di Alberto Facchinetti
Gianni Brera non ha dato molto alle trasmissioni tivù, ma le sue sfide a colpi di articoli infuocati con i colleghi possono lo stesso rappresentare un precedente illustre dei dibattiti odierni...
La verve polemica di Brera era innata. Indro Montanelli scrisse di lui: “La sua lunga carriera fu costellata di risse: ne fece con tutti, non solo a proposito di lingua. Specie in fatto di calcio pretendeva di saperla più lunga di qualsiasi presidente di società. O commissario tecnico, o allenatore, e la cosa è tuttora, presso addetti ai lavori, oggetto di contestazione. I suoi giudizi inappellabili, erano colpi di clava. I giocatori che non gli piacevano li chiamava, quando andava bene, abatini; e quando andava male, palabràtici o posaglutei. La sua fortuna fu quella di essere vissuto in un’epoca in cui i duelli erano passati di moda. Altrimenti avrebbe trascorso le sue giornate a bucare e a farsi bucare. Ma non ci fu mai furor di litigio né oltranza di polemica che riuscissero a fare di Brera un uomo meschino o un collega sleale”.
Negli anni Sessanta e Settanta sulle pagine dei quotidiani erano frequenti le battaglie tra i giornalisti dello sport. Gianni Brera ha polemizzato soprattutto con i giornalisti della scuola napoletana guidata da Luigi (Gino) Palumbo e Antonio Ghirelli. Brera rinfacciava alla scuola napoletana di non avere conoscenze calcistiche sufficienti per poterne scriverne, essendo loro – secondo Brera - completamente digiuni a livello tecnico-tattico. Per Brera i giornalisti napoletani la buttavano sempre sul sentimentale, senza invece considerare con attenzione il gesto sportivo. In quegli anni la stampa sportiva si divise in due filoni. I breriani erano coloro che conoscevano lo sport, mentre i partenopei erano quelli maggiormente attenti all’aspetto socio-antropologico delle fenomenologie sportive. Le sfide tra giornalisti sportivi esistevano già quindi, ma erano di natura diverse. Giorgio Micheletti ce le ha descritte così: “Quelle di allora erano delle vere e proprie guerre di religione calcistica tra chi difendeva il sistema e chi preferiva il vianema, tra chi si professava paladino del gioco bello e arioso e chi perseguiva solo il risultato, come poco conta”.
Se Brera era per il gioco all’italiana, improntato sul difensivismo, Palumbo e gli altri insistevano per un calcio con un modulo offensivo. Ma spesso i due si contrapponevano quasi per partito preso. Quando uno diceva bianco l’altro rispondeva nero. Brera addirittura pensava che Palumbo non avesse idee proprie, ma che gli bastasse fare il bastian contrario il giorno dopo aver letto quello che aveva scritto lui. Brera quando Palumbo diventò direttore della Gazzetta scrisse sul Guerin Sportivo: “Sono ansioso di leggere gli strambotti della scuola napoletana, i cui epigoni mi tengono oggi allegro come niente e nessuno. Secondo la scuola napoletana, una partita è divertente solo se si vedono molti goal”. Tra i due la sfida finì pure a cazzotti. L’incontrò di boxe avvenne in tribuna stampa dopo un Brescia-Torino. Palumbo chiamò Brera per nome e senza lasciare a questi il tempo di girarsi gli mollò uno schiaffone. Brera si alzò dal posto dove sedeva e rispose con un paio di pugni che stesero a terra il rivale sanguinante. Alcuni colleghi presenti dovettero dividere i due, per evitare che la rissa degenerasse in qualcos’altro. Per Palumbo il grande rivale era colpevole di aver scritto male di Ghirelli e quindi di conseguenza di tutta la scuola napoletana. Quando nel 1976 Palumbo diventò direttore della Gazzetta, Brera che era appena tornato al giornale se ne andò immediatamente via. Il perché lo spiegò anni dopo. “Oggi c’è una premeditazione demoniaca di non essere profondi. E questo è dovuto a Gino Palumbo. Palumbo è furbo. Intanto lui non sa niente… lui è un bravissimo giornalista-manager… anzi, lui non è un giornalista perché non sa scrivere. Ha sempre fatto una fatica… e lui ha cancellato dal suo giornale il concetto tecnico, perché gli è ostico e pensa lo sia per tutti. E questa è una cosa gravissima perché presto non avranno più lettori sportivi. Avranno dei lettori ai quali basterà il risultato con qualche commento superficiale. Ma non avranno più il lettore preparato”.
