Gli studi degli scommettitori sono spesso volti a dimostrare la bontà del metodo proposto, mentre quelli dei bookmaker tendono a nascondere serie statistiche che potrebbero far nascere strane idee. Non stupisce quindi che sul mondo del betting siano state fatte poche analisi di lungo periodo davvero serie. Fra queste la più famosa è l’inglese Royal Commission report on Gambling, datata 1978 e incentrata sulle giocate presso i principali bookmaker nei 25 anni precedenti: la maggior parte sull’ippica, con meccanismi di allibraggio comunque non diversi da quelli di altri sport. La commissione concluse che giocando sempre la stessa somma su tutti i favoriti quotati a 4/6 (nel nostro linguaggio 1,66) o meno, senza alcuna informazione ulteriore (stato di forma, infortuni, voci strane) un teorico scommettitore a tappeto nell’arco dei 25 anni avrebbe chiuso con un utile infinitesimale. Ma di sicuro non avrebbe perso. Al contrario puntando su tutto il quotato sopra i 20, la classica Nuova Zelanda vincente la Confederations Cup oppure il 3-3 come risultato esatto della partita, il teorico scommettitore venticinquennale avrebbe perso oltre il 70% del suo capitale. Fra questi due estremi tante altre situazioni, tutte nel medio periodo favorevoli al banco: del resto la massa si separa ogni anno mediamente dal 25% del proprio denaro, quindi lo studio non fa altro che confermare l’evidenza. Conclusione: senza metodi miracolosi meglio giocare sui favoriti, selezionando le puntate e fidandoci solo di noi stessi. Come gli inglesi più pazienti.
(pubblicato sul Giornale di ieri)
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