La Coppa del Mondo divora l’identità e la storia personale di tutti quelli che l’abbiano sfiorata, così è stato inevitabile che la morte di Helmut Senekowitsch, avvenuta domenica scorsa a 74 anni, sia stata accolta da coccodrilli ultrasintetici del tipo ‘l’allenatore dell’Austria ad Argentina 1978’. In realtà la carriera in panchina di Senekowitsch è stata molto di più, almeno dal punto di vista quantitativo, fra club austriaci, spagnoli, greci, messicani, tedeschi e ciprioti. Una persona seria e apprezzata, che però facendo la tara agli elogi post mortem non ha lasciato grandissime tracce né negli albi d’oro (un campionato vinto, più varie coppe e coppette nazionali) né nella storia del gioco: insomma, nessun criterio di valutazione a parte quello non dichiarato (la nazionalità dell’allenatore e della testata) l’avrebbe fatto entrare nelle classifiche all time che vengono compilate da sempre ‘autorevoli’ quotidiani. E allora si ritorna al Mondiale, dove Senekowitsch non ha solo allenato, ma anche giocato, da centrocampista offensivo (diciamo mezzala) in quell’Austria allenata da Josef Argauer, che fra le sue fila aveva leggende come Ernst Happel e Gerhard Hanappi, oltre a vari altri reduci dallo straordinario terzo posto del Mondiale 1954 (dove l’allenatore era Walter Nausch).
In Svezia il sorteggio dice subito male all’Austria, che finisce nel girone dell’Urss di Jascin e Simonian, del Brasile favorito pur non avendo ancora vinto una volta e della apparentemente solida Inghilterra di Winterbottom. L’esordio, con Senekowitsch in campo, l’8 giugno a Uddevalla contro il Brasile: José Altafini, all’epoca soprannominato Mazzola o Mazola (in onore di Valentino) è scatenato: due gol, che si aggiungono a quello dell’enciclopedia Nilton Santos, ed Austria inesistente. Tre giorni dopo il Mondiale austriaco finisce a Boras, contro l’Urss campione olimpica: Senekowitsch viene schierato sulla sinistra (l’altra mossa a sorpresa è l’inserimento dei fratelli Kozlicek) e risulta il migliore in campo, l’Austria domina il primo tempo sfiorando una decina di volte il vantaggio, ma a passare sono i sovietici al quarto d’ora con Aleksandr Ivanov che sfrutta un cross di Simonian. Assalto austriaco anche ad inizio ripresa, con un a rete mangiata da Senekowitsch ed un fallo da rigore, dopo dieci minuti, di Kessarev su Stotz. Tira Buzek, e se vogliamo fare un po’ di (cattiva) letteratura diciamo che Jascin lo ipnotizza: in realtà il giovane attaccante viennese tira male e basta, centrale e debole. Da lì in poi è solo Urss, con Valentin Ivanov che chiude il conto su assist del suo omonimo. La partita con l’Inghilterra, sempre a Boras, è importante solo per la squadra di Winterbottom: l’Austria, sempre con un ottimo Senekowitsch (compare in quasi tutte le azioni pericolose, pur non segnando), onora la sua storia e si impegna: ai gol di Koller e Korner rispondono Haynes e Kevan, con il giovane Bobby Charlton ancora lasciato fuori. Passano ai quarti il Brasile e l’Urss, dopo aver vinto lo spareggio con gli inglesi, mentre per l’Austria iniziano vent’anni di tristezza calcistica. Tornerà al Mondiale solo nel 1978, con in panchina proprio il nostro.
Anche qui il sorteggio sembra dire male: nel gruppo tre ci sono infatti il Brasile di Zico, la Spagna e la Svezia. La formazione d’apertura è di quelle scaldacuore: Koncilia, Robert Sara, Breitenberger, Josef Hickersberger (proprio lui, l’attuale c.t. austriaco), Obermayer, Pezzey, Schachner (tre anni dopo l'avrebbe ingaggiato il Cesena), Prohaska (due anni dopo l'Inter), Krankl, Kreuz, Jara. L’esordio è contro la Spagna del mito barcellonista Kubala e subito la nazionale austriaca sorprende: Schachner fugge sulla destra, si allarga e scaglia un destro che gela Miguel Angel. Pareggio del migliore dei tanti Dani del calcio internazionale (il basco all’anagrafe Daniel Ruiz Bazan) e gol vittoria, a pochi minuti dalla fine, di Hans Krankl: non di potenza, come suo solito, ma di rapina. La qualificazione al turno successivo viene ottenuta a sorpresa già alla seconda partita: scontro tatticissimo con la Svezia di Ericsson (senza la kappa e parentele con Sven), paratone di Hellstroem e rigore-vittoria di Krankl, dopo un’entrata scoordinata di Nordqvist proprio su di lui. La partita con il Brasile, giocata a Mar del Plata, è passata alla storia come un grazioso omaggio ad una Selecao sull’orlo dell’eliminazione, quasi come il numero con la Germania Ovest di quattro anni dopo: il gol di Roberto Dinamite, lasciato clamorosamente libero da Pezzey, potrebbe confermare la tesi dietrologica. Perdere due a zero avrebbe mandato l’Austria nel girone dell’Argentina (che il giorno prima aveva perso con gli azzurri al Monumental di Buenos Aires), lo zero a zero avrebbe mandato a casa il Brasile. Meglio per tutti l’uno a zero…
Evitati i padroni di casa, nel girone che qualifica alle finali ci sono però l’emergente Italia, la Germania Ovest campione in carica e quasi tutta la grande Olanda, senza Cruijff in campo ma con Happel in panchina. La sfida fra i vecchi compagni del 1958 viene stravinta dall’allenatore più bravo, più carismatico (Feyenoord e Bruges sono già capitoli chiusi) e con a disposizione i giocatori più forti: 5 a 1, con Senekowitsch distrutto nel morale. Adesso decide la partita con l’Italia, decide Paolo Rossi. Che al 13’ sfrutta un’incomprensione fra Strasser (in campo al posto di Breitenberger) e Koncilia, toccando nel modo che tutti ricordano: un capolavoro di scelta di tempo e di fiducia nei propri mezzi, con il pallone che rotola lentamente in rete. Non si può ridurre la partita a quel gol, perché in realtà si vede un’Italia stanca ma ancora bellissima, soprattutto nel finale, con una prodezza di Koncilia su Cuccureddu e due occasioni divorate in stile Cervia da Ciccio Graziani. Se quella con il Brasile può essere stata la partita del disonore, quella con la Germania Ovest di sicuro è stata quella dell’onore. I tedeschi non perdono il derby dal 1931, cioè dai tempi del Wunderteam di Hugo Meisl e Mathias Sindelar (a proposito, la biografia romanzata scritta da Nello Governato, letta un mese fa, al di là delle licenze poetiche è davvero da consigliare), e ancora sognano la finale per il primo posto. L’obiettivo realistico è quella per il terzo, con l’Olanda che batte l’Italia (come poi avverrà), ma a Cordoba va in scena un delle partite più belle di quel Mondiale, per ovvi motivi da noi vista in differita. Vantaggio di Kalle Rummenigge su assist di Dieter Muller, pareggio con un autogol di Vogts (all’ultimo hurrah in nazionale), due a uno di Krankl con un botta al volo, pareggio di Holzenbein su cross di Bonhof ed assedio tedesco nel finale, gelato dal tre a due di Krankl. La storia Mondiale di Helmut Senekowitsch finisce qui, cioè mai.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
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