di Oscar Eleni
Coppa Italia alla Sabatini, quelli che lavorano contro Meneghin e Pianigiani, la gita di Cantù, gli scherzi dell'Ignis e i giganti che mancano.
Aria gelida e cime tempestose aspettando una rondine. Ci vorrebbe il caldo, l’armonia, una pace interna che il basket non trova. Lunedì in Lega si faranno i soliti dispetti e per la sede delle finali di coppa Italia riusciranno a superare il muro del ridicolo che, come del suono, fa scoppiare i timpani. Per fortuna conosceranno i nomi delle otto finaliste, ma forse è proprio questo che li farà litigare ancora di più da quando Fregoli Sabatini, mentre picconava la Lega, spalleggiato da Teramo, da tanti altri, ha fatto capire che potrebbe riorganizzarla lui la festa del borgo, lui che ha aveva urlato di essere costretto a rinunciare perché sempre in perdita. Gli credono ancora in tanti, o almeno così sembra, ma certo Avellino, che aveva già la banda schierata, guiderà la rivolta degli scontenti.
Aspettare è la punizione per chi crede nel basket gioioso, per chi era convinto che Simone Pianigiani non avrebbe trovato ostacoli per costruire una sua squadra tecnica, prima di scegliere i giocatori, le sedi dei ritiri, il programma. Niente da fare. Ostacoli e musi lunghi. La Nazionale può passare dal caldo al freddo, può lavorare bene a Bormio, ma poi deve spostarsi dove, magari, non hanno neppure l’aria condizionata. Elettori da accontentare, ma visto che Meneghin sa già di non poter essere rieletto, dobbiamo credere che le grisaglie federali di oggi, unite ai gessati di ieri, utili per fingere di avere una schiena dritta, stiano lavorando per il prossimo disastro europeo.
Cime tempestose alla chiusura di un girone di andata che impone a Varese il salto mortale con tre avvitamenti perché Pesaro, in questo momento, è un’avversaria proprio difficile se dalle tribune di Masnago non soffierà il vento della passione a prescindere. Per fortuna Cantù non vive la stessa angoscia. E’ in gita dai bambini Papalia fra le macerie di Napoli. Un viaggio costoso, inutile, ma è la tassa che si paga per restare alla corte dei miracoli dove il basket gioca in tutù, elefantino rosa preso in giro da tutti. Per loro ci vorrebbe un pugno di quelli che Giuseppe Venino, medico della grande Ignis, ex pugile, uno che ci ha detto addio, usava come minaccia per fermare la bolgia sul pullman dell’invincibile armata quando la commedia dell’arte sfociava nello scherzo difficile da sopportare. La sua minaccia veniva creduta sulla parola. Un passo indietro per tutti, anche per Meneghin, Zanatta, Ossola, Rusconi, Iellini. Meglio passare ad altre vittime, come diceva Morse che in quei casi diventava il più piccolo dei giocatori.
Addio caro doc e salutandola ci viene in mente il professor Klinger, altro insostituibile compagno di viaggio per grandi squadre, prima l’Inter, poi Cantù. Ridateci questi giganti. Venino era quello che con la sola imposizione delle mani ti faceva tornare in campo perché credevi al suo “ furore agonistico” alla canfora. Klinger era l’artista che ai giocatori chiedeva stile, chiedeva passione, che nel paziente curava prima la testa, sicuro di arrivare poi all’origine vera del male. Ci mancano. Li aspettiamo con rimpianto quando la fine di tutti sarà nota.
Oscar Eleni
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