Anche con Ghirelli i rapporti furono tesi. L’antitesi tra i due è evidente se si analizzano due loro testi fondamentali: Storia critica del calcio italiano di Brera e Storia del calcio in Italia di Ghirelli. Scrivono Italo Cucci e Ivo Germano: “Alla ricognizione, erudita e scrupolosa, del testo ghirelliano Brera oppose una serie di tesi ferventi, basate su scelte tecniche-tattiche. Fieramente avversario della prosa vagamente dannunziana di Bruno Roghi e di quella ridondante di Gino Palumbo e Vladimiro Caminiti, trovando continua solidarietà nell’allora direttore di Tuttosport Giglio Panza”. C’è una contrapposizione tra i due libri. “La storia critica del calcio italiano di Gianni Brera è un libro eccezionalmente autobiografico, un manifesto completo dell’idea del calcio breriano, mentre La storia del calcio in Italia di Antonio Ghirelli è più politica, cioè focalizzata sulle regole e sulle procedure istituzionali, altrettanto importanti, del mondo del calcio”. Per Brera Ghirelli era un buon giornalista, ma che di pallone non sapeva nulla. Ghirelli non è che non stimasse Brera, ma non condivideva le sue posizioni settarie.
Nel 1962 Ghirelli fu inviato in Cile, dove si disputavano i Mondiali di calcio. Il suo primo articolo dal Sudamerica però non parlava di pallone ma delle condizioni del paese cileno. Di strade messe male, di donne sciupate. Un pezzo duro che scatenò un putiferio. Tanto che sembra che l’organizzazione del Campionato abbia poi fatto pagare alla Nazionale italiana (buttata fuori dal Campionato da un arbitraggio scandaloso) l’articolo di Ghirelli. Brera pure lui inviato in Cile che fece? Si schierò con il giornalista napoletano? Noo… addirittura aiutò i cileni a dare la caccia al collega. Ghirelli ha spiegato anni dopo cos’è successo. “La sera che andai a cena per la prima volta in un ristorante alla moda di Santiago non sapevo ancora nulla della tempesta che avevo scatenato e mi accomodai tranquillamente a un tavolo vicino a quello dove sedeva, con altri colleghi, Gianni Brera. Un cenno verso di me del grande Gianni e un omaccione cileno – che più tardi seppi essere il campione sudamericano di lotta greco-romana – mi piombò addossò e, urlando in castigliano, mi accusò di aver offeso sanguinosamente la sua patria e i suoi cittadini. Ancora oggi non so come mi sottrassi a un linciaggio, anche se non nascondo di aver provato una vaga sensazione di terrore di fronte a quell’energumeno, che in qualche modo gli astanti (non i giornalisti italiani, per carità) avevano bloccato”. A spiegare ai lettori italiani invece cosa quel pezzo di Ghirelli aveva causato alla Nazionale Italiana “ci pensarono i colleghi inviati in Cile, e in particolare Brera […] quando si può fare un piacere a un amico…”
Pure il rapporto con Giovanni Arpino fu complicato: Brera ebbe modo di litigare pure con lui. E la baruffa finì in tribunale. Un tempo i due erano amici, poi però qualcosa tra di loro si ruppe. Arpino era passato a La Stampa e Brera non questo non lo accettò. Perché, secondo lui, Arpino era diventato per convenienza un torinese che odiava Milano. Insomma, un voltagabbana servo di Agnelli. Per conto suo, Arpino si era vendicato aizzandogli contro un attaccante durante la Domenica sportiva dove Brera “ne uscì – ci ha raccontato Ziliani - con le ossa rotte, messo al tappeto da un avversario che nemmeno aveva la tessera di giornalista: si chiamava Roberto Bettega, giocava nella Juventus e batté Brera 3-0”. Gianni Mura visse quegli anni al confine tra Brera e Arpino. “Mi alzavo alle otto perché andavo a fare la prima colazione nell’albergo di Giovanni Arpino, a pochi isolati di distanza. Tra loro c’era il gelo, il silenzio dopo anni di affettuose frequentazioni e solenni attestati di stima reciproca. Mi sentivo una specie di ponte, in qualche modo. Certamente privilegiato”.
