L'anno dei Lakers


“Non credo che i Lakers abbiano una sola possibilità di vincere 70 partite”. Questa è la risposta di Phil Jackson, dopo la vittoria sul campo di Philadelphia, ai giornalisti del Los Angeles Times alla domanda 'Questa squadra può raggiungere il record dei Bulls del '96?'. Cioé 70 vinte, 12 perse e sempre Jackson allenatore...Ovviamente coach Jackson ha voluto stuzzicare i suoi giocatori, cercando una reazione di orgoglio per mantenere alta la concentrazione e vincere la regolar season. La competizione nella Western Conference è di primissimo livello e il fattore campo è fondamentale, ma ancora più importante lo è in finale, dove il formato 2-3-2 diventa un vantaggio significativo per chi ha il miglior record. La NBA a 30 squadre fortemente voluta dal commissioner David Stern è costituita da 6/7 formazioni da titolo, una dozzina di franchigie giovani e di talento e, purtroppo, da troppe realtà senza alcuna prospettiva. Questo rende l'attacco dei Lakers sufficiente per vincere la regolar season NBA e per raggiungere inoltre quel record di vittorie dei Bulls.
Ma quanto valgono i Lakers? Soprattutto, cosa hanno in più dell'anno scorso visto che la rosa è la stessa? Oggi i Lakers sono la miglior squadra dell'Ovest e giocano il miglior basket offensivo della Lega. Hanno corsa, esecuzione, mani buone, fiducia e Kobe Bryant. Le differenze tecniche dall'anno scorso sono poche ma significative. Partiamo da Lamar Odom. Quest'anno ha visto il suo minutaggio leggermente ridotto ed è stato inventato nel ruolo di sesto uomo per lasciare spazio in quintetto al giovane Andrew Bynum. Il management ha investito forte su Bynum, contratto da 58 milioni di dollari per 4 anni, per uno dei centri emergenti della lega, mentre lo staff tecnico sta portando avanti un lavoro di sviluppo individuale. I Lakers amano dire che Kareem Abdul Jabbar ne sia il mentore, ma in sono realtà Brian Shaw e Jim Cleamons che stanno seguendo il ragazzo nella sua crescita tecnica. Bynum al fianco di Gasol significa un quintetto più alto, con tanta intimidazione e punti in area? Se da gli anni '80 il basket non si fosse evoluto la risposta sarebbe sì, invece la verità è tutt’altra. Gasol e Bynum non si integrano bene insieme né in attacco né tantomeno in difesa; l'impossibilità di aprire il campo e di accoppiarsi con un quintetto basso e veloce sono evidenti, ed è per questo che Lamar Odom sesto uomo è fondamentale.
Il numero 7 dei Lakers, che è senza ombra di dubbio il miglior difensore e passatore della squadra, quando entra in campo abbassa il quintetto e automaticamente alza il ritmo dell'attacco e l'intensità difensiva. In sostanza, i Lakers hanno 3 giocatori di livello per 2 ruoli, ma la coppia Bynum-Gasol non è di primo livello e Odom sesto uomo è l'unico modo per giocare, nei momenti chiave delle partite, un basket veloce fatto di movimento e di letture. Inoltre, Odom è uno di quei giocatori che non si misura dalla statistiche e lui stesso è il primo a non darci peso; autentica rarità in una lega piena di primedonne.
L'altra novità tattica dei Lakers risponde al nome di Trevor Ariza, un atleta formidabile capace di correre, difendere 4 posizioni e segnare tiri piazzati dall'angolo (pur non essendo un tiratore continuo), nervo scoperto nella difesa di 28 squadre su 30, uniche eccezioni sono Cleveland e San Antonio. La scorsa stagione i Lakers sono crollati in finale, dove almeno una delle 3 stelle di Boston (Allen,Garnett e Pierce) veniva marcata da un difensore mediocre; Ariza potrebbe superare questo limite accoppiandosi a piacimento contro la guardia o l'ala piccola avversaria. Il mondo NBA vive di questi piccoli dettagli, lo sanno bene giocatori dal talento limitato come Bowen e Posey che hanno fatto la differenza in questi anni.
Il basket è uno sport dove la guida tecnica incide in percentuale molto alta sui risultati di una squadra, ma senza giocatori come Kobe Bryant e Tim Duncan nessun Trevor Ariza o Bruce Bowen sarebbe mai decisivo per la vittoria di un titolo. Quello che Kobe Bryant sta facendo quest'anno è qualcosa di assolutamente nuovo per lui: gioca in controllo, ha fiducia nei suoi compagni, non sente l'esigenza di forzare tiri e accetta con serenità un minutaggio medio di 33 minuti, sintomo di una squadra in salute. Kobe ha già vinto 3 anelli, ma quei successi dei Lakers vengono (giustamente) associati al nome di Shaq, che era leader assoluto di quella squadra. Da quando le strade di Shaq e i Lakers si sono separate, Bryant è diventato padrone della squadra, ma solo nelle ultime due stagioni ha avuto per le mani la possibilità di competere per il titolo. Solo Phil Jackson è riuscito a rapportarsi con l'ego smisurato di Bryant, il quale per la prima volta nella sua carriera non ha conflitti interni nello spogliatoio ed è sulla stessa linea del general manager Kupchak. Sul campo Kobe non ha limiti, è spettacolo puro.
L'altra sera a Philadelphia ha dominato la partita con 32 punti e una capacità unica di decidere lui quando chiudere la partita e zittire un pubblico che non l'ha mai amato. Kobe si è sempre definito un figlio di Philadelphia, ma i cittadini della città dell'amore fraterno non lo considerano come tale in quanto ci ha vissuto solamente negli anni del liceo, per di più in un area residenziale in collina (Ardmore, reddito medio per famiglia di 75 mila dollari). I 19mila presenti (secondo i dati ufficiali, in realtà non erano più di 15mila) al Wachovia Center erano tutti lì per Kobe: non certo per fischiarlo, ma per vedere giocare uno dei migliori di sempre. Inoltre, non mancavano centinaia di tifosi di Kobe con la maglia 24 dei Lakers che hanno intonato a più riprese il coro “MVP!MVP!”.
I Lakers hanno tutto per vincere; gli occhi dei media sono puntati su di loro, e negli uffici NBA di New York si prega per rivederli in finale, perché anche l'NBA ha una crisi da fronteggiare, e le stelle come Kobe e LeBron riescono a far vendere a cifre da capogiro questo prodotto. Ma non solo: riescono a nascondere le pecche di una lega che negli ultimi anni ha cavalcato troppo l'espansione commerciale aprendo nuove franchigie in mercati non adeguati.
Francesco Casati, da Philadelphia
f.casati@fastwebnet.it
(in esclusiva per Indiscreto, foto di Francesco Casati)

