Cowboys senza prezzo

1. Visto Bobby Petrino lunedì notte a bordo campo durante Atlanta-New Orleans? Ecco, ora è sparito. Nulla di criminale, sia chiaro. Semplicemente, Petrino ha deciso di uscire dal contratto quinquennale con i Falcons che solo dieci mesi fa aveva firmato e di accettarne un altro, per la medesima durata ma molto meno ricco (14 milioni contro 24), con la University of Arkansas. L’istinto sarebbe naturalmente quello di stroncare Petrino, che ha abbandonato una barca in evidente difficoltà, ed è recidivo. Nel novembre 2006, infatti, aveva accettato l’offerta dei Falcons nonostante avesse sottoscritto solo cinque mesi prima un accordo di dieci anni con Louisville, ed il suo passato è pieno di situazioni in cui se n’è allegramente e vorticosamente strafregato dei contratti in essere per cercare quel che a suo avviso era più allettante. Di fatto è un personaggio stimatissimo come coach per l’attacco, ma mai contento, sempre intento a scrutare l’orizzonte. Prima però di attaccarlo bisogna chiedersi se ciascuno di noi sarebbe in grado di non comportarsi alla medesima maniera. I soldi c’entrano fino ad un certo punto, anzi come si è visto saranno meno, ad Arkansas. Magari c’entra il metodo, il cosiddetto “progetto”, magari c’entrano condizioni lavorative migliori, e questo è un aspetto che non va sottovalutato, anche perché pare che i suoi giocatori ad Atlanta lo detestassero. Infastidisce però molto l’atteggiamento di Petrino nelle ultime settimane: obiettivamente sfortunato perché i Falcons per cui aveva firmato erano squadra promettente anche solo per la presenza di Michael Vick, che invece non è mai sceso in campo a causa dell’incriminazione (condanna, ora) per avere favorito l’allestimento di combattimenti tra cani, non avrebbe però dovuto rispondere “non ci ho nemmeno pensato un attimo” a chi gli chiedeva se si fosse interessato a qualcuno dei posti che si stavano liberando nel football NCAA, ed è questa tendenza a raccontare fandonie che infastidisce, anche perché non nuova. Poi è chiaro che la vita di un head coach universitario di una squadra buona e con grande tradizione, come Arkansas, è una delle migliori che si possano immaginare in questo ambito. Anche se dover supplicare dei 17enni cercando di convincerli ad accettare il tuo college è umiliante. A noi dà fastidio dover a volte rivolgere domande ad atleti sostanzialmente ignoranti ed in possesso nella loro esistenza di una unica dote, che però fa di loro dei milionari, figuriamoci entrare nel salotto di casa Harris, fingere di essere gentili con la mamma, sorridere quando ti dà una crostata e parlare con il giovane Nick spiegandogli perché Arkansas è meglio di Tennessee o Texas, vedendosi magari anche respingere. Per carità.
2. Siamo quasi al redde rationem, ovvero al momento in cui gli intrecci di prospettive playoff per le varie squadre si stringono l’uno con l’altro ed entrano in contrasto. Il borsino sale-scende delle più in vista è facile da compilare, quasi schematico. New England: sale. Indianapolis: sale. Dallas: sale. Pittsburgh: scende. Green Bay: sale. Minnesota: sale. Jacksonville: sale. Seattle: sale. San Diego: sale (poco). NY Giants: salgono. Tampa Bay (vedi sotto): sale. Washington: scende (ko Jason Campbell, il Qb).
