L'ultima battaglia del signor Mivar

di Fabrizio Provera
I Mondiali di Spagna del 1982. La vittoria di Alberto Cova ai primi Mondiali d’atletica di Helsinki, nel 1983. Le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e di Seul nel 1988, che sancirono il disgelo sportivo capace di anticipare il crollo del Muro di Berlino. La vittoria della nazionale di basket agli Europei del 1983, in Francia. Cosa accomuna questi eventi, al di là della nostalgia? Il fatto che oltre un terzo degli italiani, dal divano di casa o dal bancone di un bar, li abbia seguiti davanti a un televisore Mivar, la fabbrica fondata a Milano nel 1945 da Carlo Vichi, classe 1923, e dal 1963 stabilmente insediata ad Abbiategrasso, città della provincia milanese balzata agli onori della cronaca negli anni Ottanta grazie a un discorso di Ciriaco De Mita, dal palco di un congresso della Democrazia Cristiana.
La Mivar raggiunse, tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, una quota del mercato italiano del televisore oscillante tra il 30 e il 35%. Fatturava dai 220 ai 350 miliardi annui di vecchie lire, occupando circa 800 addetti (più l’indotto). La storia di Mivar è da raccontare all’imperfetto, perché dal 2001 la creatura di Carlo Vichi è in lenta ed inesorabile agonia. Al 31 marzo scorso risale la sanguinosa firma su un accordo sindacale, l’ennesimo, che porterà la forza lavoro a sole 25 unità, tra ricorsi a cassa integrazione straordinaria, mobilità e accompagnamento alla pensione per i pochi fortunati che ne potranno usufruire.
Impresa più unica che rara nel panorama economico ed imprenditoriale, Mivar è nata e vissuta sempre all’ombra del suo pittoresco fondatore, un toscano poco avvezzo ai ricevimenti, che trascorreva (e trascorre) 350 giorni l’anno in fabbrica, sabato e domenica compresi. Mivar, che ha sempre rifiutato di spendere un euro (o una lira del vecchio conio) in pubblicità, ha sempre diffidato dall’ingaggio di manager e dirigenti. Vichi, monarca assoluto, ha regnato senza mai disporre di un vero ufficio. Sedeva, siede, a un tavolo di legno, gli stessi abiti o quasi da mezzo secolo. La combinazione tra affidabilità del prodotto e prezzo concorrenziale, l’inarrivabile servizio di assistenza interno, dove i clienti portavano i loro televisori, li riponevano su un carrello, li facevano esaminare dai tecnici e li vedevano riparati in pochi minuti, hanno contribuito ad alimentare il mito di Vichi e ad inanellare successi economici per decenni. L’industriale che invitava i giornalisti economici più famosi (abituati a lussuosi pranzi d’affari da Marchesi in Bonvesin de la Riva, dal Giannino d’antan o alla Scaletta di Pina Bellini) a consumare il pasto nella mensa, a fianco e assieme agli operai. E guai ad avanzare qualcosa, perché il Vichi imprecava, eccome se imprecava…
Nel 1984, chevalier seul, Cassandra inascoltata, Vichi pronuncia in Consiglio comunale ad Abbiategrasso un discorso che preconizza la fine dell’industria elettronica in Italia ed in Europa e il trionfo della Cina e dell’Asia a scapito della vecchia Europa, del Giappone e degli Usa. Ma nessuno gli conferisce una laurea honoris causa. Vichi si arrende al gigante asiatico dopo aver visto i suoi concorrenti cadere uno ad uno, persino la Turchia che ancora dieci anni fa produceva milioni di televisori. Oggi la Mivar ne produce cento al giorno, contro le migliaia e migliaia di un tempo. Il futuristico e avveniristico nuovo stabilimento, realizzato nel 1990 con fondi propri (100 miliardi di lire, zero lire dallo Stato o dalle banche), è una sorta di cattedrale nella pianura padana, mai attivata per disaccordi con il sindacato e per la successiva, ed impietosa, battaglia dei prezzi che ha visto trionfare i grandi nomi dell’elettronica con gli occhi a mandorla.
Certo, Vichi avrà anche perso la battaglia della modernizzazione, avrà sottovalutato la portata innovativa di Lcd e tv a Led. Però è sintomatico che un uomo come Carlo Vichi, alla soglia dei 90 anni, ceda il passo al cospetto di famelici speculatori e degli inventori di strumenti diabolici come i derivati o i Credit Default Swap. Perché sebbene sui generis, e Indiscreto lo rivela in esclusiva, Vichi è il padrone che per decine di volte ha pagato le rate di mutuo a operai in difficoltà, anche se iscritti al Pci (Vichi è un cultore del Ventennio mussoliniano), senza mai chiedere nulla in cambio. Vichi è il padrone che a Natale, il 21 o il 22 dicembre, prelevava 250 milioni di lire in contanti e li distribuiva ai suoi operai e alle sue tante operaie, i più meritevoli. Vichi è il padrone, per chiamare le cose con il loro nome (che non è CEO), che ha sempre aiutato lavoratori in difficoltà, purché leali con lui e la sua azienda. Paternalismo da buttare? Forse chi è in mezzo a una strada butterebbe prima di tutto l'economia finta.
Adesso che il sole si accinge a tramontare per sempre, sull’impero della Mivar, siamo certi che qualcuno non esiterà a dirsi soddisfatto. Che qualcuno sogghignerà divertito, mentre in suo editoriale ci spiega che il futuro è l'Asia. Cazzi vostri. Tenetevi i banchieri inamidati che rifilavano bond Parmalat ai vecchi con il bastone, tenetevi i paperoni delle merchant bank, i private banker, i future banker e i killer banker. Noi ci teniamo stretti il camerata Carlo Vichi, l’adoratore del Ventennio, l’unico che ebbe l’ardire di scrivere al senatore Giovanni Agnelli che gli operai meritano un pranzo decoroso, da consumare in tempi ragionevoli, perché sono uomini e non macchine. Ci teniamo Carlo Vichi, che ha tenuto in piedi le vecchie banche popolari del territorio, che hanno sempre finanziato la piccola e media impresa lombarda, e non certo avventurieri dai capelli ingellati. Ci teniamo Carlo Vichi. Altri tempi, altre imprese. Ma soprattutto altri uomini. E tutti gli altri, come disse il grande Giannibrerafucarlo, che vadano pure a scoa’ el mar.