14 commenti:

Calvin ha detto...

Ciao Francesco, aricomplimenti, non so come faccia Stefano a trovare sempre persone nn solo competenti e appassionate ma che sappiano anche scrivere! se penso ai cani che firmano i pezzi su tanti giornali sportivi.. Vabbe' torno IT. Dagli anni '80 mi e' rimasto la preferenza x i biancoverdi quindi mi tocca presentarti un paio di spunti "contro": 1. La panchina; nella NBA allargata di oggi e' un problema di tante squadre da titolo; l'anno scorso Boston lo risolse con un role player eccezionale (posey), due veterani (Cassell e PJ Brown) e un po' di entusiasmo giovanile (Powe). Quest'anno ne han persi due e senza rimpiazzi secondo me rischiano nei momenti topici. LA ha ancora Radmanovic, Walton, Vujacic, Farmar.. Non proprio i giocatori che vorrei far entrare in un eventuale
Finale. 2. KB: secondo me ha risolto tanto dei suoi problemi mentali con l'MVP dello scorso anno, ma secondo nei momenti topici tendera' ancora all'1vs5. Boston si sta ancora fregando le mani per ls prestazione in gara 5 dello scorso anno..

Francesco Casati ha detto...

Vincenzo, grazie grazie e ancora grazie per i complimenti. Su Boston sono d'accordo, però c'è il fattore mentale da non sottovalutare. Nel senso, quando un giocatore fa parte di una squadra da titolo(e che lo siano non ci sono più dubbi) e non ha pressione addosso è stimolato e pronto a stupire, in questo senso non mi meraviglierei se Tony Allen diventasse un fattore. Su Radmanovic, Walton e Vujacic sono d'accordo, non spostano molto, ma Farmar ha grandi gambe e come play di riserva è OK. Come scritto nell'articolo è Ariza che può essere un fattore, perchè è l'unico che può difendere e correre.

Ivan.fab ha detto...