Erano sfide quelle di allora. Indubbiamente. Brera contro Palumbo. Brera contro Ghirelli. Brera contro Arpino. Sfide sono quelle di oggi tra giornalisti sportivi all’interno delle trasmissioni sportive delle tv locali. Ma si possono trovare delle analogie? “Assolutamente no”, dicono i giornalisti. Per Mura “quelle polemiche volavano alto, quasi filosofiche, ed erano soprattutto scritte. Queste attuali sono cose da pollaio”. Per Zazzaroni “quelle erano le punte, quello il vertice. Nessuna analogia”. Per Crosetti ”quel tempo è finito. Quel giornalismo e quelle persone”. Anche per Scevola “non c’è assolutamente confronto: per cultura, competenza, intelligenza critica. Oggi il giornalismo si è imbastardito, è diventato una professione alla portata di tutti. I grandi ideali di un tempo, la passione per la penna e il giornalismo, lo scrivere attento e critico non esiste più nel giornalismo sportivo”. Per Vernazza: “Zero analogie, anche perché le disfide giornalistiche di una volta si consumavano sulle colonne dei giornali”. Per Norrito: “Credo che non ci siano giornalisti di quel livello e credo soprattutto che oggi un Brera, un Ghirelli o un Palumbo non andrebbero mai a dibattere in certe trasmissioni”. Per Cecere: “Brera era un polemista arguto, colto, fine. A me non è mai piaciuto per quella quota di razzismo che conteneva ogni suo intervento e per la prosa dedicata a un pubblico nordista, però lui, Ghirelli e Palumbo sono stati dei professori di giornalismo. Dunque i duelli verbali e persino quelli materiali, erano di un livello nemmeno lontanamente paragonabile alle risse da bettola che ci capita di vedere oggi”. Per Visnadi: “No, non si può. Ma quanti Brera, Ghirelli o Palumbo ci sono oggi nei quotidiani sportivi? Ci fossero, potrebbero affermarsi e affermare anche in tv”. Per Rossi: “No, decisamente no. Il giornalismo sportivo di ieri aveva grandissimi maestri: Brera e Ghirelli non ci sono più e forse oggi non piacerebbero nemmeno”. Dipollina: “Non scherziamo. E non per superiori qualità morali o qualcosa del genere, parliamo di tempi completamente diversi – ma proprio come se fossimo in millenni diversi, e infatti lo siamo – quanto per il prestigio clamoroso di quelli di una volta – e magari per l’uso della lingua italiana. Prestigio che però era ingigantito dal fatto che c’era un solo canale tv e che i giornali li leggevano tutti e si diffondeva quasi un’aura di leggenda su certi personaggi e certi episodi. Magari se esistessero oggi e qualcuno li portasse uno contro l’altro in uno studio tv, con un conduttore bravo a sobillare gli animi e procurarsi ascolti, finirebbe malissimo. La tv mostra e corrompe, altro non sa fare, per questo ha così grande successo”. Per Ravezzani invece “la polemica resta sempre la stessa, cambiano i contesti e i termini che l’accompagnano. Peraltro, l’oggetto del contendere è talmente effimero, che non credo che il livello si possa abbassare o alzare in modo significativo. I toni sono più accessi, certo. Ma questo vale per tutta la nostra società”. Anche per Sorrentino qualcosa, ma poco, è rimasto delle vecchie sfide. “Ci sono a volte dispute per così dire ideologiche, ma tutto è sempre ricondotto alla logica del tifo: io rappresento la Juve (pensa l’ospite juventino) e dunque anche di fronte alle intercettazioni di Moggi che fa le griglie arbitrali mi sento in dovere di dire che no, non è vero niente, è tutta una montatura, e allora gli altri? Quello che rappresenta il Milan nega l’evidenza quando è contro il Milan, quello dell’Inter fa lo stesso, e tutto diventa uguale, dilettantesco, privo di serietà. No, davvero, non vedo analogie di alcun tipo, purtroppo”.
Piccinini non rimpiange le vecchie sfide perché “farebbero addormentare anche gli insonni. Io non amo per niente Corno e Crudeli, ma non gli preferirei Brera e Ghirelli. Di Brera mi piacerebbe rileggere un libro, non certo un articolo. Diciamo, per restare alla tv, che il mio compromesso ideale è, come è successo nell’ultimo speciale Controcampo sulla violenza, una bella discussione tra Mughini, Liguori e Zucconi (Repubblica). Cioè: cultura, vivacità, ritmo, poca diplomazia e ironia. Non è necessario ritornare nel medioevo per vedere qualcosa di buono in tv, nello sport come in altri campi. Le interviste di Fazio o di Minoli sono molto meglio di quelle mitizzate di Zavoli”. E nemmeno Damascelli sembra rimpiangerle. “A quei tempi le sfide finivano a cazzotti (Brescia, Brera-Palumbo), con offese pesantissime e insinuazioni volgari, ma senza prova tv”.
