di Paolo Sacchi
Impressioni d'Egitto sulle foto dei negozianti, la vita complicata di Hassan Shehata, gli assenti in Angola e le critiche ai compagni di nazionale.
1. Che bel mestiere fare il C.T. Lo pensano milioni di persone e non certo solo in Italia. Stipendio super per un lavoro part time, viaggi per il mondo a guardar partite, scegli chi convocare e schierare, partecipi alle più grandi competizioni della storia di questo sport, diventi una star. Riflettevamo su tutto questo mentre osservavamo una serie di foto di Marcello Lippi in bell’evidenza all’ingresso di un negozio di papiri nei pressi delle piramidi di Giza. Il titolare dell'esercizio, ritratto al suo fianco, aveva il volto entusiasta. Un momento indimenticabile. Lippi era passato da quelle parti nell’ambito di una tappa al Cairo per visionare l’Egitto, all’epoca futuro avversario nella Confederation Cup sudafricana. “Ah, come vorrei fare il CT!”. Tutti d’accordo, dunque? Dipende. Come accade quando, per gioco, qualcuno esclama entusiasta di fronte alle piramidi “Ah, come avrei voluto vivere all’epoca degli antichi egizi”, ci permettiamo di chiedere sempre di specificare in quali panni. Se quelli del Faraone oppure della manovalanza che costruiva i templi.
2. A dire il vero però la storia non ricorda Faraoni contestati per eventuali sconfitte o mancate vittorie, mentre nel calcio il risultato, soprattutto l’ultimo, purtroppo o per fortuna pesa e non poco. Così chi eventualmente scegliesse di rinascere nei panni di Lippi nel gennaio 2010 d.C., avrebbe teoricamente una vita meno complicata rispetto a quella del collega egiziano Hassan Shehata. Se la dote di essere campione del mondo garantisce un salvacondotto su praticamente tutto, nei panni del CT dell’Egitto alla vigilia della Coppa d’Africa la situazione sarebbe molto differente. E dire che Shehata non è proprio l’ultimo arrivato. Dopo una buona carriera da calciatore e aver allenato e ottenuto buoni risultati a livello di club, dal 2004 è seduto sulla panchina della nazionale. Ha sollevato due Coppe d’Africa di fila (2006 e 2008), battuto l’Italia campione planetatria nella Confederation Cup 2010 – da ricordare il fantastico titolo di un quotidiano che, con un gioco di parole sul nome del marcatore e la relativa salsa, festeggiava titolando “Hommos batte Pizza 1-0” - e mancato per un soffio la qualificazione ai mondiali e aver mantenuto un’ottima media dei risultati ottenuti. Purtroppo non basta. Perché alla Confederation Cup secondo alcuni avrebbe pensato di essere già in semifinale e ha colpevolmente risparmiato i titolari contro gli USA. Perché il mese scorso non sarebbe riuscito nel colpo del K.O. contro l’Algeria, ritenuta più debole, perdendo poi in Sudan lo spareggio decisivo, in un contorno peraltro disputato in un vero e proprio stato di guerra. Perché, in definitiva, l’Egitto si ritiene una nazione guida dell’Africa e non può permettersi lo smacco di mancare la qualificazione mondiale per vent’anni di fila.
3. Dunque la dote di due trionfi continentali non è sufficiente per garantirsi una professione serena. E adesso, in vista della spedizione angolana, ecco un’altra serie di lamentele. Dall’aver scelto i giocatori con un criterio poco efficace nei tempi, nei modi e nel merito, all’aver disputato inutili e dannose amichevoli (l’1-1 col Malawi è stato una partita inguardabile ma non molto differente da molte gare del genere). Per non parlare dei “grandi esclusi” come Mido e Hazem Emam, congedati dopo averli comunque portati in ritiro con la squadra. Scelte arrivate, secondo alcuni, troppo tardi, che non hanno aiutato l’atmosfera nello spogliatoio, in un viavai chiuso con gli arrivi dei giocatori impegnati in Europa. A questo, se si aggiungono le assenze per infortunio di Zaki, attaccante dello Zamalek ex Wigan, e soprattutto dell’eccellente Abu Treika, trequartista dell’Alhi, facile intuire che regni, nel Paese, lo scetticismo. Le critiche sono anche arrivate anche da alcuni giocatori esclusi. Hanno accusato il tecnico in tv e sulla stampa di avere preferenze sia di squadra che personali. Farag, ex-difensore dello Sochaux,- ha sostenuto che il motivo, per lui e altri compagni dell’Ismaili, tra cui Hommos, match-winner con l’Italia, sia la militanza nella sua squadra di club, svantaggiata rispetto ad Ahli e Zamalek, le due storiche “grandi” del calcio locale, asserendo che l’unica loro colpa sia stata la “fedeltà” all’Ismaili.
4. Altro aspetto più – per noi – curioso è che non si risparmiano critiche anche verso i compagni. Mentre Farag critica il fatto di non aver avuto le stesse possibilità di dimostrare il valore contrariamente a Abdel-Shafi – giocatore a lui preferito – Saied dell’Ahly Tripoli va giù dritto sostenendo che in squadra ci sono giocatori meno bravi di lui, che Shehata fa differenze personali e non sulla qualità dei giocatori. L’Egitto comunque proverà a sorprendere e superare le favorite Costa d’Avorio, Ghana e Camerun. Una cosa però è certa: se i “faraoni” riusciranno ad alzare la terza coppa consecutiva (sarebbe un record per la competizione) alla fine sarà festa e le critiche finiranno nel dimenticatoio. E magari nel negozio di papiri a Giza troveranno uno spazio anche per una foto di Shehata.
Paolo Sacchi, dal Cairo
(in esclusiva per Indiscreto)
Immagine tratta dal sito www.robertobertoni.com
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