Potere di giocare tutti i giorni. I lacustri son passati in pochi giorni da "la miglior squadra NBA del momento" a "la terza miglior squadra NBA del momento".

pietro ha detto...

La vera differenza tra i Lakers e i Celtics è che nei Lakers si sopravvalutano i lunghi, mentre nei Celtics si sottovaluta la forza mentale dell'insieme.

Gasol? Fortissimo. Ma contro Garnett fa la stessa figura rimediata recentemente da Bosh. Non c'è paragone riguardo all'impegno mentale, all'attitudine, oltre al fatto che Garnett, ancora, manda a scuola tutti i 4 e i 5 dell'NBA quando è in giornata di vena offensiva.

Bynum? Grande presenza, probabile futuro all-star. Ma parecchio svagato. Perkins commette molti falli, ha pure problemi disciplinari. Ma è una presenza costante, che crea moltissimi blocchi per Rondo e Ray Allen.

Fisher è stracotto. Farmar non ha niente in più da offrire attualmente. Rondo è sottostimato, mentre è un quarto violino ben al di sopra del necessario, soprattutto quando penetra e scarica.

Il gioco offensivo dei Lakers è ottimo. Ma quest'anno i Celtics stanno liberando molti tiri per Allen, che non è certamente Kobe Bryant, che può vincere la partita da solo con un solo quarto eccellente. Ma Ray Allen toglie pressione a Garnett, spesso raddoppiato.

Poi è inutile che io stia qui a fare un paragone tra Pierce e Radmanovic o Odom. La vera differenza è mentale. I Lakers tendono a scomporsi, spesso latitano mentalmente, mentre i Celtics danno l'idea di esserci sempre con la testa. Oltre a una dose di classe abbondante. Le panchine sono equivalenti, ma c'è sempre la solita differenza: Ariza e Vujacic? Bravi, Ariza poi è una vera e propria manna per Jackson, anche meglio di Powe e Tony Allen. Ma l'apporto in termini fisici e mentali dei due Celtics è spesso più decisivo.

La vera avversaria di Boston è a Est e si chiama Cleveland.

Calvin ha detto...

Concordo, Cleveland quest'anno è fantastica nonostante LBJ giochi spesso in relax. Bravissimo coach Brown a cercare di costruire un sistema difensivo efficace, tanto poi in attacco tutto dipende da Lebron. Io dico che con LBJ, Williams e Ilga in giornata i Cavs li batte solo Boston - a patto che PP giochi come nei PO dello scorso anno.

jeremy ha detto...

Intanto il Beli due partite fatte bene, con percentuali splendide e doppia cifra di punti. Faceva tanto schifo dargli delle chances?

Stefano Olivari ha detto...

All'analisi sui Lakers aggiungerei però che mai come quest'anno Bryant sta giocando per coinvolgere tutti, abbassando i minuti e guardando poco (ma non pochissimi) le statistiche (anche stanotte contro Phoenix). In prospettiva playoff, o per meglio dire Finale, un bene. Poi concordo sulla differenza mentale, anche se l'aggressività non è per forza sinonimo di concentrazione o di intensità mentale: Phil Jackson non chiedeva ai suoi urla alla Garnett nemmeno quando i Bulls di inizio ciclo subivano le porcherie della Detroit dei Bad Boys.

Dane ha detto...

Sposo il discorso del Direttore, un po' come quando si dice che una squadra è stata "cinica" solo perchè ha troppo potere per poter scriver che ha rubato...

Calvin ha detto...

Stefano non so quanto sia benaugurante il tuo paragone visto che contro quei Pistons i Chicago Jordans hanno perso per due anni di fila, riuscendo ad imporsi quando Detroit era ormai in fase discendente. Su KB, ho scritto nel primo commento che la scimmia dell'affermazione personale probabilmente se l'è tolta con l'MVP dell'anno scorso; non sono però sicuro che possa portare questi Lakers alla vittoria. Tutte le partite dei PO dello scorso anno - persino le olimpiadi! - mi hanno lasciato ancora perplesso sulle sue capacità di leggere i momenti della partita e sulla tendenza a provare l'uno contro cinque appena la situazione si complica. In questo, potrà sembrare eretico, ma mi sembrano molto piu' "pronti" LBJ o Wade rispetto a Kobe. Poi magari è un'impressione dettata dalla scarsa simpatia verso il personaggio (robe come lo "sciopero del tiro" per me sono da pedate nel culo), ma il mio dollaro quest'anno lo punto di nuovo sull'Est.

pietro ha detto...