Fabrizio B. Provera, 12 aprile 2012

221 commenti:

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Cuore di Tenebra ha detto...

Un'era geologica fa, ai tempi dell'università, erano gli istituti di ricerca tipo Doxa e simili che reclutavano gli studenti per i sondaggi d'opinione (orario - tipo 18.00-22.00), mai stata una novità i "lavoretti". Solo che allora servivano magari a pagarsi le sigarette, la birra al pub e la vacanza...

cydella ha detto...

Sull'apertura domenicale, non è detto che al supermercato convenga. Quindi non è detto che, dopo un periodo di prova, il supermercato decida di rimanere chiuso.

PS: ma che vita fa uno che deve lavorare pure di sabato e domenica? E poi, se si deve stare aperti anche sabato e domenica, che lo siano anche gli uffici pubblici.

Dane ha detto...

Non ho capito il discorso delle aperture domenicali con gli studenti....nella mia zona i supermercati son sempre aperti di domenica e tempo fa si ragionava pure con mio padre su che palle fosse per chi ha famiglia e non può nemmeno contare sul week-end libero perchè deve rispettare i turni....quella degli studenti può essere una soluzione che permette tra l'altro ai ragazzi di trovarsi già in un circuito lavorativo che può fungere da paracadute anche una volta lauretato finchè oppure se non trovi lavoro nella tua materia di studio.
Io dai 18 anni in poi ho sempre affiancato allo studio una qualche attività lavorativa saltuaria (che spesso si svolgeva appunto nel week-end, ma anche di notte...ho fatto di tutto...), mi ha aiutato economicamente e a livello d'esperienza, come rete di conoscenze (lavoravo comunque nel mio ambito) e come finestra sul "mondo del lavoro".
Spesso poi mi ci divertivo pure e intanto guadagnavo...

transumante ha detto...

piffero: il problema per i phd non é cosa si studia (parlo per scienze) ma il numero spropositato di concorrenti per ogni posizione.

spike ha detto...

ma perchè da voi la domenica i supermercati erano chiusi????

cydella ha detto...

A Crema i supermercati erano sempre chiusi alla domenica, ad eccezione, qualche volta, delle Standa, ora Billa.
Ma per legge non potevano aprire solo 8 domeniche all'anno?
Come facevano a essere aperti dalle vostre parti?

Vi ha detto...

Penso sia normativa comunale no?

Un gobbo ha detto...

Penso che potessero restare aperti quei supermercati costruiti in comuni in zone considerate "turistiche"

Per dire, a Cremona come a Crema erano aperti mi sembra solo 8 domeniche all'anno.
Mentre a Castelvetro Piacentino,3 km da Cremona,erano aperti tutte le domeniche in quanto comune facente parte della zona turistica dei castelli del ducato di parma e piacenza.
Credo che il castello più vicino a Castelvetro sia ad almeno 20-25 km

Dane ha detto...

Non so cosa dica la normativa, so solo che fino ad un anno fa la domencia erano aperti tutti i LIDL più grossi e la Standa ed ogni tanto gli altri supermercati tipo GS, da un anno invece i GS (nel frattempo divenuti Carrefour) e le Standa (nel frattempo divenute Billa) son sempre aperti.
E son pure pieni perchè la clientela lo trova comodo e non manca. Al Carrefour ci sono anche le casse automatiche, che gli italiani ovviamente son troppo pigri e handicappati per aver voglia di usare...

spike ha detto...

boh, non conosco la normativa ma da noi è da un po' che la domenica sono aperti. pensavo fosse una cosa nazionale.

bianca c. ha detto...

certo transumante - il problema e` che ci sono troppi PhD per le posizioni disponibili... ma se riduci il numero di dottorandi fermi molte attivita` di ricerca (e di insegnamento). se proprio devo sintetizzare al massimo, higher education is a scam. la cosa incredibile e` che lo dico a tutti gli studenti che vengono a chiedermi di un dottorato, ma questo non li scoraggia

Leo ha detto...

