di Simone Basso
Andiamo a Berlino se vi va, trentasette anni fa, il luogo di astrazione che diede vita a una magia nerissima. L'arte dovrebbe funzionare così, ossianica e minacciosa; spettro fantasmagorico di una realtà che si confonde con le allucinazioni più geniali del pensiero umano. "Berlin" nacque dalla devastazione mentale di Lou Reed, la versione mefistofelica di uno scherzo della natura: l'incontro perfetto tra un prete fallito e una rockstar di talento, le perversioni sessuali del primo e l'etica messianica del secondo.
In un film visionario di sola musica, la saga iperrealista e crudele di un uomo e una donna, la loro parabola disgraziata da reietti; il fetore dell'amore e lo splendore della decadenza. Dopo il boom bowiano di "Transformer", lipstick rock all'ennesima potenza, giunse il tempo di sgomberare l'anima dalle ossessioni più sadiche: a coadiuvare l'agitprop newyorchese, un produttore favoloso come Bob Ezrin ed un'accolita di fuoriclasse dello strumento. Jazzisti prestati al rock (i fratelli Brecker, Blue Weaver), rocker che suonano meglio di jazzisti (Ansley Dunbar, Tony Levin) e due leggende generazionali come Steve Winwood e Jack Bruce, quest'ultimo reduce dal fenomenale "Escalator over the hills" di Carla Bley, indimenticabile capolavoro surrealista; come dire il diavolo e l'acqua santa...
A completare la squadra, last but not least, le chitarre ispiratissime di Hunter e Wagner ad un passo dalla santità di "Rock'n'roll animal".
I musicisti non collaborarono da banali turnisti strapagati, bensì nutrirono la placenta del mostro in concepimento: un'opera unica nella mitologia pop, politicamente prossima alle urla più laceranti del Novecento (le pelli ustionate di Burri, il Bergman di "Viskningar och rop") che al divertimentificio delle radio Fm dell'epoca. Parole, di una lucidità luciferina, scaturite dalla confusione quotidiana di un eroinomane come Lou; musiche che germinarono su una contraddizione concettuale azzeccata, ovvero uno spartito rigoroso (e perfidamente semplice) doppiato da un arrangiamento sovrabbondante e anni trenta.
La title track sprofonda subito in un climax cupissimo, il solo pianoforte accompagna i sussurri di Reed: ripresa dall'esordio solista dell'ex Velvet, viene letteralmente trasfigurata in un brano di altissima tensione emotiva. Sul pentagramma ballano beffarde le svastiche, "Lady day" introduce Caroline, la protagonista della storia: il pezzo ha un incedere maestoso, Kurt Weill sodomizzato da Von Masoch nella fanghiglia, e la bionda raccontata ha il profumo perverso di Nico Paffgen. "Men of good fortune" presenta il marito, un miserabile dedito all'alcol e alle droghe; la struttura del brano è un rock robusto iniettato di sequenze armoniche agrodolci, molto al limite come nelle seguenti "Caroline says" e "How do you think it feels", addirittura kitsch nell'incesto fragoroso tra il songwriting americano e il suono, inimitabile, di matrice mitteleuropea.
Si scende agli inferi, in un burrone della terra, e Caronte canta con la voce di Elvis putrefatto; "Oh Jim" ha il pulsare nevrotico di un drumming implacabile e le liriche tolgono qualsiasi speranza di riscatto: è una brutale confessione di violenza domestica del primo attore, accecato d'odio per i continui tradimenti della moglie. Una gemma avvolta da presentimenti foschi, immersa in un'atmosfera inquietante di trance, gelida quasi quanto l'Alaska citata nell'apertura struggente del secondo lato: "Caroline says II". L'inizio della fine, la donna picchiata confessa beffarda di non amarlo più, Reed canta accompagnato da un'orchestrazione irreale e fragilissima; marchio di fabbrica di un Ezrin senza rivali. "The kids" sembra un incubo munchiano tradotto in materia sonora: il pianto disperato di un bambino, Lou narcolettico, un flauto che trapana beffardo l'incedere claudicante della canzone.
