di Simone Basso
Vent'anni fa veniva ufficiosamente ucciso il Novecento. Merito dell'American Psycho di Bret Easton Ellis, antiromanzo che mette di fronte alla fine di ogni utopia sociale e quindi alla genesi di un'umanità diversa...
"Abandon all hope ye who enter here"
"Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate"
Vent'anni fa, in questi giorni, veniva ucciso ufficiosamente il Novecento. Il nuovo libro di Bret Easton Ellis, il terzo della serie, si presentò sul tavolo della Simon & Schuster: fu l'inizio di una miniodissea editoriale che ne rimandò l'uscita fino alla primavera 1991. "American psycho" agli occhi di un curatore di romanzi, apparve come un nonsense pornografico e psicotico, il delirio di un maniaco depresso, ex grande promessa della letteratura americana. In effetti l'esordio folgorante del 1985 con "Less than zero" (appena ventenne!) illuse molti di aver trovato l'Henry Miller postmoderno: le pagine spiazzanti di "American psycho", che trovarono dopo molte vicissitudini la stampa della Vintage Books, invece fecero inorridire l'intellighenzia dell'epoca.
Malgrado i 300.000 dollari di anticipo, chi rifiutò quella novella fece un'operazione di estetica culturale; effettivamente, se lo considerassimo un romanzo come tutti gli altri, dovremmo definirlo brutto, scarno e deludente. Però chi lesse quel flusso di coscienza come una storiaccia su un omicida seriale, feedback feroce degli Ottanta opulenti, non comprese nulla della potenza visionaria della cronaca. E' una pietra miliare, la prima testimonianza scritta sull'uomo del Ventunesimo Secolo; racconta (con lo stile di una profezia beffarda) la genesi di un'umanità diversa, plagiata da concetti idealmente opposti a quelli che generarono il Secolo Breve.
Ellis narra della frattura con qualsiasi tipo di utopia sociale e l'ingresso trionfale nella fase nichilista della nostra cultura economica: Patrick Bateman, il broker protagonista della storia, è un fantasma di ventisei anni; uno yuppie bellissimo e completamente vuoto. E' circondato da amici quasi indistinguibili l'uno dall'altro, la cui unica idealizzazione sono le merci che esibiscono e indossano. Manichini che espongono e consumano Mtv, vestiti, cravatte, biglietti di presentazione, scarpe, cocaina: il freddo dentro e fuori, la solitudine, la mancanza di empatia come modus vivendi e il sesso come atto meccanico, ripetitivo, alienante.
Con l'eccezione di Jean, la segretaria di Bateman, nessuno dei personaggi dell'opera possiede tratti umani; l'ironia plumbea che li circonda pare inghiottirli in una coltre nebbiosa, delirante.
Patrick, incredibile ma vero, si riappropria di uno chassis non spersonalizzato solo quando tortura e uccide le sue vittime; esibendo i tratti meno nobili del ventesimo secolo, finalmente dà vita alle sue fantasie represse.
La genialità di "American psycho" sta anche nell'abbandono consapevole di una struttura narrativa certa: è un antiromanzo, un loop, che non presenta uno svolgimento lineare, anzi si risolve con una circolarità di tematiche che riportano il lettore sempre al tema iniziale. Mentre accade poco, tra una conversazione futile e l'accoltellamento di un bambino a Central Park, sembra materializzarsi un rumore bianco che ci introduce al futuro prossimo.
Oggi lo stile di vita di quei robot profumati è il gusto comune della maggioranza rumorosa: le ossessioni estetiche, la cura del corpo e la chirurgia plastica, e l'aderire prostrati alla società dello spettacolo, l'immaginario venduto dai marchi, sono il motore di tutto lo scibile contemporaneo.
Patrick Bateman fu l'apripista politicamente scorretto di questa era cannibale, l'uomo oggetto che trionfò inconsapevole sulle macerie della socialità e della politica.
Di "American psycho" straparlarono in troppi, senza nemmeno leggerlo veramente; in quel diluvio di critiche, il solo Norman Mailer difese a spada tratta l'opera di Ellis: "E' il primo romanzo dopo anni che ci colpisce nel profondo, con temi Dostoyevskiani...". Il confine tracciato dallo scrittore californiano in quei capitoli è ancora valido adesso, mentre l'Occidente e la letteratura moderna si inerpicano (felici?) verso i cappi che li impiccheranno definitivamente.
