direte voi, ci sfrucugli con Staggia e non vedi il masso che è caduto nuovamente sulla testa dell’Emporio Armani dove per arieggiare la stanza si sono dimenticati poi di mettere le porte finestre lasciando che i rimbalzisti di Artiglio Caja arrivassero nel patio di don Sergio per fare razzia di rimbalzi offensivi, con gli elefanti messi in fuga dal topolino. Non scriviamo nulla perché ci fidiamo totalmente della sgridata che Sandro Gamba ha fatto sulla Repubblica a questa sua ex squadra che non sa davvero farsi capire, che mette in crisi chi la pensava in progresso, che lascia perplessi se l’Alessandro Gentile fa così tanti passi indietro, se Melli si ferma adesso ai box, se Radosevic gira con l’occhio perduto, se la difesa è quella che ha fatto divertire Rich e Milic. Ci diranno che non è ancora tempo di raccolto. Eh già. Ma per urlare nel bosco, per andare contro la dinastia senese che domina la scena da cinque anni, che è padrona delle nuove verità almeno da dieci, che forse prenderà anche il sesto scudetto consecutivo, bisogna avere orecchio. Non basta lamentarsi per questi arbitri Arlecchino che vestono i colori della protesta dopo aver avuto tutto e dato così poco come qualità tecnica, come esempio, se poi ne portano via qualcuno per cocaina, altri per malversazione. Vai in battaglia se dietro hai una società che non arriva quando hai già le gomme a terra, se hai dei giocatori che si battono davvero per cambiare le cose, sul campo, e non aspettando l’aiutino. Milano che resta ferma anche quando le sue avversarie vere sono ferme. Comico.
Ma torniamo a Staggia dove siamo andati per seguire il Daniele dell’ Orso che assomiglia all’attore Benvenuti e la fede di Ric mai mmessa in dubbio anche dalle sconfitte più dolorose. Ci siamo mossi dall’osteria storica di Monteriggioni anche se il vecchio Pea, il cigolante Pedrazzi, erano rimasti incantati dalla cantante della Senza Confini Band piuttosto che dalla porchetta sublime che arriva dal bancone dei salumi e dei carciofini sott’olio che interesserebbero anche il Vacirca creativo che non deve preoccuparsi se gli tirano le orecchie quando va alla radio a propone menù alternativi nei viaggi di sport e di basket. Ci siamo andati per toglierci di dosso quella terra smossa dopo la caduta di Siena in gara uno contro l’Olympiakos. Ma non soltanto per quello. Volevamo capire se esiste ancora gente che ama divertirsi giocando, se il suono vero in palestra non è quello dei berci e dei fischi, ma quello della solidarietà, della palla che vibra perché non si appiccica alle mani di qualche presuntuoso saltimbanco. Era quello che volevamo anche se Staggia ha finito perdendo con la stessa faccia stupita del Montepaschi perché era stata in testa tre tempi e alla fine ha pagato lo sfinimento di chi gioca quando ha finito il lavoro e se questo comincia tanto presto e finisce molto tardi allora è chiaro che si vede doppio.
Ci siamo goduti la serata finita con i pici al ragù, ci siamo riarmati per andare a vedere anche altro basket, dovendo ammettere che non erano bugie quelle di chi ci invitava a visitare le minors, magari il giardino infinito del Gurioli, uno che in serie A ci stava benissimo, dove ancora si crede che la tecnica valga più dei muscolacci, dove si è certi che il basket è un gioco assolutamente di squadra che non ha bisogno di numeri uno con la coda del pavone, ma di numeri uno che vivono per e con gli altri come avrà detto Marc Gasol salutando il suo amareggiatissimo fratellone Pau sul campo dei Lakers appena battuti, con il solito Kobe Bryant fumante messo in panchina per disperazione mentre Memphis suonava il rock dei poveri.
Pagelle togliendosi le scarpe da via Francigena, rimandando tutti alla “Repubblica” del lunedì dove Concita de Gregorio ha intervistato Joan Laporta, l’architetto vero del Barcellona “mes que un club”, più di un club, che ha costruito le squadre dei sogni vincenti e anche perdenti, un po’ quello che potrebbe dire Minucci per la Mens Sana anche se, rispetto a Laporta, il grande architetto dell’epopea senese non ha mai ha saputo dire ufficialmente (ufficiosamente sì, ma ora è proibito riportare sin preguntar) nella stessa maniera semplice, pur avendo sofferto tanto per questo anche se in Federazione lo capivano poco, anche se altri imitatori non hanno mai capito nulla dellla basket generation senese: lavoriamo per gli altri e corriamo avanti, si vince col dare, ed è una bellezza, piacere puro da insegnare ai bambini.