Praticamente nessuno ha voluto vedere in quelle sfide a colpi di penna dei precedenti per i dibattiti che ci sono oggi in tv. Sono cambiati i tempi e sono cambiati i personaggi (quelli di un tempo sono diversi da quelli di oggi). Si preferivano quelli di allora, ma in quel preciso contesto. In quello di oggi, apparirebbero anacronismi.
Alberto Facchinetti
alberto.facchinetti1@virgilio.it
(per gentile concessione dell'autore, fonte: 'Il giornalismo sportivo. Il rapporto tra la carta stampata e le tv locali da Gianni Brera ad oggi', tesi di laurea in discipline dell'Arte, Musica e Spettacolo all'Università di Padova, anno accademico 2006-2007)
53 commenti:
Brera me lo ricordo, bravo, competente, erudito. Ma effettivamente era un antesignano della Lega nord ... per lui in grandi giocatori nascevano sopra il Pò, meglio se nelle pianure lombarde .... chissà cosa avrà mai pensato del Barone Causio ...
L'amore di Brera per Giovanni Verga mi pare sgombri il campo da dubbi e da facile etichette
Ma infatti Brera non era leghista: era razzista, che è una cosa diversa....
@mizio
Vedo esseri ... (min 4:15)
Verga raccontava le tragedie e i dolori delle masse piu povere della sua terra, ma dall'alto della sua posizione. Molti sostenevano fosse un reazionario. Per me era semplicemente un uomo del suo tempo, capace di analizzare le situazioni lontane da lui ma non di immedesimarsi.
ha cancellato dal suo giornale il concetto tecnico, perché gli è ostico e pensa lo sia per tutti. E questa è una cosa gravissima perché presto non avranno più lettori sportivi. Avranno dei lettori ai quali basterà il risultato con qualche commento superficiale. Ma non avranno più il lettore preparato”.
Questa però è profetica.
PS: stavo scrivendo anche una battuta su Piccinini ma poi mi sono detto "ma no, in fondo non è così male..."
Cioè, capito come ci hanno ridotto?
A rivalutare SANDROPICCININI!!
Non solo. Da giovane Brera era andato a puttane. E aveva pure fatto il parà... andava caccia e se ne fotteva degli animali e dell'ambiente...
kalz, tutti andavano a puttane quando Brera era giovane, tutti andavano a caccia quando Brera era giovane, tutti facevano il militare quando Brera era giovane, tutti se ne fottevano dell'ambiente quando Brera era giovane. Ma Brera è diverso....
@kalz, se girava anche in macchina è pronto per la crocifissione in sala mensa! :D
@Nick
Sai com'è, Weber, Marx e Durkheim quella sera erano già impegnati, quindi Piccinini ha chiamato
Mughini, Liguori e Zucconi ....
Nick, evidentemente non ricordi il fatto, ma poveraccio Brera è morto in un incidente stradale.
E' evidente che nel proprio essere ascari non tutti riescano a distinguere le sfumature con le quali giudicare un idolo.
Il mio post non era una critica a Brera, ma solo una precisazione in coda al post di Pizzigoni per contribuire a smitizzare una leggenda metropolitana.
Poi è chiaro che quelli che si controllano l'alito solo perchè glielo ordina il capo non possano capirlo...
Mi pare il termine "Padania" fosse farina del sacco di Brera.
Brera è delle mie (inteso come posto in cui sono cresciuto e proviene un ramo della mia famiglia )parti.
Brera non è facilmente liquidabile come "protoleghista" o "razzista" (anche se propendo molto anche per la prima, basta leggerlo, o leggere il suo "alter ego" descritto da Arpino in "Azzurro Tenebra")
Su quest'ultimo (pace all'anima sua) venduto al gobbume, spiace dirlo, aveva ragione il Brera.