3. Uscendo da questo angolo un po’ troppo sintetico, un altro accenno ai New England Patriots. Nemmeno troppo volentieri, ma dovuto. Partendo da una premessa che vale per tutti gli sport, specialmente però per uno estremamente tattico come il football: l’avversario che hai di fronte avrà inevitabilmente un punto debole, e la strada verso la vittoria la accorci se attacchi proprio quello. Nel caso di Pats-Steelers di domenica scorsa il coach Bill Belichick e l’offensive coordinator Josh McDaniels avevano individuato la parte molle in Anthony Smith, il safety con due anni non completi di esperienza NFL. Anello tenue della catena? Solo in parte. In realtà, cercando di equilibrare esigenze tecniche e tattiche con un pizzico di cattiveria, il duo di allenatori di New England voleva far capire a Smith che certe cose si è liberissimi di dirle, ma bisogna poi supportarle con i fatti. Smith in settimana aveva più o meno assicurato che Pittsburgh avrebbe vinto. E’ pressappoco il “guarantee”, la garanzia di vittoria, che per motivi che a noi sfuggono piace così tanto ai giornalisti americani. L’assicurazione di vittoria di Joe Namath (degli sfavoritissimi New York Jets) al Super Bowl III, poi mantenuta a sorpresa, viene ancora ricordata, ma ci pare un’assurdità: nello sport nessuna vittoria è certa prima che si giochi, dunque se Namath (o Smith o chi per loro, magari due anni fa Rasheed Wallace nella NBA) è certo che vincerà vuol dire che c’è qualcosa di losco (improbabile) o che la sua è solo una sbruffonata, alla quale va dato credito zero. Comunque sia, Smith libero di garantire la vittoria. Ma in un mondo come quello di oggi, in cui a quanto pare non si può dire nulla se non è politicamente corretto, invece di alzare le spalle e far finta di nulla c’è chi se l’è presa, ed ha agito di conseguenza. I Patriots, infatti, nella vittoria 34-13 in cui si sono progressivamente staccati dagli avversari, per due volte hanno segnato un touchdown lanciando proprio dove Smith era in copertura. Nel secondo caso si è vista una delle più belle azioni dell’anno: “ammorbidita” la difesa di Pittsburgh con una serie di passaggi corti, con palla sulle 44 di New England il quarterback Tom Brady ha lanciato immediatamente laterale a destra (in realtà all’indietro… ma per quel sapientino segnalato la scorsa settimana non era vietato?) per Randy Moss, che ha raccolto il pallone dopo che questo aveva toccato terra, e lo ha immediatamente rilanciato dalla parte per lo stesso Brady, che ha preso e lanciato lungo – 56 yard – per Jabar Gaffney. Touchdown. E si era sul 17-13 Patriots, quindi a partita ancora in piena incertezza, ma il livello di sicurezza in sé dei Pats è così grande che dalla linea laterale e dal gabbiotto degli assistenti lassù in tribuna ci si sente sicuri a chiamare questi schemi. Quanto a Smith, probabile che d’ora in poi sia più cauto, ma è giusto che non si freni, perché quel che dice non fa male a nessuno. E poi è parte obbligatoria dell’armamentario mentale di ogni defensive back – come di ogni portiere nel calcio – sapersi mettere subito alle spalle ogni errore: proprio come i portieri, cornerback e safety possono eseguire il movimento o gesto perfetto diciannove volte su venti, ma verranno ricordati e mostrati al replay per quell’unica volta in cui non avranno tenuto la posizione giusta, o infilato la mano tra quelle del ricevitore, e avranno concesso un touchdown. Una nota: domenica, New England ha lanciato 46 volte – completando 32 passaggi… - e corso solo nove volte. In questa stagione siamo a 484 passaggi e 365 corse. Ovvero tre corse ogni quattro passaggi, una formula che sta funzionando splendidamente.
4. A proposito di td concessi da defensive back: lunedì sera il touchdown segnato dal ricevitore di Atlanta Roddy White, su lancio di Chris Redman (tornato alla NFL dopo due anni come agente assicurativo), nel primo quarto del Monday Night Football, è stato il primo permesso dal cornerback Mike McKenzie in tutta la stagione. Merito suo, ma anche – vedi sopra – del fatto che i Qb avversari cerchino, se possibile, di lanciare altrove. Da qui ne deriva la conclusione, di una banalità – ci scuserete – imbarazzante, che se hai due cornerback e due safety di alto valore puoi mettere davvero nei guai i Qb avversari.