10 Ad Artiglio CAJA che ha dimostrato ai Proli di passaggio cosa vuol dire avere artigli, insegnare positivo. Siamo felici per questo interista che ha battuto il neroazzurro ammaccato Scariolo in una partita che valeva la stagione di Cremona, ormai vicina alla riva della salvezza. Felici per lui e Portaluppi che la casa madre ha mandato via perché quando si è furbi e si temono le ombre poi rischi di trovarti qualche pantegana in casa, sul Lambro.
9 A Ylenia GIROLAMI, anima dell’uffricio stampa senese insieme a Riccardo Caliari, perché quando si è avvicinata chiedendoci gentilmente di congedare il Pianigiani scherzoso “per lasciarlo riposare”, ci ha fatto capire come è la società campione d’Italia, ci ha illuminato su cose che in altri posti hanno voluto cancellare, ma, per fortuna, Pesaro, Treviso, Casale, Cantù hanno sempre difeso, valorizzando una tradizione che vuol dire amicizia, buon senso, senza consenso obbligatorio, senza richieste scritte per fare due chiacchere e vedere veri allenamenti senza dove ricorrere ai traduttori sulla fatica in palestra che spesso non vedi sul campo, in partita vera.
8 Al Marques GREEN febbricitante che ha tirato l’ultima zampata per i lupi di Avellino in una partita che era diventata importante per una società che sembra sfinita. Aiutarla adesso per non rimpiangerla domani.
7 Al ROSSELLI quasi esordiente in serie A con la maglia della Reyer Venezia perché in questi giorni dove sentiamo troppe volte la frase “volevano dare spazio agli italiani e quelli hanno tradito quasi sempre” ci voleva la prova tosta di uno che mette la faccia dove altri mettono i piedi. Lui come Infanti ci danno speranza perché se hai marones poi ti premiano.
6 Ai cugini DIENER che quando sono ispirati fanno cantare il popolo di Sassari, anche se bisogna pur ammettere che quella Virtus lasciata sulla spiaggia era molto simile alle armate brancaleone che tanti anni fa sbarcavano in quella terra per un campionato universitario che partì malissimo a causa di un custode zelante che aveva messo la cera sul parquet per farlo risplendere meglio. Adesso la cera esiste ancora, ma sotto i piedi di chi non sa ancora che Meo Sacchetti guida alla grande la ciurma dei 30 punti in classifica con Dalmonte e Mazzon, due che sembrano così uguali al Trinchieri di ieri che non è certo quello da didascalie in bronzo di oggi. 
5 Al Gigi DATOME che cambia faccia alla partita di Caserta soltanto nell’ultimo quarto perché non soppportiamo più il suo talento ad intermittenza. Ormai è grande, ormai è uno da prima fila. Vada a prendere gloria e qualche pallottola. 
4 A Brittney Griner, il centro della squadra femminile di Baylor, che schiaccia a due mani e che ci delizierà anche ai Giochi di Londra, perché il basket italiano già pieno di complessi, non solo nella femminile, ora si deprimerà e aspetterà inutilmente dall’America le zie schiacciatrici invece di andarle a cercare sul territorio. 
3 A Zare MARKOVSKI e a PECILE che ci avevano raccontato tante belle storie sulla simil Fortitudo vestita Conad che ora si dibatte in fondo alla classifica della A2, un sasso traballante sopra Forlì. 
2 A CASALE e BIELLA che finiscono nella stessa bagna cauda in troppi finali di partita. Già siamo furenti con quelli di Torino che vorrebbero essere città europea dello sport nel 2015 senza avere più basket, pallavolo e baseball nella massima serie, ora non diteci che perderemo anche la forza di due belle società come queste. 
1 Al magistrale fotografo CIAMILLO che ci ha rifiutato, per colpa dell’età, della panza, della mano tremula, un posto nel suo vivaio dove crescono i Bresson del domani. Per la verità far crescere talenti è meraviglioso, ma poi, come succede anche ai giocatori, dove vai se i giornali chiudono e le squadre preferiscono uno stranierto a prescindere? 
0 A RAI, SPORTITALIA e LA7, digitale o meno, perché guardando le dirette su televisioni locali abbiamo scoperto che si può fare anche una grafica decente. Ora il Dan Peterson che sta mettendo insieme una cosa straordinaria ricostruendo la storia dei vivai di basket milanesi si batta anche per i telespettaori con vista incerta e poi venga nell’arena con noi che ci troviamo davanti a fringuelli di zona per poter dedicare un campo all’ aperto al maestro Borella.