Le casse automatiche sono insopportabili, devo spendere e pure farmi il conto da me? Ma vaff...
E i supermercati aperti la domenica sono la cosa peggiore dopo i centri commerciali aperti la domenica, il problema è che spesso convergono.

Dane ha detto...

Scusa Leo, la fatica di farti il conto da solo dove sarebbe?! Fisica o intellettuale?! Io a volte non vi capisco...
State tutto il giorno a clickare e chattare l'inverosimile ed è così faticoso far passare due scatole su una fotocellula?!...
Io con le casse automatiche dimezzo i tempi della fila, perchè inanzitutto queste spaventano i vecchi, i pigri e i rimbambiti, così mi trovo in fila solo pochi giovani svelti e dinamici.
In più la cosa mi evita di sorbire le chiacchiere di quello prima di me e quello dopo di me, le perdite di tempo per la rincoglionita che si presenta alla cassa avendo dimenticato di pesare la verdura e quindi bisogna aspettarla che corra al reparto a prendere il talloncine codicebarrato, i teatrini tra cassieri e clienti che fanno gli splendidi e una battuta qui e una battuta là si mettono a far salotto invece di far andare le mani, la sciura che ti viene in culo col carrello sperando inconsciamente di accelerare così la fila perchè poverina deve correre a casa a vedere Beautiful, etc...
Certo, anch'io mi aspetterei un po' di sconto visto che gli risparmio l'utilizzo di un impiegata (come succede al benzinaio self service, per dire...) ma son già grato per gli arrotondamenti dei centesimi nei pagamenti e per il risparmio di tempo e noie.
Poi che non tutti possano apprezzarle lo posso capire, ma almeno avanzare motivazioni serie.
Comunque egoisticamente mi auguro anch'io che siano sempre in pochi scelti svegli e rapidi ad utilizzare le casse automatiche senza farsi troppe seghe mentali: mi permetterà di continuare ad usufruire dei benefici per cui son state pensate...

p.s.: e trovo comodi anche i supermercati aperti di domenica, specialmente con l'orario post-posto fino alle 21, tiè!...

Leo ha detto...

Fisica fisica, ma risolvo con le Pam, sempre semivuote! Qua vanno le coop ;-P

In ogni caso la mia è una battuta, la tua una verità: mi metti il self service, allora mi fai lo sconto!!!

Peo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
jeremy ha detto...

carrefour principessa clotilde: non vado alla cassa con cassiera da almeno un anno, troppo comodo pagare da soli, anche se parlo di pochi pezzi. Il futuro è quello: addetti agli scaffali e due tre che controllano le casse automatiche. All'Ikea ci arriveranno tra pochissimo.

jeremy ha detto...

Supermercati aperti di domenica manna dal cielo. Ma credo, Dane, che sia una cosa molto cittadina.

cydella ha detto...

Vabbeh, però pensiamo anche a chi ha famiglia e deve lavorare pure il sabato e la domenica.
E non mi pare che ci fosse gente che morisse di fame quando erano chiusi alla domenica.

Dane ha detto...

@Leo: sei una mezzasega!... :-D

@Cydella: su quello hai ragione, però chi lavora durante la settimana (e magari anche la domenica, no perchè a voi pare strano ma per chi ad esempio cresce in una famiglia che lavora in ambito artistico o dello spettacolo vi assicuro che a volte è un impresa anche solo far la spesa o farsi fare una ricetta dal medico di famiglia...) potrebbe dirti che solo così riesce a fare la spesa.
In fondo il giorno di riposo settimanale è sacro, ma che debba essere la domenica è un retaggio meramente religioso e visto che oggi la religione è sempre più confinata in un valore relativo anche questo aspetto ne risente.
Il tutto secondo me sta nell'organizzare i turni: se un impiegato deve a volte lavorare il sabato in cambio del giorno di riposo durante la settimana e di una domenica al mese (ovviamente adeguatamente retribuita) ci può stare, in ogni caso il coinvolgimento degli studenti credo vada proprio nella direzione di ampliare le aperture senza ammazzare i dipendenti.
Come fanno le ambulanze, ad esempio, che coprono servizi notturni e festivi coi volontari.....

bianca c. ha detto...

http://www.repubblica.it/scienze/2012/04/16/news/barca_fuga_di_cervelli_se_italia_non_migliora_giusta-33394354/
quando si sentono tali studenti! questi possono segnarsi con il gomito se hanno la fortuna di trovare lavoro a sistemare gli scaffali di un supermercato

Dane ha detto...

Bèh, al di là della demenziale pretesa di esser mantenuti allo studio dallo Stato (!!!), per il resto non mi pare abbiano detto grosse castronerie.....onestamente non più di un Ministro che ha implicitamente detto che "qui dobbiamo magnare noi vecchi, voi givoani andate fuori dai coglioni..."

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