Vengono portati via i figli dalla polizia alla madre degenere; straziante, crudele, così come stupefacente (in tutti i sensi) è l'andamento ipnotico della narrazione. "The bed" è una ghigliottina, Caroline sconvolta e stravolta si uccide tagliandosi le vene: il pathos è quasi insostenibile, un sogno/incubo per audiofili estremisti che proietta l'ascoltatore nell'epilogo desolato di "Sad song". Le reminescenze classiche di archi sono lo sfondo ideale, sinfonico, per le ultime considerazioni di lui che, incredulo della tragedia, girovaga per la casa ancora satura dello spirito della consorte: è il degno finale di un disco bellissimo, straordinario; il vertice assoluto, folle, di un'idea anarchica di concepire una produzione discografica.
Rimarrà un simbolo del rock dannato e libero, Rimbaud a nozze con i fratelli Walker, e una pietra di paragone improponibile per i maledettisti che proveranno, ridicoli, a ricalcarne le gesta negli anni seguenti. All'uscita l'album fu massacrato dalla critica, inorridita dal tema scabroso e dall'esibizione sfrontata di depressione maniacale: Ezrin, sfinito da un lavoro complicato dalle condizioni sanitarie di Reed (..), si ammalò. Al termine di un esaurimento nervoso molto complicato scelse, per il disgusto di Lou, di produrre "Welcome to my nightmare" di un Alice Cooper all'apice del successo commerciale: ellepì che riecheggia, in alcuni passaggi, la complessità strutturale di "Berlin". L'apoteosi tossica di Reed allontanò definitivamente Betty, la fidanzata dell'epoca, terrorizzata dalla condotta di vita del nostro che, in quel di New York, si sarebbe consolato con Rachel, il femminiello più celebre della città che non dorme mai...
Sarebbe più semplice buttarla sul pensierino bonsai: sesso, sperma, sangue e suicidio; ne verrebbe fuori il lancio pubblicitario di un qualsiasi programmaccio televisivo. La verità ben più profonda, carsica, è che "Berlin" è sfuggito anche dalle mani di chi lo modellò. Perchè appartiene a quella stratosfera di opere che esulano dalla discriminante, rozza, del suo genere; anzi, quel manifesto cattivo è la giustificazione principale alla sopravvivenza culturale del rock. Come ci sono persone che trovano insopportabile il jazz, ma amano "In a silent way", e altre che detestano l'avanguardia del ventesimo secolo e adorano "Le sacre du printemps", "Berlin" è il rock'n'roll senza la buccia infantile e stupida.
Una maniera veramente pericolosa e deviata di fotografare il mondo: un disco purissimo che parla della sporcizia che ci abita, test di Rorschach infallibile, un classico indifferente all'usura del tempo.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
23 commenti:
niente da aggiungere: un disco monumentale, maturo, completo e variegato.
assieme a "new york" (altro disco monstre) e al live "rock and roll animal" il migliore, a mio parere, di Lou Reed;
una spanna sopra al predecessore "transformer", più furbo e accattivante, facile e ruffiano, e ai pur buoni, ma incostanti, "coney island baby" e "magic and loss"...
Grande Simone.
Disco eccellente, anche se senza l'alter-ego Cale a mio parere Reed rende meno.
A quando una recensione di qualche disco più "allegro" (e magari un pò "poppeggiante") ??
Una nota di gossip.
Grossa di delusione quando mi imbattei in Reed nel backstage dell'ultimo Tour dei Velvet (e ci scambiai anche due chiacchere): me lo aspettavo molto più alto :-((
guus, mai incontrare gli idoli!
lou è bassino, iggy uno scricciolo, jagger pure, così come bono vox ecc.....se li incontri, perdi la magia del palco...
