1. Maglietta griffata D & G, jeans a metà natica, dente d’oro, skateboard, hip-hop sparato dalle cuffie del suo i-Pod. E poi una gabbia dorata chiamata Real Madrid. Troppo presto, troppo in fretta, troppo di tutto; Royston Drenthe (foto) è un talento che rischia seriamente di bruciarsi. Non vuole essere ceduto in prestito, le sue chance vuole giocarsele tutte in casa Merengues. Dove però pesano i 13 milioni di euro versati la scorsa estate nelle casse del Feyenoord, e forse adesso anche qualcuno nella stanza dei bottoni madridista inizia a realizzare che il vero affare lo ha fatto il club di Rotterdam. Non perché Drenthe sia un bidone, anzi, la materia prima su cui lavorare non manca, quanto perché al momento della scelta si è deciso di anteporre il giudizio estetico a quello meramente tecnico, senza approfondimenti di sorta; indubbiamente alla fine dell’ultimo Europeo under-21 il nome più gettonato era proprio quello di Drenthe, a cui erano bastate sei partite (anzi meno, visto che in finale era stato uno dei più opachi tra gli oranje) nel vincente torneo casalingo per assurgere allo status di stella di un intero movimento calcistico. Da zero a mito, da energico ragazzone a “orsacchiotto nazionale”, come ribattezzato dalla rivista Trouw. Poche settimane prima dei flip-flap alla Ronaldinho però Drenthe era un perfetto sconosciuto a chiunque non frequentasse abitualmente gli ambienti della Eredivisie, e non poteva essere altrimenti dal momento che il giocatore aveva appena concluso la sua stagione d’esordio con la prima maglia del Feyenoord, dove aveva messo in mostra fisicità, freschezza atletica e tanta grinta. Doti che il pubblico del De Kuip, costretto a sorbirsi uno dei peggiori Feyenoord dell’ultimo quindicennio (era stata fallita anche la qualificazione alle coppe europee), mostrava di gradire soprassedendo sulle amnesie difensive e l'assoluta anarchia tattica del nostro, accontentandosi della travolgente vitalità di un 19enne senza macchia e senza paura. Del resto, in un regno di ciechi chi possiede un solo occhio è re. A Madrid però risiedono alcuni dei migliori falchi del pianeta, e nel giro di sei mesi i nodi sono venuti al pettine. Tatticamente troppo indisciplinato per fare il terzino, lo spostamento in avanti incontra il muro di una concorrenza di altissima qualità. Se poi ci si mette anche il carattere, fin troppo effervescente sin dai tempi delle giovanili, le sbarre della prigione di Madrid si fanno sempre più soffocanti, soprattutto se ti dimentichi delle partite infrasettimanali. E' successo lo scorso 19 dicembre, quando è toccato a capitan Raul accompagnarlo in fretta e furia all'aeroporto di Madrid con la squadra in partenza per Alicante, dove era in programma un incontro di Copa del Rey. Che il Real Madrid ha giocato malissimo e Drenthe pure peggio. Poco dopo però l'Uefa lo ha inserito nella lista dei candidati per il ruolo di terzino sinistro nella squadra dell'anno. Una luminescenza residua di un bagliore esploso nei cieli d'Olanda più di sei mesi fa. Per tornare a brillare, è necessario sgonfiare un pò l’ego.
2. Sorteggio integrale e partita secca; non lo scopre certo Radio Olanda che questi sono i criteri migliori per rendere viva e interessante una coppa nazionale. L’edizione 2007-2008 della Coppa d’Olanda ne è un ottimo esempio; sorprese, ribaltoni e colpi di scena sono stati finora all’ordine del giorno, tanto che nei quarti di finale sono presenti quattro squadre di Eredivisie (una di vertice, il Feyenoord, due di medio calibro, Roda e Nac Breda, e una da zona retrocessione, l’Heracles Almelo) a fronte di tre di Eerste Divisie (Zwolle, Haarlem e Dordrecht) e addirittura un club dilettante, i Quick Boys di Katwijk, appartenenti al girone A della Zaterdag Hoofdklasse, equivalente dell’italiana Serie C ma interamente amatoriale. Fuori l’Ajax, inopinatamente caduto 4-2 a Breda dopo aver sfiorato il ridicolo un paio di turni prima battendo solo ai supplementari i dilettanti dei Kozakken Boys (quel giorno il terzino sinistro Samuel Scheimann ha probabilmente disputato la partita della vita, dal momento che subito gli ajacidi gli hanno proposto uno stage), fuori il Psv Eindhoven, “vittima” di un errore amministrativo (il club ha schierato un giocatore squalificato, Manuel Da Costa) che gli è costato la sconfitta a tavolino contro lo Jong Heerenveen, fuori Az Alkmaar, Twente e Groningen. Nessuno si lamenta dei sorteggi, nessuno si rallegra in caso di eliminazione. Quando si dice la cultura sportiva…