Io intendevo leghista nel senso che Brera difficlmente metta la punta del proprio naso al di fuori di corti perimetri territoriali. Non so se era anche razzista ... all'epoca poi in Italia del Nord il razzismo era nei confronti dei terroni e non dei neri, che ancora non c'erano. E non mi sembra nemmeno corretta l'equazione Leghista=razzista (troppa demogogia). Però non credo sia una eresia dire che Brera era gretto, proprio perchè troppo limitato nella sua concezione spaziale. Le polemiche sulla scuola napoletana mi sembravano nascere dalla negazione del diritto a parlare di calcio al di sotto del pò ...
Beh...oggi in molti, mi pare, sosteniamo le stesse cose parlando di Roma.
(Jeremy non è che non lo ricordavo...non lo sapevo affatto! :) )
Normale eri proprio giovinetto all'epoca e non è che uno si informa come trapassa la gente :-) io me lo ricordo perfettamente e mi è rimasta impressa l'immagine del cuscino da stadio del Genoa sul luogo dell'incidente. Dane, pero c'è sempre un po' di acredine nelle parole dei detrattori di Brera, oltre i semplici demeriti da giornalista.
Brera l'ho vissuto solo nei suoi ultimi venti anni di carriera, quindi i peggiori, ma non gli si può negare una cosa: che fosse sempre interessante leggerlo, anche nelle scontate presentazioni della domenica mattina (metteva le partite in ordine di classifica, sommando i punti delle due squadre)...per riprendere l'articolo di Alberto, quasi tutti noi l'abbiamo vissuto nella fase 'palumbiana', quella del cazzeggio erudito...quella tecnica e retroscenistica l'abbiamo conosciuta dai libri...
caro direttore, sbaglio o si mormora che negli anni '60-70, tanta fosse la capacità di Brera, per meriti e bravira personale, di essre opinion leader, che qualche CT e allenatore è stato esonerato a seguito di sua censura giornalistica ????
Be', nel 1962 la formazione degli azzurri la dettava personalmente lui a Mazza e Ferrari...testimonianza di Sivori che aveva origliato...e nel 1966 di sicuro era fra gli antipatizzanti di Fabbri...
Jeremy, personalmente la mia opinione è più o meno quella del Direttore, dopodichè se mi dici che tra i detrattori c'è sempre un po' di acredine allora ti rispondo che tra gli ammiratori c'è sempre un po' troppa bava: per Brera si parla di "la capacità di Brera, per meriti e bravira personale", per Moggi si parlerebbe più prosaicamente di "mafia".....
Quoto il Direttore (come potrei non farlo) e anche Dane. Per la cronaca Brera era anche amico di Rocco con il fiasco a fare da terzo invitato, ma non risultano interferenze, solo pareri.
Era anche un'altra epoca, dove il giornale contava molto.
Sulle doti mi sono già espresso, noi abbiamo visto solo la decadenza, come giudicare l'impero romano solo da Valentiniano III.
Italo
Miei cari, meno male che abbiamo conosciuto solo l'ultimo Brera, altrimenti avremmo tutti tra i 70 e gli 80 anni .... meglio così !!!!
Sono un ammiratore del Brera scrittore di calcio ed ho la fortuna di avere in biblioteca sia la sua "Storia critica" sia quella ghirelliana. Le due opere hanno un taglio diverso, la prosa breriana è chiaramente più ricca e piena d'immagini, ma soprattutto prende posizione in maniera netta su tutto, come costume del personaggio. Che poteva avere i suoi difetti, che peraltro difendeva strenuamente: da quel che ho potuto leggere era davvero difficile andare d'accordo con lui, ma non vedo perché questo dovrebbe sminuire la sua statura di giornalista-scrittore (non solo di calcio, visto che fece uscire almeno due romanzi, e certamente mi sfugge qualcosa). Lo sprezzo era nel suo modo di rapportarsi con la realtà, probabilmente si sopravvalutava ma a torto o a ragione riteneva di poter spiegare qualcosa ai suoi lettori, tra l'altro inventando ed imponendo un linguaggio che affascinava anche chi intellettualmente tendeva ad essere tiepido verso lo sport (succedeva anche questo un tempo). Da tempo i giornali hanno abdicato a questi tentativi: in effetti, che c'è bisogno di leggerli a fare, quando non c'è scritto nulla di particolare?