Enzima, che intendi per "bassino"? No, perchè la cosa potrebbe essere anche consolatoria, dipende quanto sei alto tu...:-)
Complimentandomi con Simone per la scrittura (del contenuto non so, dato che di musica non capisco un accidente), chiedo però a voi in maniera semiseria: cosa c'entra essere alti o bassi con il genio musicale? cosa vuol dire essere delusi nello scoprire che Reed o Bono sono bassi? E non è per difendere la categoria dei "vertically challenged", cui appartengo...
@Enzima10:considero la trilogia "New York","Songs for drella" e "Magic and loss" di livello altissimo.
Fu un ritorno sorprendente all'apice creativo dei tempi gloriosi dei primi Settanta.
@GuusTheWizard:veramente l'idea di questa recensione è scaturita da una tua richiesta sui seventies.
Considero "Berlin" l'apogeo assoluto di un'epoca oggi irriproducibile.
Prima o poi ci dedicheremo all'apologia di icone pseudopop,magari bastonate dall'intellighenzia della stampa.
Ma non aspettatevi riconversioni mistiche sulle madonnate...
@Roberto Gotta:mooolte grazie.
Come dichiarò un "lucidissimo" David Bowie,la rockstar cammina nelle stesse scarpe di Adolf Hitler.
E' quindi idealizzata come irraggiungibile e intoccabile:incontrarla nel backstage priva il mickjagger di turno del suo ambiente naturale(?).
Il palco o il balcone...
@Simone: beh, non lieve il paragone di Bowie!
Continua così
simone, hai ragione: "song for drella" me lo ero colpevolmente scordato, una gemma....in effetti a cavallo tra gli 80 e 90 il nostro è ritornato a livelli degni addirittura del periodo velvet (mi riferisco a "new york" e "magic and loss", con il primo che preferisco al secondo perchè più omogeneo, più costante come livello di canzoni)...esattamente come nei 70 "berlin" mi pare un disco riuscito completamente laddove "coney island baby" alterna perle (la title track) a episodi minori....non sono invece riuscito mai ad apprezzare le svolte elettriche a cavallo tra 70 e 80, neppure "the bels" che pure vedo che ha raccolto buone critiche in passato...
quanto ai revisionismi che annunci, sii cauto...
sull'altezza di lou reed: il mio riferimento era solo allo stupore di guus per avere trovato lou reed di persona basso; gli citavo solo altri casi; personalmente, non me ne frega un tubo se uno è alto o basso....sugli uomini non ho di questi problemi...mi darebbe più fastidio scoprire che una donna (un'attrice, una modella) per cui sbavo e vedo solo da lontano non sia come appare...questa sarebbe una delusione!
il mio discorso era diverso: la magia del palco è una dimensione a sè, separata dal mondo reale, siamo nel mondo delle idee...senza buttarla sul pesante, se qualcuno ha letto quelle pagine di Proust in cui si paròa della delusione di quando il protagonista, da ragazzo, finalmente ha visto dal vivo, trovandola diversa dalle sue fantasticherie, a teatro un'attrice che aveva idolatrato, capisce cosa intendevo con il dire "non incontrare gli idoli"...meglio lasciarli sul piedistallo!
@RobertoGotta
Quoto Simone sull'idealizzazione delle rockstar. Anche gli U2 visti dal vivo (escluso il bassista) sono praticamente dei semi-nani.
A livello di altezza, l'unico che non delude è Nick Cave.
@Simone
Comunque per "pop" non intendevo veramente pop intendevo soltanto "un pò più leggero":ad esempio i Ramones ;-))))
@Enzima10,GuusTheWizard:nella fenomenologia popular ci sta veramente tutto.
Gli Slayer e Piero Ciampi;i Beach Boys e Yma Sumac.
Coltiveremo il gusto chic della sorpresa.
simone, slayer e piero ciampi!! due cose apparentemente inconciliabili, eppure convivono tra i miei scaffali tranquillamente... ti seguo completamente se queste sono le premesse....
Ah ahah io l'ho conosciuto e ci ho pure parlato :-) insomma, monosillabato.