Oscar Eleni, 26 marzo 2012 

Inoltre, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento:

''E’ un po’ di tempo che quando leggo di basket non giocato, quello da me preferito, m’imbatto in analisi di segno sempre più negativo. E non ci sono più soldi. E non ci sono più giocatori e quando ci sono, ci danno un calcio in culo e se ne vanno in America. E la nazionale che da un bel pezzo non vince più niente. E non ci sono più, anzi non ci sono mai stati, dirigenti capaci, dappertutto, nelle società e negli organi federali, per non parlare delle Leghe. E le televisioni non ci fumano. E nelle metropoli non ci siamo. E siamo solo in provincia. E la stampa, quando non ci ignora, ci tratta come uno sport veramente minore. E sempre meno gente in tribuna. E gli arbitri, che anche loro fanno casino. E gli sponsor? Chi li vede più. E niente pubblicità sul campo di gara. E così via. Insomma una litania che non se ne può più. Abbiamo capito, però basta! Andiamo avanti per favore. Vorrà dire che misureremo diversamente le nostre aspettative e che in attesa di tempi migliori, ridurremo il numero dei giri della macchina di quanto necessario a garantirgli comunque un accettabile livello di vita. E’ una faccenda che va governata con perizia e polso fermo. Sbandare adesso, vuol dire finire nel fosso. Va mo là, faremo i conti con le risorse che troveremo e ci faremo bastare anche una torta più piccola. Pazienza, cosa volete che vi dica, ci adatteremo. Insomma, per un bel pezzo niente sarà come prima. L’importante è gestire questa stagione non da nostalgici sfiduciati o da conservatori antistorici, ma affrontarla con serenità, entusiasmo e sordi agli incantatori di serpenti, a chi ci promette mare e monti. Niente, piedi non solo per terra, ma anche lì ben piantati. Ho letto di una proposta federale di riforma dei campionati. Sarà anche tutta sbagliata, come dicono alcuni e forse non è proprio l’unico problema, ma finalmente si parla di cose concrete. Un inizio, ma avanti. Siamo tutti bravi nel lamento, ma è a costruire che si vedono quelli bravi sul serio. E poi se una cosa buona abbiamo sempre avuto noi del basket, era il dinamismo e la creatività proprio nelle avversità. Beh, ma non saranno mica finiti anche quelli? Coraggio, che la giornata è ancora lunga e la notte è di là da venire. Scusatemi, ma mi è scappata la mano.  Un caro saluto.

Piero Parisini

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