Mah, io Brera lo ricordo sovente ospite del Brociesse di Biscardi quindi dichiarare che " oggi un Brera, un Ghirelli o un Palumbo non andrebbero mai a dibattere in certe trasmissioni" mi sembra abbastanza insensato; per motivi cronologici ho conosciuto solamente il Brera anziano e "televisivo" e sinceramente mi risultava insopportabile la sua spocchia ed il suo parlare di calcio in maniera aulica come non si trattasse di uno sport (un gioco) ma qualcosa di tremendamente più serio; "questo" Brera a mio parere viene benissimo descritto in "Dov'è la vittoria" di Sermonti, in "Non si fanno queste cose a cinque minuti dalla fine " di Ziliani e in "Azzurro Tenebra" di Ghirelli; probabilmente dirò una bestialità ma preferisco Crudeli a Brera almeno Crudeli non ha la pretesa di prendersi sul serio e considerarsi un oracolo.
No va bene tutto, Krug, ma paragonare Brera a Crudeli proprio non si può leggere.
Non mi interessa discutere l'uomo, le sue strampalate teorie etniche o la rigidità dei suoi assiomi tecnici, ma posso testimoniare che, perfino per un illeterato come me, era una goduria leggere gli articoli di Brera. Proprio per il modo di scrivere che mescolava locuzioni ironicamente auliche con la lingua parlata e con l'invenzione di definizioni che sono giustamente diventate storiche. Non ho mai più letto articoli sportivi così divertenti.
Ha provato Cazzaniga a scimiottare il suo maestro e pareva che Mura potesse essere il suo erede, prima di scadere nel minimalismo giornalistico, nel senso dello stile. Che poi sia rincoglionito fino a partecipare al processo è un altro discorso.
Diciamo che Brera aveva un suo dark side che nell'età anziana si accentuò notevolmente, il cui apice fu forse,come ricordato dal Direttore, la pubblicità del Winco in cui tromboneggiava evocando "le mattane dell'agonismo e la fallacità dei numeri" (vado a memoria). E'stato spesso descritto come un uomo avido e ruvido, di certo era una personalità complessa e credo che lo descriva benissimo, molto meglio dei suoi "orfani" il libro di Giuseppe Fumagalli "Figli di un Rio Minore". Di certo l'uomo medio italiano ha sempre fatto una fatica boia a capire cosa scrivesse.
clinter probabilmente mi sono spiegato male, parlavo di Brera e Crudeli come personaggi televisivi, non come scrittori... Mai letto nulla di Crudeli, ma scrive da qualche parte?
In effetti, pochi giornalisti sportivi erano e sono anzitutto giornalisti e poi che si occupano di sport per passione e non per incapacità di parlare d'altro o semplicemente perchè si guadagna bene (soprattuto in TV) ... A chi non piace la prosa aulica e supponenente di Clerici ? Brera era così, con i suoi difetti, ma anche un Signor giornalista.
@mizio
Comunque Clerici e Crudeli citati nella stessa pagina web è almeno da 6 mesi con la condizionale.
Non so se Crudeli scriva da qualche parte, potrebbe pure essere che si riveli molto meglio come giornalsta pittusto che opinionista tifoso, nin zò.
Comunque Brera non era adatto alla televisione, non aveva i tempi adatti, credo si dica così, e la sua prosa perdeva giocoforza efficacia, considerato il pubblico di destinazione. Leggere di 'gran bisiaco' e 'rombo di tuono' in un articolo, dove la parola resta fissa e può essere, diciamo così, assaporata, è un conto, sentire queste definizioni in una trasmissione sportiva dove quel che conta, al massimo, sono i concetti è molto diverso.
Affermazioni fatte da un ignorante eh, non si scatenino gli iperacculturati.
Aldilà del fatto che Brera non avesse i tempi televisivi personalmente dava per le balle la sua aria da Marchese del Grillo "Io so' io e voi non siete un cazzo..." spesso accompagnata da analisi farlocche (magnifica ai Mondiali del 1982 l'esaltazione del Belgio e la crocifissione dell'Italia postata come fosse il verbo... Ci pensò poi un certo Boniek a rifilare tre pappine ai diavoli rossi a scoprire il bluff; dopodichè che la sua prosa fosse godibile non lo discuto; il succo della questione nasce dal fatto che Brera oltre ad avere altre capacità rispetto alla coppia Corno-Crudeli viveva in un periodo in cui un giornalista sportivo poteva benissimo vivere senza passare per la televisione (e nonostante ciò Brera pensò bene di presenziare al Brociesse) mentre ora un giornalista "deve" andare in televisione a recitare (perchè diciamoci la verità, non fanno i giornalisti, fanno gli attori) la figura del tifoso di penna...
