1. Intrigo a Stoccarda. Giusto nei giorni dei Campionati del mondo su strada - avessi detto la Race of Champions di Abu Dhabi - un delitto perfetto sta uccidendo la realtà del ciclismo e dei ciclisti, vittime (quasi) innocenti, nell'ordine: dell'impasse governativo ai vertici della Federazione internazionale, dal trastullo allo stallo; della battaglia ugualmente senza idee e senza senso di responsabilità, tra le diverse rappresentanze di categoria (organizzatori, gruppi sportivi, direttori tecnici, atleti, medici); dei tempi tiranni dell'ordinaria giustizia sportiva; del giustizialismo dei professionisti dell'anti-doping; della ver-gogna mediatica azionata dal giornalista collettivo, che strozza l'analisi e la contestualizzazione dei fatti, soffocati dalle non-notizie a sensazione; del movimentismo senza direzione, agitato localmente dall'assessore allo sport/presidente del comitato di turno (ci mancava l'interpellanza al Ministero degli interni tedesco). Dall'esterno, tutto fa pensare a un (tentato) suicidio collettivo.
2. Scommettiamo? Dimenticheremo presto casi, casini e mai memorabili cronache della vigilia. Dimenticheremo tutto, Bennati escluso e Tosatto incluso, già sedotto e abbandonato, il convocato di troppo nella Nazionale dei pochi gregari, del nessun dogma, del liberi tutti. Dimenticheremo che ogni limite del CT ha una pazienza, ché Ballerini è uomo di mondo e ha fatto fare il Mondiale a Cunego (ma servivano uomini di fatica o caporali?). Dimenticheremo i vuoti a perdere della politica, basterà vincere. Scommettiamo? Il poker di Freire Gomez lo danno a 4 o a 5 in mezza Europa. Il bis di Bettini paga più o meno uguale, Pozzato oro fino a 15. I bookmaker belgi puntano molto su Voigt e Rebellin. Più interessanti le quote per Dekker primo (da 30 a 40) e per Zabel piazzato (da 9 a 20). E va bene, dimenticheremo di aver fatto i conti anche su quelle di Di Luca: ironia della sorte, quasi le stesse di Valverde iridato, da 15 a 20. Finalmente domenica si corre.
3. C'era una Vuelta regina del pre-Mondiale, diranno i nostri venticinque lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. Quell'evento non c'è più, ha perso di consistenza e appeal: l'ha vinto un calendario internazionale ritoccato sexy, ma tutt'altro che eccitante per il grande pubblico. Gli ascolti di una gara regolarmente mediocre - appannaggio del regolarista Menchov - sono andati giù in picchiata come neanche Samuel Sanchez dall'Alto del Monachil (Video: http://www.youtube.com/watch?v=liMomlOvLxs ). L'anticipo di due settimane dei Campionati (fino al 2004 rivoluzionati a ottobre) l'ha condizionata al defaticamento nel periodo di stanca post-Tour. Come da consuetudine, gli habitués della rassegna iridata lasciano la Spagna tra la decima e la quindicesima tappa, ormai sufficientemente allenati: muchas gracias, adiós amigos e chi s'è visto s'è visto. La camiseta amarillo finiscono subito per contendersela in due o tre. I piazzamenti giù dal podio, di conseguenza, nessuno se li fila. E pensare che nove anni fa, per un semplice quarto posto a Madrid, sgomitavano cattivi Roberto Heras, Laurent Jalabert e tale Lance Armstrong.
4. Milano. Invidiare Fabrizio Macchi. Invidiargli la gamba piena e potente, da ciclista vero (singolare che ne abbia una sola, e che pedali comunque ben messo in sella, oltretutto alleggerito nel peso). Invidiargli le prestazioni su strada e su pista, migliorate d'anno in anno. Invidiargli la bella famiglia d'origine e quella bellissima che ha poi originato, da moglie Patrizia a figlio Thomas. Invidiargli persino le frequentazioni più o meno VIP, Very e Varese Important Person: tipo Alberto Tomba istruttore di sci, Fabrizio Frizzi testimone di nozze, Lance Armstrong amico del destino, Carlo Santuccione medico di fiducia, Bruno Arena dei Fichi d'India, Garzelli, Zanini e quant'altri pro di zona. Letto veramente il suo “Più forte del male” (Piemme, a cura di Pietro Cabras). Presentato in Mondadori Duomo - no cafonal - dal Candido Cannavò di “E li chiamano disabili”, Rizzoli 2006. Più che normale, che questo secondo non raccontasse di Fabrizio Macchi.
Come se ASO, RCS e Unipublic potessero accettare il declassamento delle competizioni che organizzano, offerto loro da Patrick McQuaid in cambio della costituzione di un nuovo ProTour, composto in tono minore (quasi la vecchia Coppa del mondo, più le corse a tappe che ci stanno). Una proposta indecente, forse senza troppe alternative. Come se il chiacchierato Alberto Contador finisse alla chiacchieratissima Astana, che fu di Manolo Saiz, che fu il suo mentore degli inizi. Se non è un pour parler, tutto torna.
5. Come se Floyd Landis non fosse riuscito a dimostrare all'USADA la sua innocenza, provando però l'inefficacia di certo anti-doping, pagata al prezzo dei migliori avvocati della California. Verrebbe persino da dargli credito, proprio ora che è sommerso dai debiti (due milioni di dollari sotto). Come se Oscar Pereiro Sio passasse sopra la maglia gialla del 2006, indossata con quattordici mesi di ritardo. Snobismo? Sarà la svalutazione. Come se ancora una qualche kermesse strapaesana, a prezzo di mercato, si potesse ricordare d'ingaggiarlo: giustizia è fatta, senza sconti per nessuno.
Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it
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