Quei perdenti dei Maple Leafs

Lo sappiamo tutti: per incultura sportiva, in Italia arrivare secondi o comunque fallire un obiettivo è vissuto da media, tifosi e addetti ai lavori (elencati in ordine sparso) come una vera catastrofe "morale". Peggio ancora però è che, purtroppo, spesso le sconfitte hanno realmente un forte riflesso sul conto economico dei club nostrani. Pensiamo solo all'impatto di una mancata qualificazione alla Champions League o ad una retrocessione in Serie B. Drammatico. E se "sportivamente" (magari tra qualche generazione...) una sconfitta prima o poi la si "accetterà" grazie ad una maggior "educazione", il fatto che i bilanci delle società siano legati a doppio filo ai risultati sul campo illustra impietosamente che nella gestione del calcio italiano qualcosa non stia, da anni, funzionando benissimo. Ora, senza voler cavalcare la solita tigre anglosassone, quella che talvolta fa riempire la bocca di tanti addetti ai lavori a proposito di "salary cap" e "playoff scudetto" che però nessuno si guarda bene di introdurre (per non parlare - infatti non se ne parla - dei fantascentifici "draft"), è però vero che, soprattutto aldilà dell'Oceano, esiste una realtà organizzativa e una serietà manageriale che, rendendo i tornei avvincenti (e dunque seguiti, e quindi tutto quello che ne consegue) e grazie ad una strepitosa attività di marketing, consente a dirigenti, giocatori e investitori di guadagnare e vivere felici indipendentemente da quello che accade in campo.
Altrimenti non si spiegherebbe perchè la rivista economica Forbes da due anni assegni il "titolo" di "most valuable franchise" della NHL ai Toronto Maple Leafs. A vantaggio dei presidenti italici che per la torta televisiva si stanno scannando su percentuali a proposito della "storia del club" (parentesi: valgono anche i piazzamenti ottenuti con giocatori con passaporti falsi? Iscrizioni ottenute con fidejussioni taroccate? Plusvalenze?) e "numero di tifosi" (altro inciso: conteranno anche i biglietti omaggio? No, perchè abbiamo un amico carpentiere che ci ha raccontato di essere stato pagato per i lavori di ristrutturazione della sede sociale di una società di A in barter con abbonamenti dello stadio...) ricordiamo che i Maple Leafs non vincono una Stanley Cup da quarant'anni. Secondo Forbes, che naturalmente valuta di conseguenza l'appetibilità della società, il valore della franchigia non si basa assolutamente su trofei o piazzamenti bensì su costi, ricavi, il valore delle proprietà immobiliari (lo stadio, per intenderci), l'impatto degli ingaggi dei giocatori in proporzione ai risultati ottenuti, l'ebit, il brand management e il profilo economico della città e dei tifosi. Che a Toronto magari non saranno al settimo cielo (nelle ultime due stagioni le "Foglie d'acero" non hanno raggiiunto neppure i playoffs e quest'anno non sono partiti benissimo) ma, ciononostante, il valore della loro amata squadra non è affatto uscito deprezzato, anzi. Tanto che Richard Peddie, CEO dei Maple Leafs, come ha raccontato a Forbes, è "in una botte di ferro".
Senza stare a riportare tutti i dati, consultabili su http://www.forbes.com/lists/2007/31/biz07nhlToronto-Maple-Leafs_312012.html, basta solo segnalare che il valore del team è cresciuto da 280 milioni (nel 2004) a 332 (nel 2006) fino agli attuali 413 milioni di dollari (n.b. nel 2005 la stagione NHL non si è disputata), con un operating income passato da 14 a 53 milioni tra il 2004 e 2007, per la gioia del proprietario della franchigia.
Ed è proprio qui che arriva la sorpresa finale. Dietro la Maple Leaf Sports & Entertainment, società che controlla il sodalizio di Toronto, non c'è né una multinazionale, né una serie di aziende, banche e grandi investitori e neppure qualche egocentrico magnate americano. Bensì, più modestamente, col 58% delle quote, l'Ontario Teachers' Pension Plan, ovvero il fondo pensionistico degli insegnanti dell'Ontario, che ha deciso d'investire nell'hockey i denari dei vitalizi di quasi trecento mila dipendenti del settore dell'istruzione della provincia. Un'operazione in cui si è affiancata la CTVglobemedia, secondo azionista col 15%, azienda canadese del settore della comunicazione (tv, radio, carta spampata) di cui oltretutto l'OTPP possiede il 25%. E giusto per chiudere il cerchio, oltre a segnalare che i Maple Leafs hanno attratto tra i loro principali sponsor giganti tra cui la Ford, IBM, la birra Molson e Coca Cola, la MLS&E di presidi e professori, tra le varie, detiene pure la proprietà dei Toronto Raptors di Bargnani, della splendida arena da 18mila posti nella quale appunto Maple Leafs e Raptors si esibiscono e i cui preziosi diritti di nome sono stati venduti all'Air Canada, della "Leafs TV", il primo canale televisivo monotematico su una squadra in Nord America e, curiosità finale, del Toronto FC (MSL), il cui allenatore è il rosso "Mighty Mo" Johnston, ex stella di Celtic e Rangers. Ve l'immaginate, una cosa del genere, a casa nostra? O forse... toccheremmo il Fondo?

Paolo Sacchi
p-sacchi@hotmail.it

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