3. Esiste una stracittadina più scontata del derby di Rotterdam quando scende in campo il Feyenoord? Risposta affermativa, almeno dopo aver visto la sfida del Woudestein contro l’Excelsior vinta da quest’ultimi 2-1, per un successo che fa il paio con il rocambolesco 4-3 (il risultato all’89’ era 2-3) inflitto all’altra squadra di Rotterdam, lo Sparta, lo scorso 3 novembre. Un Feyenoord scandaloso (parola usata dal tecnico Bert van Marwijck, che sottoscriviamo in toto) che lascia all’Excelsior, almeno per qualche mese, il platonico titolo di regina cittadina; una bella rivincita per una società da sempre vissuta nell’ombra delle altre due, un destino da sparring-partner impresso nel Dna. Il Feyenoord è la squadra di vertice, lo Sparta la nobile decaduta dal passato (remoto) comunque nobile e vincente; il Feyenoord è la squadra della classe operaia, lo Sparta quella dell’aristocrazia; il Feyenoord celebra i propri riti nella cattedrale del De Kuip, lo Sparta nella fascinosa abbazia dell’Het Kasteel, il più vecchio stadio olandese. L’Excelsior non è mai stato niente di tutto questo; un club di quartiere (Kralingen) poco caratterizzato a livello sociale, con una storia che si nutre di momenti ma mai di successi ed un impianto da 3500 anime che si fatica a riempire per intero. Una squadra, come ama ripetere l’attuale tecnico Ton Lokhoff, “che non fa certo strage di cuori tra i ragazzini”. Qui al massimo ci trovi qualche giovane promettente come Kees Luijckx, uno di quelli che appena fa mezza stagione sopra la media viene immediatamente cooptato da club più ambiziosi (di norma il Feyenoord, vedi Buffel, Salomon Kalou, Drenthe, Bruins e Slory, quest’ultimo arrivato lo scorso anno fino alla nazionale, un evento che in casa Excelsior non si registrava dal lontano 1953); il resto è composto da onesti mestieranti e qualche vecchia gloria, da gente come le eterne promesse Renè van Dieren e Mitchell Piquè, un grande futuro dietro le spalle, o come l’ariete Johan Voskamp, specialista nel segnare da subentrato, quasi inguardabile quando gli vengono concessi i novanta minuti. Qui la massima aspirazione è una salvezza da conquistare prima dell’ultima giornata. E dimostrare che il derby di Rotterdam non è così scontato come si è portati a credere.
4. Charlotte-Sophie Zenden, sorella minore dell'ex nazionale Boudewijn nonché attuale compagna del centrale dell’Ajax John Heitinga, possiede in egual misura avvenenza e risolutezza. Il suo grande desiderio è infatti quello di “vivere un’esperienza all’estero”. Una dichiarazione che vale più di mille voci di mercato; adesso sappiamo con certezza quale sarà il prossimo giocatore a lasciare l’Amsterdam Arena.
5. Ruud Gullit è stato uno dei più grandi giocatori olandesi di sempre. Secondo il giornalista Humberto Tan, il Tulipano Nero rappresentava la perfetta sintesi del giocatore surinamese che coniugava lo stile estroso e imprevedibile del calcio brasiliano con le qualità tecniche e organizzative del calcio olandese. Un mix letale di classe, stile e tecnica accorpate a rapidità efficienza e grandi doti atletiche. “Senza i giocatori del Suriname”, conclude Tan, “oggi l’Olanda probabilmente giocherebbe in un modo molto simile alla Germania”. Abbiamo citato Gullit perché recentemente ci è stato chiesto via mail se l’ex milanista fosse stato ai tempi un poco sopravvalutato. La risposta è assolutamente negativa, almeno per quanto riguarda il giocatore. Il discorso cambia passando all’allenatore Gullit, di cui ricordiamo un unico lampo (la FA Cup con il Chelsea) e tanti disastri, in attesa di vedere come si evolverà la sua esperienza negli Stati Uniti con i Los Angeles Galaxy. Quando guidava il Feyenoord Gullit ha stabilito un piccolo primato negativo, che emerge dalla lettura di 'Feyenoord 100 Tops & Flops', il libro recentemente pubblicato in occasione del centenario del club di Rotterdam e dedicato alle stelle e ai bidoni che hanno calpestato l’erba del De Kuip dal 1908 al 2007. Dei 100 flop selezionati, ben dieci portano la firma del buon Ruud, che aveva tenuto fede alla vocazione marinara della città di Rotterdam trasformando il Feyenoord in un autentico porto di mare in cui transitavano carneadi bulgari (Ivan Bandalovski), brasiliani (Gerson Magrao), tunisini (Karim Saidi, visto anche in Italia a Lecce), francesi (Bruno Basto, “sottiletta” per gli amici) e americani (Cory Gibbs), più un paio di personaggi con buone referenze presto naufragate in un oceano di mediocrità (il nazionale svedese Alexander Ostlund, il portiere ungherese Gabor Babos) e una manciata di miracolati olandesi (Pascal Boschaart, Edwin de Graaf, Maikel Aerts). Considerando che Gullit è rimasto sulla panchina del Feyenoord poco meno di un anno, stiamo parlando di quasi un bidone al mese…
Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it
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