Uno Zucchero e tanti flop

di Alvaro Delmo
Prendiamo spunto da alcuni commenti comparsi dopo il nostro post dedicato alla classifica degli album italiani più belli pubblicata da Rolling Stone per un giro di opinioni sui dischi di 'big name' italiani registrati in inglese, tra tentativi più o meno riusciti. Premettendo che abbiamo deciso di lasciare fuori fenomeni come la Italodisco o canzoni reinterpretate da artisti stranieri con notevole successo (e ce ne sono parecchie, ad esse dedicheremo un intervento a parte).
Partiamo da Franco Battiato che include nella sua discografia Echoes of Sufi Dances (collezione di successi, 1985), che raccolse scarsi risultati commerciali. Flop totale ci fu anche per Lucio Battisti con Images, del 1977, e in parte anche per Mina, che nel corso della sua carriera ha comunque registrato qua e là vari brani in inglese (la discografia è realmente sconfinata per poterne parlare in questa occasione) oltre a qualche raccolta di cover. Umberto Tozzi, uno dei nostri maggiori nomi di respiro internazionale, ebbe dal canto suo miglior riscontro con le versioni italiane (o in spagnolo) dei suoi brani piuttosto che con quelle tradotte e da lui interpretate direttamente. Proseguendo, ci sono stati anche diversi gli album in inglese per Angelo Branduardi a partire dal 1974 (Branduardi '74). Molto bene andò alla PFM con Photos of Ghosts (1973) e The World became the World (1974) la cui affermazione portò la band anche a un tour internazionale da cui scaturì l'album live Cook (1974) a cui ne fece seguito un altro in studio, Chocolate Kings (1975). Rimanendo sulle band, i Pooh ci provarono con Hurricane, del 1980, ma ottennero poca fortuna: un peccato perché in quegli anni il loro sound (e approccio ai concerti) avrebbe potuto tranquillamente essere esportato. Fortuna che ebbe invece un decennio dopo Zucchero a cominciare dalla raccolta omonima del 1991 (quella con Senza una donna insieme a Paul Young), per poi realizzare periodicamente versioni inglesi dei suoi album entrando in varie classifiche a livello europeo. In tutto questo è curioso invece constatare come Eros Ramazzotti, al di là di qualche duetto con frasi in lingua, non abbia mai provato a incidere un album per il mercato angloassone, considerato il suo enorme successo all'estero (ai tempi ricordiamo però di aver visto a Dublino cartelloni che pubblicizzavano Tutte Storie). Tentativo invece fatto da Laura Pausini una decina di anni fa con From the inside (il singolo di lancio era Surrender) senza fare però il botto.
Alvaro Delmo, 6 marzo 2012

8 commenti:

spike ha detto...

aggiungo alla lista gli AH all'inizio cantavano solo in inglese. Elisa idem.

Álvaro Delmo ha detto...

@spike: sì Elisa ha la curiosità di aver cominciato a cantare in inglese. In generale mi sembra però che i nostri cantanti all'estero siano molto più apprezzati quando usano l'italiano o al massimo lo spagnolo. Cosa che non succede invece per artisti di altri Paesi. Evidentemente la musicalità della nostra lingua ha un particolare fascino. Penso ad esempio all'ondata nordica cominciata con gli Abba ( a-ha, Roxette, Europe...) non so se proponendosi nella loro lingua avrebbero avuto lo stesso seguito.

Emidj74 ha detto...

Se si parla di traduzioni in inglese di artisti che producevano in italiano non ne ricordo molti oltre quelli citati da Alvaro.

Preferenza personale al primo disco di Elisa. Incomprensibile perche' non si sia continuato su quella strada per aprirsi uno spazio nel mercato anglosassone.

I Marlene Kuntz tentarono una collaborazione con Skin degli Skunk Anansie fuori tempo massimo e ne venne fuori una delle canzoni piu' brutte del loro repertorio.


Personalmente, sarei stato curioso di vedere le vendite di una traduzione di 'Affinità-Divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi' dei CCCP per il mercato americano
:0

ps
Alvaro, ma i primi dischi di Spagna valgono o sono anche quelli ItaloDisco?

Panjisao ha detto...

Anche a me erano piaciuti molto i primi dischi di Elisa, pur non essendo affatto un cultore del genere. La vidi anche dal vivo, spinto dalla mia ragazza di allora a cui piaceva molto, e mi colpì davvero per la sua capacità di suonare molti strumenti diversi, e soprattutto per l'enorme carica che trasmetteva dal palco. Si divertiva da matti e lo si poteva percepire chiaramente.

Álvaro Delmo ha detto...

@Emidj74: Elisa mi pare abbia pubblicato due raccolte destinate al mercato americano e qualche riscontro lo ha ottenuto. Su Spagna, in effetti, hai ragione che si può prendere in considerazione tenuto conto che i suoi dischi contenevano anche pezzi fuori dal filone più prettamente pop-dance, anche se tendenzialmente la sua prima produzione (esclusi esordi negli anni '70) viene fatta rientrare in quel genere. Tra l'altro proprio da poco è uscito un suo nuovo disco interamente in inglese.

Dane ha detto...

Segnalo una mitica versione di "Saint Louis Blues" di Mina, sugli altri non mi pronuncio perchè sarei ripetitivo: direi che questo riassunto è un'eloquente cartina di tornasole.
Su Zucchero sorvolo che di avvocati ne faccio lavorare già troppi... :-P

jeffbuckley ha detto...

"..i nostri cantanti all'estero siano molto più apprezzati quando usano l'italiano o al massimo lo spagnolo. Cosa che non succede invece per artisti di altri Paesi. Evidentemente la musicalità della nostra lingua ha un particolare fascino." O magari li comprano solo i nostri compaesani emigrati...

Álvaro Delmo ha detto...

@jeffbuckley : non ridurrei sempre tutto a un fenomeno da immigrati. In questi giorni l'ultima raccolta di Ramazzotti è in classifica in svariati Paesi, compresi Francia, Spagna, Polonia, Grecia, Estonia per citarne solo alcuni... non so quanto le corrispettive comunità italiane - dove effettivamente ci sono - pesino sulle vendite.