Non è un caso che di tetto degli ingaggi a livello europeo parli la lega europea meglio gestita, cioè la tedesca DFL, attraverso il suo presidente Reinhard Rauball. In un'intervista a Kicker il dirigente ha parlato di un massimo 50% del fatturato da destinarsi al personale. Per la verità anche questo meccanismo porterebbe a storture, perché è chiaro che in ogni caso il Bayern fatturerà più dell'Hoffenheim, ma come inizio non sarebbe male ed eviterebbe la deriva verso uno sport senza identità, in cui il primo miliardario o anche il primo millantatore (campione mondiale il Domenico Barbaro dell'estate 2001, che per dieci giorni mise lo sport di Reggio Calabria al centro del mondo, ingaggiando Myers e Recalcati e contattando Sabonis, prima di scomparire nel nulla) possono distruggere storie secolari. Il problema vero, che purtroppo non potrà risolvere nemmeno un Platini ispirato, non è tanto il nero o tarocchi come i diritti di immagine (trucchi eticamente sporchi, ma a livello di bolancio formalmente esterni alle società) quanto la differente imposizione fiscale fra paesi. Si potrebbe risolvere la questione centralizzando i pagamenti (a Nyon ci sarà una banca, crediamo) dopo avere ricevuto le somme dai singoli club. Però diciamo la verità: non ci crediamo. Per quale ragione chi ha acquisito un vantaggio competitivo incolmabile, grazie soprattutto ai soldi della Champions League, dovrebbe rimescolare le carte? E per quale ragione la UEFA dovrebbe toccare il suo motore finanziario? Accontentiamoci di uno sport strutturalmente disonesto, dove i grandi club, quelli con lo sceicco (anche di nome Moratti) o rendite di posizione politiche, non hanno alcun merito nell'essere più forti di quelli piccoli.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
4 commenti:
Penso anch'io che ci siano forti limiti alla riformabilità del calcio. E penso che noi tifosi siamo peggiorati, in questi vent'anni, perché oggi non troveremmo così eccitante uno scudetto a Verona, Firenze, Bologna. Primo colpevole, la tv: anche nel calcio, l'audience è diventata l'unica unità di misura.
Ma che bella novità, qualcuno cui sta sulle palle Moratti. Il quale se perde è un ricco scemo, se vince non ha alcun merito, perchè si sa, con i soldi compri chi vuoi. Nulla importa se tal Berlusconi s'è comprato di tutto e di più(calciatori, intendo) per illustrare il suo ventennio. del resto gli Agnelli non spendevano un cazzo per rinforzare l'equipe di famiglia. Ed anche a Roma, per vincere qualcosa, hanno speso talmente poco da mandare fallito un impero economico. Tutte le squadre più forti erano tali grazie alla grande affluenza di grandi cmpioni, pagati e strapagati. Mo' che sembrerebbe toccare all'Inter, quantomeno nel bel paese, vien di moda il moralismo economico. Mi sta bene, ma iniziamo a cambiare quando a piccolo cesare tornerà la voglia di investire nel calcio o quando gli eredi degli Agnelli faranno altrettanto.
Non possiamo ogni volta fare l'elenco dei dirigenti con un'etica sportiva vomitevole al di là delle pendenze giudiziarie, come esempio ne scegliamo uno alla volta. Spesso è stato il turno di quelli da te citati. Per me una competizione in in cui il novanta per cento dei partecipanti non solo non può vincere nel presente, ma nemmeno ha ambizioni realistiche per il futuro, non è sport ma solo sbobba per tenere inchiodate al divano milioni di potenziali teste di cazzo e milioni (qualcuno di meno) di teste pensanti. Insomma, non è interessante anche se ognuno è attaccato alle sue passioni: prova a dire ad un tifoso della Ferrari che la Formula Uno non conta niente.
Direttò!Standing ovation,anzi stendi ovescion!Clap clap clap.
Però se scrive così non la invitano ai premi del giornalismo autorevole,compassionevole,durevole...
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