di Oscar Eleni
I camp di Nikolic, la vita da cani, Roma presa in giro, tre allenatori alla gogna, gente da confernare, i biglietti di Sabatini e il carattere di Bucchi.
Oscar Eleni dal Paguro Metanifero di Cesenatico dove al posto del petrolio trovi una barriera corallina, o almeno così ce la vendono, ammesso che la si voglia comprare. Posto ideale per guardare i play-off seguendo la filosofia di quel cantautore a cui dispiaceva di morire, ma si sentiva comunque contento, uno che ha trovato l’anima negra dei nostri uomini di basket che amano il gioco vacanza, che stipendiano giocatori anche nel periodo estivo quando gente che avrebbe bisogno di lavorare duramente sui difetti tecnici, sulle carenze fisiche, va a guadagnare qualche euro per insegnare cose che non sanno a ragazzini che non conoscono i loro difetti e fanno fatica a pagare i loro pregi. Era una massima del professor Aza Nikolic, benedetto sia il sul nome, per sempre, quando si alzava alle sei del mattino per istruire gli insegnanti dei campi estivi diretti da lui: “ Non bisogna organizzare per dare alle famiglie la scusa di parcheggiare un ragazzo due o tre settimane, non è serio pensare soltanto al guadagno”. Quando lo diceva i più onesti arrossivano, ma tiravano avanti, gli altri vanno avanti come adesso. Certo sarebbe ora di fare un censimento nazionale, l’incarico alle associazioni giocatori e allenatori che ci negano sempre l’elenco stipendi ( per capire e giudicare), per sapere quanti ragazzi hanno poi raggiunto il paguro metanifero, quanti sono arrivati in serie A, quanti sono stati cresciuti tanto bene da arrivare in nazionale.
Mentre ci avviciniamo alle semifinali senza una notte libera, almeno per le prime tre partite, leggiamo il diario di un allenatore appena trombato, di uno appena lasciato libero senza fare tanto rumore, di uno che vorrebbe stare, ma non sa ancora capire perché a Bologna, Roma, Avellino, Cremona, Varese, Biella non tutti la pensano alla stessa maniera e, purtroppo, i primi ad essere riconfermati sono gli stessi che dovevano essere presi per il bavero e scaricati alla rupe Tarpea. Per fortuna resta Scavolini a Pesaro e speriamo che non gli facciano venire il nervoso come l’ultimo in cordata, quello che ad un certo punto lo voleva trascinare giù nel fondo, dove c’è il metano e non la passione. Dicevamo del diario di Argo, un cane da combattimento inventato dalla crudeltà di uno scrittore tedesco che ha ambientato i suoi gialli a Trieste. “Sono fuori di me per la rabbia, i tagli, le frustate bruciano sulla pelle, la droga mi fa impazzire. Odio e sono disperato, umiliato. Ma lui è il mio padrone. Gli obbedisco”. Pensieri di un cane in una vita da cani che ci vuole rubare don Aldo Allievi e questo ci fa urlare di rabbbia come Argo nella notte dove Cantù ha visto le nuove stelle eliminando Bologna.
Fretta di servirvi il rafano col maiale dopo quarti di finale finiti troppo presto per almeno tre squadre che meritavano di andare un po’ più avanti, perché Treviso si è fatta eliminare dando l’impressione di avere qualcosa su cui costruire un bel futuro, perché Montegranaro si è trovata tutto contro e non certo il carattere da vendere di cui si parla a Milano senza sapere di cosa si sta parlando, anche se la cosa non stupisce perché poi sono gli stessi delle porte chiuse, delle corde vocali tagliate a chi vorrebbe mettere sempre un po’ di storia nei racconti e nei vestiti, perché Roma ha scoperto di aver sbagliato tutto anche nei presunti rinforzi facendosi prendere in giro persino da chi difende le tristezze dei Datome, le crisi mistiche dei Crosariol le paure dei Gigli, le visioni del Vitali che può piacere soltanto ai Pittis.
