Meglio di lui solo Gerd Müller, e scusate se è poco. Ma con i suoi 220 gol realizzati in 349 partite con la maglia del Bayern Monaco, Rainer Ohlhauser è il secondo miglior marcatore di sempre nella storia dei bavaresi, dei quali ha vissuto l’intera fase di genesi di quella super-squadra che negli anni Settanta sarebbe stata in grado di vincere per tre volte consecutive la Coppa dei Campioni. Era il Bayern del Kaiser Beckenbauer, di Müller, Schwarzenbeck, Maier, Hoeness e Breitner, il Bayern dominatore in patria (dove riusciva a tenergli testa solamente il Borussia Mönchengaldbach di Netzer) e in Europa, e i cui elementi costituiranno anche l’ossatura principale della Nationalmannschaft campione d’Europa nel ’72 e campione del mondo nel ’74. Nulla però si costruisce dall’oggi al domani, tanto meno una squadra capace di aprire un ciclo di vittorie difficilmente eguagliabile.
Le fondamenta di quel Bayern furono gettate alla metà dei Sessanta, quando il club era stato clamorosamente escluso dalla neonata Bundesliga, e uno dei principali architetti porta il nome di un generoso attaccante originario di Dilsberg, cittadina del Rhein-Neckar-Kreis, distretto nord-occidentale del Baden-Württemberg, dove è nato il 6 gennaio del 1941; il suo nome, lo abbiamo già visto, è Rainer Ohlhauser. Quando giunge a Monaco di Baviera nell’estate del 1961, acquistato dopo tre buone stagioni con la maglia dell’SV Sandhausen, trova una squadra dalla bacheca scarna e impolverata (l’unico titolo nazionale risale al 1932, al quale si è poi aggiunta nel 1957 la prima Coppa di Germania) che vivacchia a metà classifica, senza infamia e senza lode, nella Oberliga Süd, la prima divisione della lega regionale nella quale i bavaresi sono inclusi. Schierato al centro di un attacco che comprende Willi Giesemann, Peter Grosser e Werner Olk, il 20enne Ohlhauser mostra tutte le sue qualità trovando la via del gol 23 volte la prima stagione e 24 la seconda. Fisico asciutto e atletico, le sue doti principali sono lo scatto micidiale, frutto di un’infanzia che lo ha visto eccellere nei campionati giovanili di atletica leggera nella specialità dei 100 metri, la buona capacità di tiro e un innato senso della posizione che gli permette di essere sempre nel posto giusto al momento giusto, una qualità quest’ultima sulla quale il suo “allievo” Gerd Müller costruirà l’intera carriera.
Nella stagione ’63-64 la svolta; la Ferdercalcio tedesca, al fine di incrementare il livello di gioco nel paese, decide di istituire un campionato professionistico per tutto il territorio tedesco e comprendente i migliori i club del paese. Il criterio di scelta è meritocratico; per ogni lega regionale accederanno al nuovo campionato, chiamato Bundesliga, le squadre che negli ultimi anni hanno ottenuto i risultati migliori. Il Bayern, a dispetto delle ultime stagioni concluse in posizioni di vertice, viene escluso a favore dei “cugini” del Monaco 1860 in quanto la Federcalcio ha deciso di non ammettere nella prima Bundesliga due squadre della stessa città. Ai bavaresi tocca quindi ripartire dalla Regionalliga Süd. La batosta fa scoccare la scintilla nel presidente del club Wilhelm Neudecker, il cui grande obiettivo diventa quello di costruire una squadra capace non solo di centrare la promozione al primo colpo, ma anche di arrivare ai vertici del calcio tedesco. Due sono le linee guida: un nuovo allenatore e largo spazio ai giovani di talento. C’è però bisogno di tempo; al primo anno, arrivati sulla panchina lo slavo Zlatko “Tschik” Cajkovski (playmaker della nazionale jugoslava ai Mondiali del ’54 e tecnico del Colonia campione di Germania ’61-62) e in prima squadra i baby Franz Beckenbauer e Sepp Maier, il Bayern si ferma ai play-off promozione, nonostante un Ohlhauser in stato di grazia realizzi 33 reti in 35 partite. Ma il bomber tedesco si supera la stagione successiva, che vede l’arrivo in attacco di Gerd Müller dal Nördlingen, firmando 42 gol in 36 partite e laureandosi capocannoniere di tutte le Leghe regionali tedesche, per un primato che resiste ancora oggi. Il Bayern, in campo con una squadra dall’età media di 21.8 anni, liquida ai play-off Alemannia Aachen, Saarbrckücken e Tasmania Berlino, e conquista la promozione con una media reti che sfiora le quattro a partita.
In Bundesliga per Ohlhauser diminuiscono i gol, mai comunque sotto la doppia cifra in tutte e cinque le stagioni disputate, ma arrivano i primi trofei, con tre Coppe di Germania (’66, ’67, ’69), un campionato nazionale (’69, con Branko Zebec che ha sostituito Cajkovski in panchina) e una Coppa delle Coppe (’67, vittoria 1-0 in finale sui Rangers Glasgow) conquistate in quattro anni. Per “Oki” paradossalmente l’annata migliore risulta essere quella del ’67-68, nella quale i bavaresi restano all’asciutto nonostante i 19 centri del nostro. Ma la nuova generazione di fenomeni avanza inesorabilmente e Ohlhauser, per non perdere il posto, viene “retrocesso” a centrocampo, dove vengono privilegiate le sue doti di assist-man. In questo ruolo disputa anche la sua prima e unica partita con la maglia della nazionale, il 18 dicembre 1968 in un incontro amichevole perso dalla 2-1 Germania Ovest in Cile nel corso di una tourné sudamericana della Nationalmannschaft. Nell’estate del ’70 Ohlhauser lascia la Germania firmando per gli svizzeri del Grasshopper, club nel quale chiuderà cinque anni dopo la sua carriera da professionista dopo aver vinto, nel 1971, il titolo nazionale, al quale contribuisce con 9 reti. Ritorna in patria nelle vesti di allenatore-giocatore in squadre delle serie minori, poi un paio di altre esperienze in Bundesliga (vice-allenatore di Amburgo e Borussia Dortmund) e in Svizzera (tecnico del Basilea stagione 82-83) prima del progressivo allontanamento dal mondo del calcio. Apre un’agenzia postale vicino a casa, a Dilsberg, dove risiede tuttora: sconosciuto ai più, mai dimenticato dal popolo del Bayern.
Alec Cordolcini
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