di Christian Giordano
Il decennio di Kevin Beattie, uno dei più forti difensori della storia del calcio inglese, poco presente in nazionale ma mito nell'Ipswich Town del suo grande estimatore Bobby Robson. Nella storia anche del cinema, come controfigura di Michael Caine...
«L’inglese più forte che ho visto giocare». Parole senza musica di Bobby Robson, il primo a intravedere un potenziale campione in quel ragazzino con due occhi grandi così arrivato in treno da Carlisle con in tasca sei pence e sottobraccio le scarpe da calcio avvolte in una carta marrone. A 15 anni, lo voleva il Liverpool di Bill Shankly. Ma il ragazzino, sceso senza soldi a Lime Street Station, scappò a casa. «Uno che non ha il cervello di trovare la via di Anfield non lo vogliamo», dirà il guru dei primi Reds europei, che si scuserà alla propria partita di addio: «Di errori non ne ho fatti tanti, ma tu sei uno dei più grossi. Non dire a nessuno che te l’ho detto». Promessa mantenuta fino alla morte di Shankly, autore di quel «complimento che per me vale più dei trofei».
Prodotto simbolo della politica giovanile che è stata il capolavoro di Robson all’Ipswich Town, Thomas Kevin Beattie (nato a Carlisle il 18 dicembre 1953) debutta alla prima giornata del campionato 1972-73, 2-1 all’Old Trafford contro il Manchester United dei tre Palloni d’oro: Law (1964), Charlton (1966) e Best (1968). Due settimane dopo, primo gol in campionato nell’entusiasmante 3-3 esterno col Leeds United. Il club del Portman Road finirà la stagione 1972-73 al quarto posto, miglior risultato dalla vittoria in campionato di undici anni prima. Titolare al centro della difesa, “Diamond” – diamante, come lo chiamava il suo scopritore Robson – diventa presto la prima opzione per avviare la manovra e un beniamino dei tifosi. Dopo neanche 10 partite da pro’, viene convocato da Sir Alf Ramsey nell’Inghilterra Under 23 e chiamato ad allenarsi con la selezione maggiore.
La stagione seguente, iniziata male nei risultati, trascina l’Ipswich ancora al quarto posto in campionato, mentre in Coppa Uefa, dopo aver eliminato Real Madrid, Lazio e Twente, la squadra esce ai quarti senza perdere col Lokomotiv Lipsia (nel doppio 1-1, decisivo il gol segnato in trasferta dai tedeschi dell’est). Beattie, sempre presente come il terzino destro e capitano Mick Mills, nel 1974 è il Giovane dell’anno della PFA, il sindacato calciatori professionisti inglese, che gli consegna il neonato trofeo tramite Don Revie, manager del Leeds United. Lo stesso che da Ct dell’Under 23, verso Natale, lo convoca a Manchester per uno stage al quale Beattie però non si presenta. Un paio di giorni dopo si saprà che era andato dalla famiglia, a Carlisle, perché stanco e stressato, e che sperava di non essersi bruciato il futuro in nazionale.
Pericolo inesistente. Nella stagione seguente, Revie succede a Joe Mercer come Ct dell’Inghilterra e per il suo quarto match convoca Beattie come centrale difensivo titolare per il match di qualificazione agli Europei contro Cipro a Wembley del 16 aprile 1975. L’Inghilterra vince 5-0, storica cinquina di Malcom Macdonald (record del dopoguerra in nazionale). In realtà aveva segnato anche Beattie, ma il gol era stato annullato per carica al portiere. Sarà buono, e bellissimo – votato fra i top 50 nella storia dell’Inghilterra – quello realizzato un mesetto dopo, sempre a Wembley, nel 5-1 sulla Scozia. L’unico in 9 presenze con la maglia dei tre leoni, eccetto una tutte sotto la gestione-Revie; l’ultima il 12 ottobre 1977, 2-0 sul Lussemburgo nelle eliminatorie mondiali. Pochi mesi prima, a Pasqua, un assurdo incidente mentre bruciava delle foglie in giardino lo aveva messo fuori causa nella corsa al titolo. Le fiamme, attizzate dalla genialata di buttare benzina nel tamburo di latta usato come contenitore, gli divampano in faccia e sui capelli. Nessun danno fisico permanente, ma ultime sei partite saltate, 4 sconfitte per i Blues e First Division al Liverpool per un punto. Ma si può?
