di Simone Basso
Stavolta ci occupiamo dell'ultimo vincitore toscano del Giro d'Italia; incredibile ma vero, nel dopoguerra la più grande scuola ciclistica del Bel Paese ha vinto una sola rosa finale dal 1958 ad oggi. Malgrado Carlesi, Bitossi, Ballerini, Cipollini, Tafi, Bartoli, Casagrande, Bettini...Ebbene si, bignami doveroso dedicato a Franco Chioccioli da Pian di Scò, un atleta eternamente fuori dal suo tempo.
Sfregaselle sfortunato a capitare in un'era tricolore, gli anni Ottanta, autarchica e conservatrice: di quel ciclismo fu uno degli agnelli sacrificati alla rappresentazione scenica. Ebbe una carriera in chiaroscuro, che un Mastronardi avrebbe definito catramata; per causa di forza maggiore, dagli eventi e dal destino. Figlio di una famiglia contadina, ultimo di otto fratelli, dovette convivere con le storie dolorose di tutti i giorni. Talento annunciato fin dalle categorie giovanili, con un Giro della Lunigiana nella fedina, fu scoperto da un certo Franco Montanelli, nessuna relazione diretta con l'Indro, e valorizzato nei pro da Luciano Pezzi. Il primo, che lo protesse come un angelo custode, vide quello che gli altri non capirono: l'annuncio di un campione, dietro quell'apparente (?) fragilità. Personaggio, il Montanelli, come se ne trovano solo in questo sport: fu infatti, prima che diesse, anche un fuoriclasse del biliardo...Il secondo, antico gregario di lusso, fu il saggio dell'ammiraglia che guidò gli ultimi due vincitori italiani del Tour (Gimondi e Pantani).
Il Giro 1983 lo rivelò, se non al grande pubblico, almeno agli addetti ai lavori: quella corsa rosa, altimetricamente banale, fu il gran ballo di una nuova generazione. Franco, che per scarsa fantasia e i lineamenti dolenti fu soprannominato Coppino, mostrò lampi di classe purissima. Vinse, quasi senza accorgersene, la maglia bianca e contribuì con i Visentini, Argentin, Chozas, Cassani a rendere la corsa imprevedibile. Si presentarono sul proscenio tanti nuovi protagonisti, magari meno classici nell'atteggiamento rispetto a chi li precedette: Paolone Rosola, per esempio, nella tappa dell'attacco garibaldino Termolan verso Vasto, fu costretto ad abbandonare il suo rosa provvisorio. Non fece drammi, anzi: arrivò quasi fuori tempo massimo, con le tribune smontate, cantando "..voglio una vita spericolaataaa.." sul traguardo...
Popolare, lo smilzo della terra del Chianti Gallo Nero, non lo fu mai; con quella faccia un po' così, non risultò mai l'oggetto del desiderio di media e sponsor. Troppa iella incombente lo privò di una ribalta consona alla sua classe, impedendogli un'affermazione internazionale tecnicamente nelle corde del suo potenziale: archetipo italiano, un cavallo di razza alla Motta/Battaglin, strepitoso in salita nei giorni di ispirazione massima, competente anche negli sprint ristretti dopo tracciati esigenti. Quell'isolamento italico, nelle squadrette Brancaleone, significò la rinuncia a classiche a lui favorevoli; come le ardennesi per esempio, che parevano disegnate per il suo estro.
Ma il Chioccioli incappò anche in disavventure come quella della Maggi nel 1985; dopo un Giro eccellente, con la vittoria nella pantomima torrianesca del Gran Sasso (kafkiana..), assistette alla diaspora finanziaria della squadra stessa. Il mese seguente la grande affermazione al Giro del Friuli, contro Moser, si ritrovò a spasso come i suoi compagni di sventura, correndo alla carlona con una divisa neutra priva di scritte. Vicenda che illustra al meglio la precarietà di quel ciclismo e (di ritorno) anche di questo; legato, in Italia, a mecenati lillipuziani quasi sempre generosi e, in alcune occasioni, cialtroni e dilettanteschi. Vi sembra un caso che il momento di massimo splendore monetario, negli anni novanta, si sia verificato parallelamente alla diffusione democratica dell'epo nel plotone?
Il Franco comunque continuò a recitare la parte, frustrante, della comparsa di valore: rispettando il copione, fece sempre la cosa giusta al momento sbagliato. Anche al Giro 1988, quando indossò un rosa splendente, ibernò i sogni di gloria sotto la tempesta di neve del Gavia: quasi che la sconfitta eroica fosse nel suo codice genetico. In posizione di sparo, ai mondiali 1989 di Chambery, cadde facendo il pieno delle occasioni perdute. L'anno prima di riscuotere, in una volta sola, tutto il credito accumulato con gli dei, arrivò ad un biglietto ferroviario dalla fine anticipata della carriera: nel 1990, nella maxicrono di Cuneo, prese una stesa memorabile (e sette minuti in settanta chilometri). Solamente i tecnici e i colleghi della Del Tongo lo dissuasero dall'abbandono; già, perchè il Chioccioli visse sempre sul filo di una crisi di nervi, privo di difese immunitarie dalle tensioni agonistiche. L'insonnia talvolta divenne un presagio felice: passò senza addormentarsi quasi tutte le vigilie importanti della sua carriera, solitamente quando sentiva la gamba giusta. Così si ritrovò ad inventare espedienti per riposare almeno qualche ora, per evitare che con quel fisichino il vento lo portasse via: il rimedio più bizzarro fu lo scotch adesivo nero applicato a tutte le fessure e le spie che emettevano luce...
