Andy Murray ha capito cosa vuol dire essere favorito. L'ha capito lasciando un campo da tennis testa china e borsone sulle spalle, mentre il suo avversario - lo spagnolo - salutava la folla con la sorpresa negli occhi. «Vamos Fernando» gridava la folla degli Australian Open, per festeggiare la prima vera sorpresa del torneo, considerando che se le cose fossero andate come da pronostico ci sarebbe stato invece il record: le prime otto teste di serie nei quarti di finale. Invece non è così, grazie a Verdasco o forse grazie a Murray che si è perso per la strada del match sotto il peso dei giudizi da favorito. «Ma per me non è un disastro - ha detto alla fine -: io gioco nello stesso modo sia quando devo vincere per forza sia quando sono sfavorito. Ci sono giorni in cui devi dire bravo al tuo avversario e basta». Sarà così, però finora Fernando Verdasco aveva fatto parlare di sè principalmente per il suo fidanzamento con la reginetta serba Ana Ivanovic, legame rotto proprio alla vigilia degli Australian Open di comune accordo per potersi concentrare meglio sul tennis. A lei è andata male, a lui molto meglio. Mentre Murray, che nei tornei di antipasto degli Open aveva battuto sia Nadal che Federer (due volte), ora medita sulla dura vita da favorito, dopo un'esistenza di rincorsa passata pure per la strage di Dunblane, quella della sua scuola: lui quel giorno c'era e si salvò per miracolo. Non si è salvato invece dalle accelerazioni di Verdasco e ora ripete convinto: «Ci saranno altri Slam nella mia vita: non so se sarò sempre favorito, ma so che posso vincerne almeno uno». Per carità, la vita -anche tennistica - è lunga. Eppure Roger Federer, che di queste cose se ne intende, l'aveva avvertito alla vigilia del torneo: «Non so perché tutti dicano che Murray è il favorito. Vincere un torneo è una cosa, vincere uno Slam con tutti gli occhi addosso è un'altra. Nadal e io sappiamo come si fa. Lui ancora no». Come dargli torto, ora?
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