Fino agli anni Sessanta Ac Torino (così denominato sotto il fascismo) e Juventus continueranno ad avere una vita separata. Tanto che mentre la Juve vince e stravince al “Corso Marsiglia” prima e al “Mussolini-Comunale” poi, i granata inseguono il proprio mito, in un mito. Quello del “Campo Torino”, di via Filadelfia. Negli anni (soprattutto negli ultimi) si sono scritti fiumi di articoli e libri, sul terreno di uno dei campi storici del calcio italiano. Si è cercato di salvarlo dal decadimento, si sono organizzati musei, mostre, marce di protesta e sottoscrizioni. Ma non è valso a nulla. Di quei gradoni a picco sul terreno di gioco, di quel sottopassaggio che fu di Valentino Mazzola, della fucina di grandi campioni del settore giovanile che divenne poi, non rimane che un campetto brullo. Difficile aggiungervi qualcosa di davvero originale, anche se a volte basta accettare di unirsi al coro e raccontare. Quel poco o tanto che si sa.
Il 17 ottobre 1926, nell’area dei mercati generali (a pochi metri dall’attuale “Olimpico”) fu inaugurato dal principe ereditario Umberto il “Campo Torino” che di sabaudo aveva poco e d’inglese molto. Capienza fra i 20mila e i 25mila spettatori, di cui solo un quarto a sedere (in tribuna coperta). Il Filadelfia, così fu subito chiamato dai tifosi granata, venne edificato per volontà del Conte Enrico Cinzano, allora presidente granata, su elementare ma efficace progetto dell'ingegnere Gamba. La prima gara annunciò lo strapotere di una società che, poi, avrebbe dominato: il Toro battè 4-0 la Fortitudo Roma davanti a 15mila spettatori. Fu solo la prima di tante goleade e vittorie di una società che, in quella casa, avrebbe segnato più di un epoca. Lì il Torino avrebbe vinto sei dei suoi sette scudetti e giocato per oltre 600 volte, fra Campionato, Coppa Italia e Coppe Internazionali, raccogliendo qualcosa come 390 vittorie con quasi 1500 gol segnati. Venne utilizzato stabilmente dal 1926/1927 al torneo 1945/1946, quindi, con l’eccezione di qualche stagione fino al 1962/1963, nella quale il Torino disputò le proprie partite interne sia al Filadelfia che al Comunale. Nel campionato 1963/1964 venne disputata solo la Coppa Italia, prima dell'abbandono definitivo. Singolare una coincidenza: nel 1958/59 il Torino, Chiamato Talmone, giocò sempre al “Comunale” e retrocesse per la prima volta nella sua storia. Giusto un decennio dopo la tragedia di Superga. Onorevole la sua fine: proprio al “Fila”, da fine Sessanta in poi, il Torino Calcio decise di impostare il suo settore giovanile. Centinaia di calciatori professionisti e decine di giocatori delle varie nazionali si formeranno all’ombra di quegli spalti. Sempre più mal tenuti, sempre più decrepiti. Negli anni ’90 furono abbattute le tribune e si ricominciò a parlare di ricostruzione dello stadio, almeno in parte, da destinare a gare delle giovanili. Fra tentativi di speculazione sventati e comitati per il suo salvataggio il “Fila “, o meglio il suo ricordo, è ancora lì in attesa di un futuro degno, fatto di almeno un nuovo terreno di gioco e spogliatoi adatti a squadre professionistiche. Degli spalti che furono non esiste più nulla, nemmeno il sogno di una riedificazione. Il resto è racconto che si confonde con la fiaba e diventa leggenda reale.
Come quella del “Trombettiere del Filadelfia” che suonava la carica quando Mazzola e compagni apparivano più svogliati del solito, magari annoiati dal loro strapotere. Quella tromba suonò un’ultima volta solo dopo la tragedia di Superga, prima di essere recuperata tanti anni dopo e conservata nel museo del Grande Torino. L’ultima gara, con capienza ridotta a 1.500 spettatori, il “Campo Torino” la ospitò nell'estate del 1986 per la semifinale di un dimenticabile Torneo Estivo. Il Pisa battè il Torino 2-1, mentre l’ultimo granata a segnarvi in campionato era stato un certo Enzo Bearzot nel maggio del 1963. Massì, forse ha ragione lo sceneggiatore che in un film dedicato al Grande Torino e al suo “Fila” fa dire a Giorgio Albertazzi: “Vedi, amico mio, il tempo quando entra qui si ferma un attimo e si toglie il cappello…”. E non fa niente che non ci sia, oggi, un vero posto in cui entrare. Già basta che non ci sia, in quei luoghi, un supermercato. Raccontò un ex giocatore granata degli anni Cinquanta: “…Giocare al Fila, oltretutto era comodo. Con gli spalti a ridosso del campo, si partiva già in vantaggio. Si potevano sentire non solo le urla, ma anche i respiri dei tifosi. Per gli avversari, per chi non c’era abituato insomma, giocare lì poteva trasformarsi in un incubo”. (fine quarta parte - la storia degli stadi di Torino continua mercoledì 13 febbraio 2008).
Fiorenzo Radogna
fiorenzoradogna@tele2.it
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