Fu con questo spirito che entrò nel momento magico del Giro 1991: perse da vessato una tappa sarda, alzando le mani troppo presto, e poi riscattò una carriera. Ruppe le uova nel paniere allo scontro designato tra Bugno e Chiappucci, interpretando tutti i segnali positivi della strada; salvò il primato nella cronometro dalla sfinge monzese per un solo secondo ed entrò nella Zona. Quella di Tarkovsky in "Stalker", la stanza all'interno della quale gli uomini possono esaudire i propri desideri. L'aretino fece un numero ancora oggi ineguagliato nell'era moderna della corsa rosa: fuggì in rosa sul Mortirolo e realizzò un capolavoro verso l'Aprica. Sessanta chili attaccati al manubrio, la schiena ricurva sul telaio e la pedalata nervosa di chi stava volando: oltre il bis sul Pordoi, quasi scontato, l'impresa tecnica più rilevante fu nella durissima prova contro il tempo di Casteggio. Pian di Scò, quella domenica di festa tranquilla, si trasferì a Milano: fu anche il suggello romantico della Del Tongo, arrivata alla fine di un decennio di sponsorizzazioni storiche (Saronni, Piasecki, Baronchelli, Fondriest, Ballerini, Cipollini, etc). Marchio che firmò un'epoca anche con le sue abitudini: per il mobilificio di Togoleto, il Giro della Puglia venne sempre prima della Liegi-Bastogne-Liegi.
Non siamo qui a stabilire quanto Van Mol ci fosse in quelle settimane da favola, ma il cosiddetto Coppino ripartì per un'ultima parte di carriera serena, molto più consapevole dei propri mezzi. Nel 1992 al Giro fece un terzo posto da campione e fu l'unico che provò ad attaccare seriamente il Faraone Indurain; esordì al Tour a quasi trentatre anni e vinse una tappa, quella di Saint Etienne, bellissima. Fu un appuntamento appagante ma nostalgico; chissà cosa sarebbe successo, se fosse capitato da giovinastro in una dimensione meno provinciale. Rimase sempre con la stessa espressione malinconica; il viso di una magrezza atavica, scavato dalla fatica, come un attore di un film neorealista o un ritratto di Ligabue. Addosso, sulla pelle, l'idea di un'Italia più autentica e silenziosa, mai tracotante.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
11 commenti:
Però è vero ci sono atleti che vincono poco rispetto alla loro classe, ma quel poco brilla di una luce intensa, che fa impallidire le tante finte vittorie di altri presunti campioni .... per questo credo che Chioccioli non fosse amato dal ciclismo, era la prova della pochezza di tanti capitani più famosi ...
Complimenti Simone: pezzo bellissimo, dedicato ad un CAMPIONE della mia terra che ho molto amato.
Grazie
@Mizio71:talvolta la differenza tra campione e luogotenente è sottile,quasi impercettibile.
Il Chioccioli è un ottimo esempio.
@Violeo:grazie!
Sul Principato Ciclistico di Toscana potremmo scrivere un'enciclopedia.
Pensa che anche un Moser,tecnicamente,dovrebbe essere considerato toscano...
@Simone
la faccia spaesata, mai dimessa, mai spocchiosa, ne fece un corridore dalla livrea intrisa di pasta e fagioli e non di escargos.
Un pò come Baronchelli, ma potrei sbagliarmi.
Italo
Come al solito pezzo splendido. Concordo con Italo sul parallelo tra la faccia di Chioccioli e quella di Baronchelli. Gibì è stato più continuo ad alto livello ma gli sono mancati gli acuti che aveva comunque nelle corde. Quanto ho trepidato per Tista Godot aspettando il grande risultato...
Simone, prima o poi ce ne parlerai.....
Bravo simone..bel pezzo e un personaggio mai dimenticato. rivisto solo qualche anno fa ad arezzo, irriconoscibile di aspetto ma sempre legatissimo a questa disciplina..
hehehe van mol....corsi e ricorsi storici,sto proprio leggendo un bicisport che parla del mitico dottore belga (o era olandese?) e della fatua rinascita di saronni nel 1986.sempre compolimenti simone! e a proposito piccolo o.t come fare per contattarti in privato? skype forse?avrei di che chiacchierare a fondo con te!
@Italo:paragone decisamente azzeccato.
Il Tista fu solo più campione annunciato,rovinato dalle attenzioni e dalle tensioni.
@Ale:merci!
Gibì arriverà.
Perse le due corse più impossibili da vincere:il Giro'74 da Merckx e Sallanches'80 contro Hinault.
Un destino.
@Duccio:grazie.
Il Chioccioli continua a seguire lo sport (il mestiere) che gli diede la sicurezza economica.
@Golden Boy:thanks a lot.
Fu anche nell'Adr e in Mapei.
Belga,uno dei primi a congiungere definitivamente la missione medica con la preparazione sportiva...
Il guru di Museeuw.
Mandami una mail a info@enomisossab.com
In questi giorni sarò via,poi potremmo chiaccherare un pò di pedivelle...
@Stefano Olivari:la foto è bellissima.
Mi sembra sul Mortirolo,il 10 Giugno 1991.
E' proprio il momento nel quale sta vincendo il Giro.
@Simone: e' impressionante come non sbagli mai un articolo.
Ti auguro di cuore un Felice Natale e un splendido e piu creativo Anno Nuovo.
E mi auguro altri Simone Basso sulle pagine di Indiscreto l'anno prossimo.
@Tani:mooolte grazie!
Ricambio gli auguri fino a Toronto:per un Natale e un anno nuovo felicissimi.
Indiscreto è una palestra bellissima,le idee circolano libere e divertite...
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