Provo grande ammirazione per Brera, ma non concordo su chi come Franco Rossi sostiene che sia stato il miglior giornalista sportivo italiano con due giri di pista davanti a tutti. Personalmente gli preferisco Ormezzano e Mura, gli unici due dei quali mi trovo a rileggere gli articoli più di una volta.
Krug, non ho nulla da obiettare a queto ultimo post, cazzate ne ha sparate tante e la sua prosopopea poteva essere irritante. Io difendo il giornalista, raccontava fatti, interpretandoli, utilizzando una prosa che si elevava al di sopra della normalità.
Questioni di gusti, Gareth parla di Mura, io ogni tanto leggo i suoi articoli sul calcio e li trovo molto normali.
Corro il rischio di essere accusato di piaggeria e dico che scrive in modo più stimolante Olivari e aggiungo che , suo nonno mi perdoni, perfino Dane saprebbe essere più stimolante, nel modo di scrivere, ovvio, sui contenuti...transeamus.
Sembra che a Mura sia stato spento qualcosa dentro, magari è solo una mia impressione.
Buona parte di quel dark side di Brera, giustamente citato da Vincenzo, veniva dalle sue origini. Era stato povero e quell'imprinting se l'è portato dietro per tutta la vita, anche quando ormai era un uomo di successo e benestante. Per tanti versi mi ha sempre ricordato Scerbanenco, un altro che la miseria e la fame ce le aveva sempre sulla pelle anche quando dirigeva giornali ed era diventato ricco. Tutti e due hanno continuato a scrivere e strascrivere anche quando non ne avrebbero più avuto bisogno.
E poi Brera in realtà si è sempre vergognato come un ladro di fare il giornalista. Si sentiva uno scrittore. Quando Eco lo ha definito "un Gadda dei poveri" per lui è stta un'offesa indelebile. Per rivalsa detestava gli scrittori che si dedicavano al giornalismo sportivo come Arpino (diceva che "facevano la cacchina").
"Di certo l'uomo medio italiano ha sempre fatto una fatica boia a capire cosa scrivesse. "
Non solo quello medio. Montanelli diceva che Brera "scriveva in una lingua che capiva solo lui"....
"Mai letto nulla di Crudeli, ma scrive da qualche parte?"
Non era Direttore di un giornale?! Ricordo che per un anno fu presentato al processo col titolo di Direttore di quel giornale anche 6 mesi dopo che il giornale aveva chiuso.... :-D
"A chi non piace la prosa aulica e supponenente di Clerici ? Brera era così"
Ma un par di cazzi, Clerici è un aristocratico, Brera uno che recitava la parte...
"personalmente dava per le balle la sua aria da Marchese del Grillo "Io so' io e voi non siete un cazzo..." spesso accompagnata da analisi farlocche (magnifica ai Mondiali del 1982 l'esaltazione del Belgio e la crocifissione dell'Italia postata come fosse il verbo..."
Krug, meraviglioso! Ho Espana 82, il libro (con le foto di Silvano Maggi) che raccoglie tutti gli articoli scritti da Berra durante il Mondiale, con le presentazioni delle partita e i commenti del giorno dopo: da morir dal ridere!...
"perfino Dane saprebbe essere più stimolante, nel modo di scrivere, ovvio, sui contenuti...transeamus."
Accetto suggerimenti!...
"E poi Brera in realtà si è sempre vergognato come un ladro di fare il giornalista. Si sentiva uno scrittore. Quando Eco lo ha definito "un Gadda dei poveri" per lui è stta un'offesa indelebile. Per rivalsa detestava gli scrittori che si dedicavano al giornalismo sportivo come Arpino (diceva che "facevano la cacchina")."
Praticamente un complessato......
@ Kalz: Scerbanenco, la macchina per scrivere storie, non si tocca ;)
Non sono così tranchant come Dane riguardo a Brera, ma sicuramente Scerbanenco scriveva in un italiano decisamente migliore, oltre al fatto che i quattro romanzi con protagonista Duca Lamberti restano la serie Noir più avvincente mai scritta in Italia.
Tranquillo Dane, era solo una battuta per non rischiare di esser troppo complimentoso.
Comunque la differenza fra Brera e Montanelli è che il primo non ha fatto guasti fra le menti dei lettori, essendo un maitre à penser solo in campo calcistico, il secondo , a mio modo di vedere, qualche quasto lo ha fatto. Parlo in senso lato.
