L'Europa impossibile del PSV


Park-Ji Sung era il monumento dell’inutilità applicata al calcio nei suoi primi mesi in Olanda. Alex lasciava buchi grandi quanto crateri in difesa, Gomes veniva chiamato clown, Lee-Young Pyo sembrava un corridore che aveva sbagliato sport. Questo per dire che le apparenze spesso ingannano, e che prima di bollare il nuovo acquisto come bidone o fallimento bisogna armarsi di pazienza e attendere un po’. E’ ciò che faremo lasciando il beneficio del dubbio a Rodriguez, Isaksson, Manco e Amrabat, nella speranza che non diventino presto i nuovi Diego Tardelli, Robert e Archie Thompson. Ma troppo brutto è il Psv Eindhoven di quest’anno per chiedere agli ultimi arrivati (tra cui va incluso anche il prodotto del vivaio Wuytens) di dargli una scossa, quando è la vecchia guardia (Salcido, Simons, Afellay) la prima a tradire. Perché nello sfacelo tecnico-tattico del Psv in Champions League, cinque sconfitte in sei partite e un’eliminazione sacrosanta, le responsabilità iniziano proprio dai leader mancati della squadra. Il divario tecnico che separa il Psv dalle big d’Europa era presente e ben visibile anche durante la gestione Hiddink, eppure veniva camuffato dietro un’organizzazione di gioco pressoché perfetta, anche se decisamente poco estetica. Con Huub Stevens è rimasta la bruttezza del gioco ma non l’efficacia. Se c’è una critica da rivolgere al tecnico del club di Eindhoven è quella di aver insistito per troppo tempo con un modulo, il 4-5-1 (o 4-4-1-1), troppo remissivo, senza avere gli uomini adeguati per farlo. Con l’asse Gomes-Alex-Cocu la base era di cemento armato, con Isaksson-Brechet-Wuytens è argilla. Gente come Culina e Kromkamp sono bassa manovalanza, Salcido è inspiegabilmente regredito, Marcellis deve ancora fare strada prima di diventare il nuovo Stam, ma la delusione maggiore deriva dalla latitanza di Simons e Afellay, quest’ultimo soprattutto a livello di carisma. L’unica arma poteva essere un tridente, peccato che Koevermans (l’unico a tenere alta la bandiera del Psv in Europa) e Lazovic ci abbiano messo circa quattro mesi a convincere Stevens che potevano anche giocare assieme, e Nijland e Dszudszak siano stati estratti dalla naftalina solo recentemente. Inspiegabile poi il poco spazio concesso a Bakkal, jolly che riesce ad unire quantità e qualità. Con il 4-3-3 sono arrivate due belle vittorie in campionato, l’ultima un 4-2 al Groningen in rimonta (doppietta di Bakkal, tanto per gradire). Le magagne restano, perché la squadra non è stata costruita con oro e platino, però almeno si prova a costruire qualcosa. Lo scorso maggio, pochi giorni dopo la festa scudetto, il presidente del Psv Jan Reker ringraziò il tecnico uscente Seff Vergossen con le seguenti parole: “Direi che il suo apporto è stato minimo, il Psv è come una macchina che si guida con il pilota automatico”. Una macchina che in un paio di stagioni si è trasformata da Bmw in Force India.
Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto)

1 commento:

Federico Casotti ha detto...

Amaramente d'accordo con la tua analisi. Sui nuovi acquisti: Rodriguez, Manco e Amrabat hanno sinora avuto poco spazio per motivi diversi, ma credo siano giocatori su cui fare affidamento. Pollice verso su Brechet (ma nessuno a Eindhoven ha controllato il suo cv?) e su Isaksson. Lo svedese ha limiti evidenti sulle palle alte e nelle prese, e non da ora. Wuytens credo sia nella migliore delle ipotesi troppo acerbo, nella peggiore semplicemente non da PSV.

Sulla vecchia guardia: Afellay a mio parere ha pagato aspettative troppo elevate, mentre la chiave del tracollo sta in Timmy Simons. Gli ultimi tre titoli del PSV portano in calce la firma del belga, fondamentale come vertice basso del centrocampo. Spostarlo in difesa mi è parsa una mossa tatticamente suicida, ed è clamoroso che venga dalla mano di un tecnico come Stevens. Mi sorge il dubbio che non abbia visto neanche una partita del PSV degli ultimi tre anni...