Quelli che ingaggiavano Bradley

di Stefano Olivari
L’appassionato ha bisogno di identificarsi nelle sue squadre ma anche di sognare, pur essendo consapevole dei limiti finanziari del basket italiano. Il passato insegna che grandi operazioni di mercato si sono spesso trasformate in intuizioni tecniche e in amore sconfinato del pubblico.
Prendendo in considerazione solo Milano, i grandissimi acquisti del Borletti-Simmenthal sono così numerosi che si fa fatica a definirli ‘colpi’. Rubini (arrivato già nell’epoca della Triestina Milano), Stefanini, Romanutti, Pieri, Riminucci, Giomo, Vianello, Vittori. Ma il colpo dei colpi di Bogoncelli rimarrà per sempre Bill Bradley nel 1965: capitano della nazionale Usa oro olimpico l’anno prima a Tokyo, Rubini lo aggancia dopo un epico viaggio in auto Milano-Budapest dove Bradley è impegnato nelle Universiadi. Saputo che la sua priorità è il master ad Oxford, il Principe gli offre di fare l’americano di coppa. Due presenze al mese e nessun obbligo di allenarsi con la squadra. Un aiuto decisivo per la conquista della prima Coppa Campioni della pallacanestro italiana e per far parlare del Simmenthal nel mondo. In un’Italia paleo-televisiva, dove tutto arriva per sentito dire, l’arrivo della futura stella dei Knicks e futuro senatore ha l’eco mediatica del mito: superiore, in proporzione al contesto, a quella di un LeBron James che domani mattina cedesse alla corte di Proli. Ma negli anni Sessanta fanno epoca anche i colpi dei Milanaccio, sulla sponda All’Onestà. Memorabile l’ingaggio di Tony Gennari, da record l’acquisto di Enrico Bovone dalla Ignis: cinquanta milioni a Varese e al giocatore un quadriennale da 12 milioni a stagione. Pioggia di editoriali indignati, ma presto qualcuno farà meglio. Da prima pagina anche i 250 milioni di lire del 1977, che la Xerox paga alla Sinudyne Bologna per Gigi Serafini. I colpi a sensazione anni Ottanta sono ovviamente tutti targati Olimpia: senza discutere del valore tecnico dei giocatori, a livello di impatto mediatico vincono senza dubbio il Dino Meneghin 1981 da Varese, l’Antoine Carr del 1983 (fresco di ottava scelta assoluta al draft NBA) e soprattutto il Joe Barry Carroll 1984 (prima scelta assoluta nel 1980, arriva in mezzo ad una eccellente carriera NBA), mentre l’arrivo di Antonello Riva nel 1989 da Cantù può essere considerato l’ultima vera operazione stellare sul fronte italiano. Fa sensazione il trapianto Stefanel (Gentile, Fucka, Bodiroga, De Pol e Cantarello insieme a Tanjevic), ma al di là dello scudetto non emoziona più di tanto. Ancora più grandi sono stati i sogni (il più concreto quello di Kevin McHale nel 1980), che insieme alla realtà costituiscono la vita.
stefano@indiscreto.it
(Pubblicato su Superbasket)

7 commenti:

charliegeorge ha detto...

Direttore, ma il record di commenti e indignazione ("editoriale" alla domenica sportiva sul basket - non di Giordani ma del conduttore, credo Ciotti, ma vado a memoria- mai più avvenuto credo) fu per Zampolini da Rieti a Pesaro per 700 milioni

jeffbuckley ha detto...

Diretur, e Mc Adoo...?

Poli ha detto...

@Jeff: mi hai anticipato di un secondo...

@direttore: il trapianto Stefanel (non il primo in senso assoluto ricordo anche una Desio spostata o Roma se non erro) il primo di quella specie e dolorosissimo per chi lo subì, perchè interruppe un progetto tecnico che venica da molto lontano (almeno 7 anni prima)...

kalz ha detto...

Il "caso Bradley" andrebbe fatto studiare nelle facoltà di marketing. Quando io ho cominciato a seguire il basket, era un fatto di pochissimi anni prima eppure era già come la cima del monte Olimpo avvolto nella nebbia della leggenda. Ogni tanto compariva qualcuno che lo aveva visto giocare e dopo due minuti spariva nel nulla da dove era arrivato. Rubini centellinava episodi di vita vissuta come il famoso ricevimento in uno dei salotti più superesclusivi di Milano dove Bradley si era presentato in scarpe da tennis, come si chiamavano allora, sucitando un brivido nelle signore ingioiellate. Giordani avrebbe scritto quel famoso pezzo (che non sono mai riuscito a trovare) che partiva con il memorabile attacco "Provo a scrivere dell'immenso Bill Bradley". Dicunt, serunt, tradunt... In realtà Bradley giocò pochissime partite in Italia e le sue gesta sul parquet sono state più narrate che viste. E' stato l'inizio di tutto, ma a me rimane il meraviglioso sospetto che in Italia non ci abbia mai messo piede...

Stefano Olivari ha detto...

Mi ricordo dell'indignazione per Zampolini, a livelli savoldiani...ma stando ai giornali dell'epoca (avevo un anno) niente nel basket italiano ha battuto il caso Bovone...poi c'è stato molto di peggio, arrivando a Rusconi-Benetton del 1991...McAdoo aveva alto l'ingaggio, ma nonostante sia stato uno dei più grandi colpi della storia all'epoca non venne considerato nel giusto modo...va detto anche che nei Lakers dello showtime era un panchinaro di lusso, i tempi d'oro di Buffalo (MVP della lega, per tacere di tutto il resto) erano passati...quanto ai trapianti, non ne è mai riuscito uno: il tifo nella pallacanestro italiana è solo provinciale, anche nelle grandi città...Bradley fu davvero un fenomeno di marketing, probabilmente involontario, ma di sicuro era un personaggio pazzesco anche negli USA: il ragazzo perfetto, futuro presidente degli USA (sarebbe diventato 'solo' senatore democratico), che incarnava i veri veri valori dello sport di college...a Princeton infatti aveva giocato senza borsa di studio per meriti sportivi...

kalz ha detto...

In un modo o nell'altro il povero Bovone quella cosa se la portò dietro per tutta la carriera... quello che giocava solo per i soldi... quello che non aveva l'attaccamento alla maglia

Locatelli ha detto...

da buon Varesino doc, non posso che ricordare il passaggio di Rusconi alla Benetton (o al Benetton? bho) per un bel pò di miliardi "del vecchi conio".
Varese, con quelle risorse economiche, ci costruisse il famoso "campus" (tutt'oggi attivo), senza investire in giocatori, dando il là alla discesa all'inferno di A2 qualche anno dopo.