di Stefano Olivari
La profilazione della clientela è uno dei segreti meglio custoditi dai bookmaker. Non per i risultati statistici delle indagini, che tendono ad assomigliarsi ed in ogni caso riguardano parametri neutri (età, reddito, professione, titolo di studio, interessi) quanto per le conclusioni sulla personalità degli scommettitori.
Definendole con termini diversi gli psicologi al servizio dei bookmaker hanno infatti individuato tre tipologie umane: professionisti (non necessariamente a tempo pieno), impulsivi-compulsivi (motivazioni diverse ma stessi comportamenti pratici), occasionali-sociali (a loro il gioco serve per conversare o mettere alla prova la propria competenza). Gli intervistati di tutti e tre i gruppi asseriscono di giocare per vincere, ma solo quelli del primo hanno una strategia più o meno valida per farlo. E’ quindi evidente che la pubblicità e l’offerta di quote siano volte a colpire gli altri, che per aziende di livello mondiale rappresentano circa l’85% del volume delle giocate. Un marketing non banale, che si basa sul modello psicoanalitico, secondo cui la propensione al gioco è un atto autodistruttivo che rappresenta un desiderio inconscio di perdere: la rovina finanziaria è in questo quadro una punizione, la cui funzione è quella di ridurre il senso di colpa. La pubblicità di un certo tipo di quote senbra proprio rivolta a chi decide di getto o a chi non abbia tanta voglia di perdere tempo: da qui l’enfasi sulle quote delle ‘grandi’ e quella sulle multiple. Proprio i due mondi da cui i professionisti stanno alla larga.
Stefano Olivari
(pubblicato sul Giornale)
7 commenti:
Direttore, le pongo una domanda che mi è venuta in mente in questi giorni giocando su campionati di cui niente so.
Secondo lei è possibile scommettere in maniera non distrutiva (cioè riuscire ad avere un modesto guadagno) basandosi solo sulle quote ma senza nulla conoscere di ciò su cui si scommette?
Sto proprio scrivndo un articolo su questo tema, basandomi su quattro mesi di rilevazioni (2446 colpi giocati). La risposta è sì, con utile medio davvero minimo (meno dell'1% a colpo) e trovando sempre le migliori condizioni di mercato (traduzione: avere quattro o cinque conti diversi).
Egregio Stefano, l'analisi sulla tipologia degli scommettitori mi trova d'accordo sulla catalogazione
delle fasce, ma con la precisazione che la categoria di gran lunga più popolata è quella dei giocatori ossessivi-compulsivi. Per costoro 'giocare' è di gran lunga più importante che vincere. Le motivazioni recondite, di tipo psicologico, posson esser pure l'autopunizione inconscia, ma la motivazione principale è di tipo adrenalinico, se mi passi il termine, immediato o differito.
Lo scommettitore di cavalli passa due minuti di trance in cui dimentica tutto, quello che scommette sul calcio da interesse ad eventi che altrimenti non gli procurerebbero alcuna emozione.
Tu stesso hai espresso l'opinione che il calcio, senza tifo, è uno sport noioso. E' banale dire che se scommetti su una delle contendenti di una partita, la medesima sarà molto, ma molto più interessante.
Secondo me, detto da scommettitore, il gioco è una vera e propria patologia. Ovvio che per scommettitore ossessivo-compulsivo intendo colui che riserva a questa passione una significatica, che non vulo dir smodata, del proprio budget. Questo tipo di scommettitore si libererà, forse, di un senso di colpa inconscio, ma se ne procurerà, per certo, uno molto più conscio.
Quelli che tu chiami professionisti non so se si posson chiamare scommettitori, infatti per ricavare un utile certo, ancorchè limitato, devono rinunciare al fattore emotivo della scommessa. Sono opinioni personali, ovviamente.
Quindi ci vuole comunque una notevole applicazione.
Sarebbe interessante anche un campionario dei "metodi" degli scommettitori ignoranti (categoria cui appartengo.
In questo momento il mio metodo è quello di puntare sui pareggi con copertura sulla vittoria casalinga. Per adesso ho un + 3 euro (budget di partenza circa 40 euro) su due settimane incrociando le dita perchè Lione-Bordeaux non si schiodi dallo 0a0 ( e così anche il fattore emotivo che cita Clinter va a farsi friggere :-) )
Fra il 'sociale' e il 'compulsivo' c'è a volte poca differenza, nella spinta verso la puntata. Differente è secondo me la coscienza generale della situazione. Dal punto di vista matematico è interessante l'andamento sinusoidale dell'area di profitti e perdite a seconda delle quote. Negli ultimi dieci anni (prima non tenevo statistiche personali) la curva di medio periodo è cambiata pochissimo, a livello di intervalli. Chi ha dimestichezza con integrali e derivate potrebbe proporre una formula...
@Stefano: qualche dettaglio in più sugli intervalli di quote profittevoli?
Con differenze minime fra i vari anni, fino all'1,15 conviene puntare (alle migliori condizioni di mercato, ovvio), poi fino all'1,40 bancare. Da lì la curva si inverte di nuovo, ma scriverò tutto nel prossimo pezzo...
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