5. Niente di clamoroso, qui, visto che si tratta di un’informazione tratta da www.dallascowboys.com, nella sezione dedicata al nuovo stadio (nell'immagine sopra), attivo dalla stagione 2009 (vedi American Bowl 27) e sede del Super Bowl del febbraio 2011. Stadio di una bellezza che farà quasi rabbia, tra l’altro. Bene, è ovviamente già iniziata la vendita di abbonamenti per il nuovo impianto. Ed è rispuntata una sigla amata da molti dirigenti, e temuta dai tifosi: PSL. Ovvero Personal Seat Licence. Ne abbiamo già parlato: si tratta del “permesso” di acquistare biglietti, ed è l’equivalente della “tessera club obbligatoria”, che viene truffaldinamente imposta a chi ha la sventura, o necessità, di fare una settimana di vacanza in un villaggio turistico. Qui siamo a cifre diverse, come ovvio, ma il criterio è lo stesso: per motivi che ci possono spiegare fino alla nausea ma non capiremmo mai comunque, come per poter avere il diritto di farti rapinare al bar della rumorosissima e bambinosissima piscina (oddio, che squallore al solo pensiero) devi pagare una quota, così con la PSL per poter acquistare biglietti e abbonamenti devi prima prenderti questo permesso. Solo che nel caso dei Cowboys la quota (trentennale) va da 16.000 a 50.000 dollari (10.000-34.000 euro al cambio di mercoledì 12 dicembre). “Facciamo notare che sono previsti finanziamenti” aggiunge Chad Estis, responsabile vendite, e meno male. Comunque sia, i singoli biglietti costeranno poi anche 340 dollari a partita per i posti delle 50 file lungo le due linee laterali, su tre livelli diversi. Va specificato che procedimento analogo alla PSL, senza che così si chiamasse, era stato seguito alla costruzione del Texas Stadium nel 1971, solo che all’epoca, fatte le proporzioni, i 250 dollari di “obbligazioni” per ciascun posto a sedere valevano meno dei 16.000 di oggi. Nel comunicato si leggono altre cosette interessanti: pur tenendo conto anche qui del diverso potere di acquisto del dollaro, il costo del tabellone del nuovo stadio, che sarà lungo 60 yard (ma dai!) sarà superiore a quello sostenuto per costruire l’INTERO Texas Stadium 36 anni fa. Inquietante però che si legga che tale schermo, per gli spettatori dell’ultimo anello, potrà essere un’alternativa al guardare la partita che si svolge qualche decina di metri più sotto… Nel Texas, tra l’altro, ad Austin, sede della University of Texas, c’è il tabellone luminoso più grande della NCAA, casomai qualcuno si fosse dimenticato che per luogo comune tutto, in quello Stato, è più grande. Se si vuole, guardare, ammirare e vergognarsi (delle strutture italiane, oltretutto spesso pagate con denari pubblici) a http://stadium.dallascowboys.com.
6. Angolo, sgradevole anche da compilare, del Professorino, e giuriamo che a meno di casi clamorosi sarà l’ultimo. Non si dice il peccatore, come del resto la scorsa settimana, ma il peccato. Perché quel che vogliamo evidenziare non è (solo) la scarsa preparazione dei singoli colpevoli, quanto il sistema giornalistico generale che se ne frega tranquillamente della precisione e della serietà in molte circostanze, specialmente quando si occupa di argomenti non noti al grande pubblico, al quale evidentemente si ritiene che sia onesto propinare qualsiasi cosa. Stavolta, un settimanale piuttosto noto ha pubblicato un articolo su Adrian Peterson, uno dei giocatori preferiti da American Bowl, anche se avanza ogni giorno il sospetto che davvero, come ritengono alcuni commentatori americani infinitamente più illustri di noi, quello del running back sia un ruolo lievemente sopravvalutato, ovvero che nella NFL al di sopra di una minima soglia di talento, tenacia, resistenza ai colpi e atletismo, tra un RB e l’altro ci sia davvero poca differenza. Del resto lo avrebbe dimostrato il fatto che perso Edgerrin James, molto brillante nelle sue stagioni a Indianapolis, i Colts abbiano ugualmente vinto il Super Bowl, e che da anni ai Broncos, grazie anche alla linea di attacco e alle sue particolari tecniche non gradite a tutti gli avversari, basti mettere dietro il Qb un qualsiasi ex universitario in grado di tenere stretta la palla che la produzione di yard è assicurata.
7. Comunque sia nel pezzo, che ci dicono complessivamente ben fatto, c’è però una premessa che dice “Il Messia del football americano è un ragazzo di 22 anni, Adrian Lewis Peterson, l’uomo nuovo che gli Stati Uniti stavano aspettando per rivedere gli stadi pieni e le folle in visibilio, quello che mancava ad uno sport in crisi di campioni per ritrovare la fede”. Prego??? La NFL stabilisce di anno in anno un nuovo record di pubblico, tanto che ormai siamo quasi all’impossibilità di crescere ulteriormente se non verranno costruiti altri stadi, i diritti Tv valgono come il petrolio su Marte e ci sarebbe bisogno di un giocatore nuovo? Ma dai…
8. Non male anche questa robetta tratta da un quotidiano, peraltro fatto con le estremità inferiori: parlando della Tv di Natale si legge “… i professionisti della NFL dal 9 dicembre al 6 gennaio si contenderanno un posto per la finale del Superbowl”. A parte il fatto che si giocherà anche dopo il 6 gennaio, errore probabilmente dovuto al fatto che dal 7 gennaio non era più appropriato parlare di Tv di Natale, solita storia: Super Bowl si scrive staccato, e vabbé, ma dire “finale del Superbowl” è come dire “primo dell’anno di Capodanno”. Basta dire “un posto per la finale, il Superbowl”. Però per dirlo bisogna saperlo…

Roberto Gotta
chacmool@iol.it
http://vecchio23.blogspot.com

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