@silvano, (sono un omonimo e mi sembra di scrivere a me stesso) sono sempre stato un estimatore di Scerbanenco. Potrei anche portare delle prove, ma non lo faccio perché sono riservato di natura.
@ kalz: mi basta che mi dici come si chiamava il paracadutista di "Al servizio di chi mi vuole" e ci credo senza problemi. Certo che milanese, milanista e omonimo... non mi dire che sei anche sbirro perchè sennò qua credono che sono un clone ;)
A parte gli scherzi, era solo per fare notare che il paragone, a mio parere, può reggere sicuramente sulle motivazioni ma meno sullo stile di scrittura e su quello dei due personaggi tout court.
Clinter, la chiudo qua perchè con "Montanelli ha fatto guasti tra le menti dei lettori" siamo a livelli di "Kakà è solo un cavallone sgraziato"......
p.s.: mi hai fatto venire la pelle d'oca....
Fiiiu, ed io che temendo la reazione di Dane mi ero già rifugiato nel rifugio antiatomico... ;))))
@Silvano, credo che fosse Ulisse Ursini. Preciso che io non sono un appassionato di gialli, ma un appassionato di Scerbanenco, della sua faccia a meta strada tra Totò e Marty Feldman, di quella Milano in bianco e nero intorno a via Vitruvio.
Anche tu ammazzi di sabato?!...
Ringrazio il cielo, ogni tanto mi autodenuncerei per incauto uso della tastiera. Ognuno resta della sua, ma vorrei precisare che non sono certo io la mente che ha partorito la definizione su Kakà.
Penso che tu la usi, nei paragoni, come iperbole negativa, ma se pensi che l'abbia scritta io ti ricordi molto male.
Beh, anche dire che "Azzurro Tenebra" non è di Arpino (comunque, ripeto, venduto ai gobbi) mi pare boiata grossa...
Scerbanenco non si tocca.
Tranquillo Clinter, sei scagionato. Era solo per fare un paragone tra incauti usi della tastiera... ;-)
Ho impunemente scritto "Azzurro Tenebra" di Ghirelli, me ne sono accorto quando era troppo tardi... Mi cospargo il capo di cenere...
@ kalz: indovinato, promosso ;) Naturalmente era una battuta. Io ho adorato di Scerbanenco le descrizioni della Milano anni '60 e la sua capacità di avvincere il lettore, anche con racconti brevi.
Clinter, ma l'estremista non ero io ???
Giuàn Brera è stato uno scrittore prestato al giornalismo sportivo.
Come alcuni hanno fatto notare,il meglio della sua produzione è negli scritti meditati e pensati per la pubblicazione libraria;"Coppi e il diavolo" rimane un classico del Novecento.
Chiunque scriva di sport deve qualcosa alla sua opera:coniò un linguaggio pop affiancandolo all'epica(e all'enfasi)dei gesti agonistici.
Diverso fu il suo contributo ai quotidiani;il brerismo fu innanzitutto un fenomeno da barricata,in eterna contrapposizione con un nemico più o meno inventato.
Se non fu protoleghismo il suo...
In quei casi la forma prevaricò la sostanza troppe volte:nel 1968 scrisse,giustificandosi con una tematica biorazziale alquanto rozza,che Eddy Merckx non avrebbe mai vinto un Grande Giro.
Roba da licenziamento per infermità mentale.
Passò al calcio e lasciò il ciclismo per pecunia e voglia di protagonismo:la ribalta giusta per mettersi in mostra.
Consiglio la lettura dell'eccellente "Giòann Brera",la biografia scritta a quattro mani dal figlio Paolo e da Claudio Rinaldi,edita dalla Boroli.
"In quei casi la forma prevaricò la sostanza troppe volte:nel 1968 scrisse,giustificandosi con una tematica biorazziale alquanto rozza,che Eddy Merckx non avrebbe mai vinto un Grande Giro."
Poi ti dicono "eh, ma tu Brera non lo puoi capire".....
'Chiunque scriva di sport deve qualcosa alla sua opera:coniò un linguaggio pop affiancandolo all'epica(e all'enfasi)dei gesti agonistici.'
E vabbe', però se scrivete così, poi io mi sento una merda.
Definizione sintetica ed esaustiva.
Mizio, scusa il ritardo, io ti risponderei anche, ma non capisco a cosa ti riferisca.
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