"This is not an exit"
"Questa non è un'uscita"
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
8 commenti:
non l'ho letto, e non credo di leggerlo non piacendomi particolarmente il genere, però questa recensione e proprio bella e scritta davvero bene
io me lo segno per le prossime letture, appena finisco Pynchon
Simone, sottoscrivo tutto dalla A alla Z...un non romanzo o un metaromanzo, si procede più per situazioni, schizzi (di sangue?) che secondo una trama nell'accezione classico....certo è che si tratta di un affresco sociale delirante, grottesco, anche caricaturale, se vuoi, ma non per questo meno fedele alla realtà, senza dubbio spietato e implacabile... a me sono piaciuti comunque anche "meno di zero" e "le regole dell'attrazione", così come la prima metà di "glamorama" (nella seconda si perde e parte per la tangente"), meno "lunar park", che ho trovato monotono e monocorde, in cui peraltro fa un'apparizione anche Bateman: "è un tipo a posto"...
Sono andato alla presentazione di Imperial Bedrooms e raramente ho sentito un autore trattare (giustamente) così male chi fa domande stupide, giornalisti ma anche pubblico...più democristiano nell'apparizione da Fazio, invece...Less than zero (che ha il dono della sintesi) più che di American Psycho o di Imperial Bedrooms mi sembra l'antenato di Gossip Girl...nel telefil alcuni ragazzi hanno anche lo stesso nome...
concordo in toto con l'analisi di enzima10.
la prima metà di glamorama vale quanto american psycho, libro che rileggo periodicamente. mi ricordo che vidi il film al cinema a londra. sapendo il libro quasi a memoria non ebbi problemi a capire. il pubblico si faceva grasse risate: l'humour certo non manca in quest'opera
@Simone
quello che ti frega è sempre questa via d'uscita della speranza...Occidente fra muslim heath and china blow....concordo anche sull'imprinting dell'opera but it's my own private Idaho...
No way! Ma che bella sorpresa!
Direi tra le altre cose uno dei romanzi più adatti al Simo-pensiero sull'occidentalità moderna.
A me personalmente è piaciuto immensamente, letto in questi anni fa quasi impressione per la drammatica lungimiranza.
Obbligato da parte mia il parallelismo con il Fight Club del maestro Palahniuk: gli stessi yuppie vuoti, votati all'apparenza ("che vergogna, un frigorifero pieno di condimenti e senza nessun cibo" unico pensiero dopo l'esplosione dell'appartamento), che trovano sè stessi solo nello sfogo violento, dove "siamo obbligati a fare un lavoro per comprarci cazzate che non ci servono" o dove "ciò che possiedi alla fine finisce per possederti"...lo stile di scrittura è simile così come i problemi editoriali e le menti "malate" che hanno partorito i due capolavori, diversi nell'affrontare (e condannare) la stessa società. Forse due indizi fanno una prova...
@Spillo:per approcciare Ellis ti consiglio "Glamorama",l'opera più "romanzata" e con l'approccio complessivo meno spiazzante(si fa per dire..).
@Axel Shut:BEE si adatta perfidamente a uno spot di successo degli Ottanta.
The choice of a new (de)generation.
@Enzima10,Durango_Carachou:yep,I agree with you.
La prima parte di "Glamorama" è il suo apice espressivo,una costruzione labirintica di grande fascino.
Gli ultimi capitoli disintegrano la storia:fa parecchio Ellis,très chic e beffardo...
Il penultimo ha trenta pagine di grande divertimento e nient'altro.
I romanzi lo annoiano...
@Stefano Olivari:ho letto in inglese alcuni capitoli di "Imperial bedrooms".
Giudizio sospeso,considerando "Lunar park" il classico libro di passaggio.
@Italo:con l'incipit dantesco è il minimo!
E la chiusura che è una citazione sartriana.
Quello di Ellis fu un avviso di chiamata:la responsabilità più grave della nostra società è averlo ignorato...
Ogni giorno nuovo nel ventunesimo secolo è una pagina di "American psycho".
@Miky:lessi il libro la prima volta nel 1992,durante il servizio militare.
L'ho ripreso,in inglese,due anni fa.
Il paragone ci sta.
Palahniuk ha un'umanità maggiore rispetto al cinismo beffardo di Ellis.
Per entrambi,incredibile ma vero,la scrittura è un'esigenza non un mestiere.
"Less than zero" fu vergato su un'agenda,una sorta di diario.
Ad appena vent'anni,potremmo definire il suo talento oltre il visionario.
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