Vero Stefano, ma Garnett non è solo urla in campo e trash talking. E' una presenza in termini di carisma e di forza fisica, oltre ad apportare una notevole qualità di tiro e scarico, se è in palla.

Voglio dire. I Celtics danno l'idea di stare dentro al campo nei momenti decisivi, altrimenti sarebbero usciti già alla settima contro Atlanta lo scorso anno. E in casa hanno una tensione altissima, che si tramuta sempre in un gioco produttivo.

Lo scorso anno nelle partite decisive non mancarono mai all'appello e secondo me come squadra, nonostante Posey, erano più deboli di quest'anno. Facevano molta difesa, ma poco attacco. Quest'anno vedo più schemi offensivi, Rondo e Perkins sono in crescita, Ray Allen è finalmente a posto. In più anche loro stanno cercando di tenere basso il minutaggio delle stelle, concedendo qualche eccezione a Pierce, che è multidimensionale e serve parecchio.

Insomma: se Bryant si sta risparmiando, lo stesso stanno facendo Garnett e gli altri. E cosa ancora più grave per tutti lo sta facendo LeBron.

Io vedo queste quattro finaliste: Celtics-Cleveland (partita decisa dal fattore campo e a oggi non si sa chi l'avrà), Lakers - San Antonio. Se gli Spurs sono in salute per Jackson sarà dura.

Ivan.fab ha detto...

Ho visto sprazzi di Lebronte ieri sera e pare proprio aver scalato anche quest'anno un ulteriore gradino. Talmente costante e continuo nel farlo che a questo punto son proprio curioso di vedere dove può arrivare...
Per me Boston resta strafavorita ma come linguaggio del corpo a me sta dando l'impressione di spendere molto di più rispetto a Lakers. Magari Garnett giocherà anche 30 minuti invece di 38 ma se lo fa con la vena costantemente gonfia non so fino a che punto risparmi energie.

Stefano Olivari ha detto...

Anche per me LBJ ha più intelligenza sul campo di Kobe: a provarlo è anche il fatto che a Pechino in post alto a neutralizzare le zone 2-3 ci andava lui e non l'accentratore di Philadelphia (per non dire Pistoia). Ma Jackson è uno che ha sempre tratto lezioni dalle sconfitte: al di là della retorica del guerriero 'coraggioso e gentile' sono convinto che da una trade almeno un mazzolatore arriverà. Vedo anche io le semifinaliste di Pietro (con dolore per 100 euro messi ad ottobre sui Pistons finalisti di conference), anche se come concorrente di SA mi sembra che a Dallas si sia riacceso un minimo di fuoco e che Houston abbia i migliori comprimari della lega (le stelle sono sempre mezze rotte). Il bene della NBA sarebbe che LeBron vincesse a Cleveland, così come l'anno scorso era la resurrezione della rivalità Celtics-Lakers: dirò una bestemmia, ma penso che il Belinelli ingrossato di questi tempi come cambio nei Cavs potrebbe starci. Glielo auguro. A Toronto avrebbe poco spazio in una situazione comunque incasinata (Bargnani da tre dovrebbe diventare un ricordo), nei Nets avrebbe belle statistiche ma in un contesto perdente che fra un paio d'anni ne farebbe l'ormai classicissimo europeo di ritorno per questioni di autostima più che di soldi: da 'mister hooking' Planinic a Khryapa, passando per Krstic e tanti altri.

Ivan.fab ha detto...

Ho avuto anchio lo stesso pensiero Stefano. Penso che Phil Jackson sia conscio che oggi (leggi due anni) vincere è una possibilità concreta e quindi sia ragionevole provare a smuovere ancora qualcosa. A ovest credo poche ai grandi vecchi, mi tengo Jazz e New Orleans come rivale dei Lakers. A est non quotabile una sfida diversa da quella che tutti pensiamo. A meno che il centro col mantello da SuperMan cominci a segnare da 7 metri...

Francesco Casati ha detto...

Ecco la prima grana, Bynum che si sente frustrato per non giocare mai i minuti finali delle partite. Bynum è un ragazzo di 21anni, non ha capito che il sacrificato è Odom da sesto uomo. Vediamo come Jackson gestirà la situazione.