Ulula, sibila, scoppia. Musica futurista per il basket che ha scelto Dino Meneghin come presidente, per un movimento che non deve poi essere tanto disastrato se il miglior allenatore europeo è l’italiano Messina, se la Spagna, argento olimpico, sceglie l’italiano Scariolo per arrivare fino a Londra, Olimpiadi del 2012 dove forse l’Italia non ci sarà, ma dove potremmo anche arrivare se tutto girerà intorno all’unico sole. Forse è per questo che abbiamo dormito male, aspettandoci l’ultimo colpo di coda anche in un’assemblea blindata da Gianni Petrucci, il presidente del Coni che, bisogna riconoscerlo, ha allevato il dirigente Meneghin proprio come si fa nei vivai, portandolo passo dopo passo a questa investitura che sarà salutata da cento colpi di cannone, ma che, subito dopo, avrà la verifica del primo brindisi e allora attenzione alla fialetta degli scontenti, quelli che si metteranno a lavorare per dimostrarci che i grandi campioni stanno bene in campo, ma poi fuori, quando devono dirigere loro, balbettano, non sono più tanto vivaci e spiritosi. Con questa scusa, per anni, le federazioni hanno tenuto lontano i loro campioni: bravi, mettetevi in posa, state in vetrina, ma poi fatevi da parte, qui non è ambiente per dirigenti dilettanti che non sanno leggere e spigolare su una nota spese, che non conoscono la legge del famoso ti do per avere qualcosa: un raduno, una partita, una convocazione. In effetti solo atletica (Arese) e nuoto (Barelli che, però non è stato al livello del Dino e del mezzofondista di Centallo) hanno sperimentato il campione in sala comando, per gli altri sale d’attesa e silenzio cominciando dal calcio che al nome Rivera si fa venire l’orticaria. Certo che le feste per Meneghin sono finite, ma, conoscendone il carattere, se si affiderà a consiglieri giusti non potrà sbagliare perché lui può davvero intervenire dove altri passeggiavano incauti: cambiare molto, rivitalizzare campionati e vivai, ma tenendo presente che il professionismo ha bisogno di certezze e non può essere indebolito soltanto per fare demagogia.
Agitarsi sapendo che non ci potranno essere sorprese nell’urna, ma anche per aver letto cose che ci hanno messo di cattivo umore nella vigilia di questa terza giornata di ritorno dove Siena corre per il record del 18 su 18 contro Teramo, l’unica che l’abbia fatta soffrire davvero, dove Nando Gentile gioca per il 9 su 9 che gli permetterebbe di eguagliare il Repesa che gli ha lasciato il posto nella Roma bella dove arrivano i ragazzi di Biella ancora sotto choc per il regalo fatto proprio a Teramo, dove Milano riapre il Palalido che dal prossimo anno, capienza 5000 posti, ma sarà vero?, sarà possibile?, dovrebbe essere la casa per il campionato, lasciando l’Eurolega al Forum da bonificare.
Giornata di rivisitazioni per Luca Dalmonte che torna ad Avellino e ci fa cadere cubetti di ghiaccio lungo la schiena quando dice che è quasi sicuro di essere già stato dimenticato in terra di lupi dove fanno causa soltanto agli allenatori che se ne vanno spontaneamente, ma che non sanno cosa dire a quelli che loro cacciano via, ma questa è una malattia congenita nello sport italiano. Strano il discorso dell’elettrino di Imola che in quel palazzo, non sempre caldissimo, ci ha lavorato per tre anni. Non può essere che la gente dimentichi, che le società non ricordino. Sarebbe doloroso, ma forse Dalmonte ha cercato di proteggersi dall’emozione, ricordando che Avellino, all’andata, non era andata tanto leggera sul cuore del vecchio allenatore, togliendogli il sorriso e le certezze in un avvio di campionato che faceva vedere nero anche quando si stava al sole. Lui vorrebbe salutare da vittorioso, domandandosi cosa abbiamo fatto di male per avere curve vuote, chiedendosi, come tanti, se davvero abbiamo isolato quelli che al campo sportivo vanno soltanto per sfogare il male oscuro che li tormenta, gente che non ha mai amato davvero i suoi campioni, le società per cui dicono di aver perso il senno. No, il senno lo hanno perduto dal momento in cui si sono messi con le spalle girate al campo.
Agitarsi sapendo che non ci potranno essere sorprese nell’urna, ma anche per aver letto cose che ci hanno messo di cattivo umore nella vigilia di questa terza giornata di ritorno dove Siena corre per il record del 18 su 18 contro Teramo, l’unica che l’abbia fatta soffrire davvero, dove Nando Gentile gioca per il 9 su 9 che gli permetterebbe di eguagliare il Repesa che gli ha lasciato il posto nella Roma bella dove arrivano i ragazzi di Biella ancora sotto choc per il regalo fatto proprio a Teramo, dove Milano riapre il Palalido che dal prossimo anno, capienza 5000 posti, ma sarà vero?, sarà possibile?, dovrebbe essere la casa per il campionato, lasciando l’Eurolega al Forum da bonificare.
Giornata di rivisitazioni per Luca Dalmonte che torna ad Avellino e ci fa cadere cubetti di ghiaccio lungo la schiena quando dice che è quasi sicuro di essere già stato dimenticato in terra di lupi dove fanno causa soltanto agli allenatori che se ne vanno spontaneamente, ma che non sanno cosa dire a quelli che loro cacciano via, ma questa è una malattia congenita nello sport italiano. Strano il discorso dell’elettrino di Imola che in quel palazzo, non sempre caldissimo, ci ha lavorato per tre anni. Non può essere che la gente dimentichi, che le società non ricordino. Sarebbe doloroso, ma forse Dalmonte ha cercato di proteggersi dall’emozione, ricordando che Avellino, all’andata, non era andata tanto leggera sul cuore del vecchio allenatore, togliendogli il sorriso e le certezze in un avvio di campionato che faceva vedere nero anche quando si stava al sole. Lui vorrebbe salutare da vittorioso, domandandosi cosa abbiamo fatto di male per avere curve vuote, chiedendosi, come tanti, se davvero abbiamo isolato quelli che al campo sportivo vanno soltanto per sfogare il male oscuro che li tormenta, gente che non ha mai amato davvero i suoi campioni, le società per cui dicono di aver perso il senno. No, il senno lo hanno perduto dal momento in cui si sono messi con le spalle girate al campo.
Oscar Eleni
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