Noble art

di Christian Giordano
Talento e versatilità, assieme all’entusiastico furore gattusiano, hanno fatto di Peter Noble – e della sua inconfondibile pelata – un idolo trasversale in tutta l’Inghilterra. Ancora oggi ricordato con affetto da chi ha avuto il privilegio di averlo visto giocare.

Nato il 19 agosto 1944 a Newcastle-upon-Tyne, si diverte nei dilettanti al Wearside quando il Blackpool lo invita per un provino. Con l’offerta, declinata, sembra perso l’ultimo treno per il professionismo: a vent’anni compiuti, lavora come imbianchino e decoratore e gioca part-time per il Consett nella Northern League. Alla fine, però, le sue doti non passano inosservate e nel novembre 1964 firma per i vicini giganti del Newcastle United. Un paio di stagioni segnate dal grave infortunio che oltre a un ginocchio rischia di spezzargli sul nascere la carriera. Troppo esile, e poi con quel ginocchio, si sussurra ai Magpies. E allora, nel gennaio 1968, dopo sole 25 presenze in bianconero, una nuova sfida nel Wiltshire.
Ceduto allo Swindon Town per 8.000 sterline, debutta entrando dalla panchina nel 3-0 sul Walsall a inizio febbraio e in meno di un anno si conferma, con l’elegante ala sinistra Don Rogers, un cardine della rinascita del club in Third Division e nella vittoriosa campagna di League Cup 1969. La stagione seguente, realizza 12 reti in campionato (top scorer dei suoi) e 4 in Coppa di Lega, compreso quello della vittoria nei supplementari nel replay di semifinale contro il Burnley. Impresa eroica perché, come scoprirà lui stesso cinque anni dopo, compiuta nonostante la clavicola fratturata durante la gara. Robetta, comunque, in confronto all’epico 3-1 ottenuto sempre ai supplementari sull’Arsenal in finale. Una delle più grandi imprese “giant killing”, ammazzagrandi, di tutti i tempi. Messo in bacheca il trofeo, centra la promozione in campionato, chiuso dai Robins al secondo posto dietro il Watford per differenza reti.
Nel 1970, va in gol con regolarità per tutto il neonato Torneo Anglo-italiano e in finale, il 28 maggio al San Paolo contro il Napoli, firma una doppietta (splendido il gol di testa) nel 3-0 prima di abbandonare la gara al 79’ per le intemperanze di alcuni delinquenti locali che dal 63’, sul 3-0 per lo Swindon Town, avevano cominciato a lanciare razzi in campo. Top scorer del club anche nel 1971-72 (14 gol), bolla ancora in finale dell’Anglo-italiano, persa 3-1 all’Olimpico contro la Roma del Fabio Capello giocatore. Il futuro Ct dell’Inghilterra dirà poi che proprio da quell’esperienza contro lo Swindon gli sarebbero derivati un enorme rispetto per il calcio inglese e il principio di ambizione di allenare, un giorno, quella nazionale.
Nell’estate del 1973, per 40.000 sterline e nonostante il parere dei medici su quel ginocchio scricchiolante «come un sacchetto di patatine», lascia il club del County Ground proprio per il Burnley, dove fa il terzino destro per rimpiazzare l’infortunato Mick Docherty. L’anno dopo, in seguito alla partenza di Martin Dobson per Liverpool, sponda Everton, Noble si dimostra il naturale rimpiazzo di “Sir Dobbo” a centrocampo, ma senza castrare il proprio istinto per la porta: miglior marcatore dei suoi in tre delle successive quattro stagioni. Nel novembre 1974, prima tripletta con i Clarets nel 4-1 al suo vecchio club, il Newcastle United. Nel settembre 1975, sue le reti del Burnley nel 4-4 col Norwich City. Nominato capitano (rigorista lo era già: 28 su 28 in carriera), trascina i Clarets al successo nella Anglo-Scottish Cup. A sorpresa ceduto nel gennaio 1980 al Blackpool, dove continua a far coppia con un altro ex Burnley, Paul Fletcher, di lì in poi fatica a trovare il gol; e dopo la retrocessione in Division Four, con tanto di richiesta di ripescaggio da parte del club penultimo nel 1980-81, decide di ritirarsi.
Ai tempi uno dei beniamini del popolo claret and blue, è tuttora una figura molto familiare in città, nelle sue occasionali presenze al Turf Moor o più spesso nell’elegante negozio di articoli sportivi – Peter Noble Sport Ltd. – che la sua famiglia gestisce da quasi vent’anni al Market Hall cittadino. E questo, più che per i 63 gol in 243 partite, per la dedizione e il gran cuore dimostrati in 7 stagioni al Burnley. È per quello, e non solo perla pelata e lo stacco, che nell’East Lancashire resterà per sempre “Uwe”, come Uwe Seeler, il piccolo grande centravanti dell’Amburgo e della nazionale tedesca. Un premio Noble alla carriera più del quiz sulla sua infallibilità dal dischetto apparso nella prima edizione (1985) del gioco da tavolo Trivial Pursuit. E del pranzo ufficiale del 2006 al Turf Moor con cui il Burnley lo ha eletto fra le leggende del club. I tifosi, si sa, ci arrivano prima.
Christian Giordano
Football Poets Society

1 commento:

GuusTheWizard ha detto...

La finale del '69: terreno quasi impossibile.
http://www.youtube.com/watch?v=JQ-rJx13s9g