Tre buonissimi allenatori alla gogna, tre società con una idea sbagliata del domani se deve essere costruito sulle macerie di questo campionato. Cosa dicevamo a Caja quando andò a salvare la Cremona che addirittura infierisce su un gentiluomo e un grande personaggio come Ario Costa? Non ha saputo ascoltare, meglio, ha sentito il brusio, ma si era messo in testa che avrebbe salvato i già condannati mentre toglieva le castagne azzurro dal fuoco di Barnaba l’incompreso. Ci è riuscito. Premio? Grazie e arrivederci. Doloroso il non rinnovo di Avellino a Pancotto, ma le cose vanno così quando c’è l’opzione giusta e allora si capiscono, magari, anche tanti altrti divorzi che hanno fatto rizzare il pelo a chi deve pettinarselo ogni mattin o sullo stomaco.
Nella serie Cantù-Bologna, ammettiamolo, ci siamo divertiti tutti più che in ogni altra sfida. Allenatori freschi e interessanti, qualche buon giocatore portato alla vita nova, le solite scoperte che lasciano aperto il canile per quelli che, non avendo mai imbroccato un giocatore, mai visto più in là del loro nasino all’insù, bagnato dagli umori del tiro da tre punti, si sono visti riconfermare nelle cariche e nelle discariche. Ci consoliamo sentendo che Udine avrà una Polisportiva seria e una serie di impianti sportivi veri dove anche il basket potrà rifiorire. Alleluia. Consiglio non richiesto: se avessimo come allenatori Boniciolli, Bechi, Lardo, Repesa, Dalmonte, Frates, andremmo dirittti verso il rinnovo per partire da una base più seria, per essere sicuri di non aver sprecato altro tempo inseguendo Siena. Voce nella notte delle semifinali che si giocano rigorosamente in orario proibito per i giornali, in giorni dove si tiene conto soltanto dei commercianti, che devono essere l’unica fonte di risorsa negli incassi del Paese critico e un po’ cretino.
Premio dell’anno al solito Sabatini che vendeva i biglietti per la partita contro Siena sapendo che l’orso di Cantù era difficile da stanare con giocatori sfiniti, zoppi, confusi da troppa gramigna senza salsicce. Sabatini e la settimana bolognese dei giovani che dovrebbe essere il teatro per una festa di tutti, non solo dei ragazzi sul campo. Quando organizza, inventa, gli vogliono tutti bene e sarà per questo che viene perdonato quando, invece, va oltre il metanifero. Dicevamo delle semifinali: una è scritta e Cantù fa bene a pensare già al domani, anche se tenersi il poco veleno rimasto per la terza partita contro Siena è un buon segno.
L’altra promette di essere lunga, ma sulle debolezze caratteriali di Caserta, misurata e pesata in coppa Italia, in certe partite perdute nel pala Maggiò, facevano conto anche i soloni, tipo il Peterson che ti dà favorito poi ti accompagna sorridendo anche alla garrota come un franchista mascherato, tipo noi che pensavamo almeno ad un tre a due perché non ci eravamo messi la cera nelle orecchie come doveva fare Matteo “Matt” Boniciolli mentre intorno dicevano che qualcosa stava rifiorendo dove avevano tagliato le radici a troppe cose logiche. Bucchi ci dice che Milano ha carattere da vendere. Verificheremo tutti insieme, i primi a capirlo dovrebbero essere i latitanti delle tribune nella speranza che sia almeno ripulito l’unico campo con aria condizionata, il Forum di Assago, pensate un po’ dove può andare il basket italiano che cerca gli stessi consensi del calcio per l’Europa e rischia di prendersi in faccia le medesime ortiche anche se ha messo a dirigere il comitato uno che, giustamente, andava bene a Cinecittà e, forse, del basket non conosce molto più di quello che ci raccontano con ellissi profonde i ragazzi di SKY. Caldo e granite per notti magiche. Ci vuole la calma dei forti pur avendo scoperto da tempo che questa Montepaschi da quarto titolo ha qualcosa in meno delle altre che l’hanno preceduta al Pantheon della gloria perché i santi non esistono e allora bisogna convivere anche con chi tende a peccare perché non ha più fame.
Oscar Eleni
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