E' un album che mi è sempre piaciuto e che per una strana commistione io ascolto spesso appaiato a Horses di P. Smith, tra i migliori del decennio indubbiamente.
@Pietro:il personaggio è entrato nella mitologia anche per gli atteggiamenti difficili on e off stage.
Basta un flash al momento sbagliato e scattano i momenti cupi.
Nell'ambiente è uno dei più temuti con Jarrett,Simon e Van Morrison.
Una banda di seganervi niente male:c'era un libro fotografico di Mick Rock che raccontava una serie di aneddoti impagabili nella loro assurdità.
Rimane comunque garantita,penso a Prince,una professionalità maniacale che altri svendono con comportamenti da menefreghisti assoluti...
@Simone
Certo che anche Prince a livello di assurdità non scherza: ricordo che una ventina d'anni fa ci fece impazzire per trovare dodici bottiglie d'acqua Evian da un litro(e non ne voleva undici, ma proprio dodici).
@GuusTheWizard:appunto,un altro terrore degli organizzatori.
Lo sai che per Usa for Africa(vabbè,risparmio le battute..)chiese un accordo con gli altri artisti coinvolti?
Senza la sua autorizzazione nessuno avrebbe potuto guardarlo negli occhi...
In compenso,al Palatruzzardi più di vent'anni fa,fu l'unico che fece suonare lo spazio(infame per l'acustica)come una sala da concerto vera.
@Simone
Oh Yes, SB! Brividi veri e sinceri.
Hai rievocato uno degli album più controversi, oscuri ed affascinanti che mi siano capitati tra le mani..sorry, tra le orecchie ;-)
E peccato per la produzione che c'ha impedito di ascoltare "Berlin" al massimo delle sue originali potenzialità.
La tua ammorbante descrizione nella fase finale mi ha "ricordato" sensazioni che provai di fronte ad un'altra opera d'Arte, Apocalypse Now, assimilabile come problematiche produttive, logistiche, esistenziali, di conv(n)ivenza tra talenti selvaggi convogliati in un'unica difficile direzione ed al di là di ogni genere. "La Verità?..è che "Berlin" (ed il capolavoro di Coppola) è sfuggito anche dalle mani di chi lo modellò."
@Miky:danke!
Il film di Coppola è un ottimo paragone.
Ho omesso volutamente le storie che circondano la realizzazione,sono un autentico ginepraio.
Comunque Ezrin passò due mesi tra Londra e New York,lavorando quattordici ore al dì,per finire la produzione.
Reed l'ultimo mese abbandonò il campo per dedicarsi a..Sorella Eroina.
Un paio di tracce sono cantate con un Lou al limite dell'afonia:penso fosse una situazione difficile da gestire...
Il capolavoro di Lou, "The Bed" una delle canzoni più strazianti e toccanti di sempre.
seppure in ritardo arrivo a fare i miei complimenti a Simone, è che non so cosa aggiungere, di sicuro "Berlin" non è un disco facile, necessita ripetuti ascolti per essere apprezzato (anche se a ben pensarci alcune cose colpiscono il cuore fin da subito)
adesso però con la promessa di "apologia di icone pseudopop" mi avete incuriosito, aspetterò fiducioso
@Supersonicsoul:"The bed" è agghiacciante,il finale (con quel coro femminile ispirato anche da Nono e Ligeti)è un pezzo di bravura nel missaggio manuale...
@Axel Shut:thanks!
Quel pianto del bambino su "The kids" rimane subito.
Pensa che quando comprai il cd,abituato al vinile,rimasi stupito dal fatto che su "Caroline says II" non ci fosse una tacchettina.
Talmente abituato a quel rumore,dopo centinaia di ascolti...
Felice Anno Nuovo !
http://berlin-tour-1973.blogspot.com/
@Sergeant:grazie.
Ci sono alcuni reportage fotografici di quel Lou Reed,stile lupo mannaro.
In quel tour fu ritratto diverse volte anche da Robert Ellis.
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