Wembley, il 6 maggio 1978, è anche il campo con cui il suo Ipswich batte 1-0 (gol di Roger Osborne al 77’) l’Arsenal nella finale di FA Cup. Una frattura a un braccio subita nella sconfitta in semifinale di FA Cup contro il Manchester City gli impedirà invece di giocare la doppia finale di Coppa UEFA 1981, trofeo alzato vincendo 3-0 al Portman Road e perdendo 4-2 all’Olympisch Stadion di Amsterdam. Ingiustizia somma per chi i Blues li aveva trascinati sino alla finale, l’infortunato Beattie non riceverà la medaglia dei vincitori. Torto ripagato grazie alla petizione firmata online dal giornalista Rob Finch, curatore della sua biografia: The Greatest Footballer England Never Had: The Kevin Beattie Story. La consegna ufficiale da parte Michel Platini, presidente UEFA, è avvenuta in occasione della finale 2008, al City of Manchester Stadium, vinta 2-0 dallo Zenit sui Rangers il 14 maggio. Pochi giorni dopo Beattie l’ha esibita in tv al “The Suffolk Show”, posando per una foto attesa 27 anni.
L’ascesa del “nuovo Bobby Moore”, persino “più forte di Duncan Edwards” e destinato, secondo Robson, a battere il record di presenze nell’Inghilterra, sarà invece spezzata dalle cinque operazioni al ginocchio destro in quattro anni. Dopo 32 gol in 307 partite in prima squadra, la controfigura del miglior Beattie raccatta 4 presenze nel Colchester United di Allan Hunter, suo ex compagno di reparto all’Ipswich, e altrettante nel Middlesbrough in seconda divisione prima che l’artrite alle ginocchia lo costringa a chiudere la carriera a neanche 29 anni, nel 1982. Per il suo addio, nel testimonial match organizzato dall’Ipswich contro la Dynamo Mosca, si presentano in 14.525.
A proposito di controfigura, nel 1981 è lui l’alter ego calcistico di Michael Caine, protagonista dell’immortale Fuga per la vittoria. Aneddoti, qui, à gogo. A cominciare dalla doppia vittoria (di destro e sinistro) ottenuta a braccio di ferro contro Sylvester Stallone, «uno zuccone arrogante », evidentemente ancora lontano da “Over the Top”, e così presuntuoso da voler far di testa sua nel tuffarsi anziché ascoltare Paul Cooper, il portiere che doveva insegnargli i rudimenti del mestiere. Stallone prese così male le sconfitte con Beattie da non parlargli più fino alla fine delle riprese.
Beattie raccoglie gli ultimi spiccioli come semiprofessionista in Svezia (al Sandvikens IF) e da allenatore-giocatore in Norvegia (al Kongsberg). Poi cominciano i problemi della seconda vita iniziata troppo presto. E l’alcool non è la soluzione. «Devo essere onesto, ti manca essere al centro dell’attenzione e anche l’adulazione, se vuoi. Rientrati dalla Norvegia, Maggie e io gestivamo un pub e sai com’è: cominci con qualche birra e quando sei pieno passi allo scaffale più in alto. Quando il mio pancreas ha ceduto, stavo per morire. Non aveva senso, e ho smesso. Devo prendermi cura di Maggie (in carrozzina per la sla contratta dieci anni fa, ndr), e voglio vedere crescere i nostri sei nipotini». Altri gravi problemi di salute, tra cui l’ictus del 1998 dal quale si è ripreso completamente, gli hanno impedito di allenare a tempo pieno, ma non di farlo part-time per il Carlisle United, squadra della città nel Cumberland dove è nato il 18 dicembre 1953. Oggi vive nel Suffolk, come tanti ex Blues, frequenta il Portman Road e cura una rubrica settimanale per l’Evening Star, quotidiano locale di Ipswich. Certo non per soldi. «Sono nato nella generazione sbagliata». Quella del “più grande calciatore che l’Inghilterra NON ha avuto”. Un muro invalicabile che la palla te la metteva sui piedi da sessanta metri. Ma poggiava su fondamenta di cristallo.
Christian Giordano
Football Poets Society
2 commenti:
splendido articolo, christian... come sempre. il calcio inglese, specie quello degli anni 70, regala storie fantastiche.
Ecco perchè in quel film le parate di stallone erano così goffe. Il portiere del subbuteo era più sciolto.
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