di Enzo Palladini
Prendere un brasiliano e portarlo in Europa non è facile. Mai. Anche nel caso di Ronaldo a Eindhoven c’erano mille complicazioni: il ragazzo era giovane, veniva da Rio de Janeiro, non conosceva il freddo, non parlava la lingua locale e nemmeno l’inglese. E poi la città è terrificante.
Praticamente la fabbrica della Philips con intorno un centro abitato fatto di forme geometriche, un anonimo centro chiuso al traffico e una cattedrale con una specie di orologio al quarzo sul campanile. Un paesone da 200mila abitanti dove c’è spesso la nebbia e dove tra i pochi diversivi, a parte un’interessante vita notturna, c’è la squadra di calcio che ogni tanto vince qualcosa. Dopo i primi giorni di euforia per l’ottimo contratto firmato e la novità dell’ambiente, Ronaldo rischiò di entrare in una depressione spinta. ''Porra, onde è que eu fui bater'', accidenti dove sono finito, si chiedeva con il passare del tempo.
Viveva da solo in una camera d’albergo. Lussuoso, ma sempre albergo. Non capiva una parola di quello che sentiva dire intorno a sé. Gli portavano il menù del ristorante e lui sceglieva a caso, sperando che fosse qualcosa che gli piaceva. ''Mi portavano sempre il pesce o qualche piatto che conteneva pesce, che a me non è mai piaciuto molto. Oppure i pomodori, che io ho sempre odiato. Era diventato un incubo''. L’unica consolazione era la busta paga a fine mese: ''Io non sono mai stato un ragazzo di strada, per fortuna non ho mai sofferto la fame, ma so cosa vuol dire essere poveri. Per quello resistevo e mi dicevo che quello sarebbe stato il mio trampolino di lancio verso il grande calcio''. Aveva ragione, ma per un diciottenne che non comprendeva la lingua vivere là era una sofferenza. ''Sono stati i tre mesi più brutti della mia vita'', avrebbe raccontato poi. E allora, d’accordo con il Psv Eindhoven, decise di portare in Olanda la famiglia.
Chiamò mamma Sonia e le ordinò di caricare su un volo, oltre a sé stessa, anche il fratello Nelinho. Dopo un minuto prese il coraggio a due mani e la richiamò: ''Fai venire anche Nadia França, è la mia fidanzata e la voglio con me''. Mamma Sonia era tesissima perché non aveva mai preso un volo intercontinentale, quindi passò rapidamente sopra la storia della fidanzata (tre le due donne non correva buon sangue, come vedremo più avanti). Poi chiese al figlio il permesso di portare con sé Aìlton Santana, qualcosa in più di un caro amico. ''Mamma porta chi vuoi, basta che tu venga qui a prepararmi le tue fantastiche bistecche''. Detto, fatto. La spedizione arrivò all’aeroporto di Amsterdam in un giorno d’autunno, con mamma Sonia eccitata e spaventata allo stesso tempo. Il primo freddo lasciò tutti in imbarazzo, costringendo Ronaldo a uno stop in un grande magazzino per una superspesa di abbigliamento pesante. Ci vollero due pullmini per trasferire tutto ad Eindhoven, anche perché Ronaldo aveva preteso che la mamma gli portasse la sua collezione di oltre 1.000 cd di musica brasiliana. In Olanda non li avrebbe certo trovati, anche se li avesse voluti ricomprare tutti.
Per qualche tempo quella famiglia allargatissima visse in albergo, poi decise di mettere qualcosa di simile alle radici e andò ad occupare un appartamento signorile. Il signor Aìlton era un ottimo giocatore di tennis e ben presto cominciò a dare lezioni al ragazzo, che così trascorreva una parte del suo tempo libero praticando un altro sport. Ronaldo continuava a essere senza patente, ma il Psv facendo finta di niente gli mise a disposizione una Opel Vectra. Dopo qualche mese il ragazzo decise di staccare un assegno per una cifra equivalente a 50.000 euro attuali e si fece consegnare una Jeep Cherokee superaccessoriata. Imparare l’olandese non era semplicissimo, ma Ronaldo in questo è sempre stato ammirevole. Pur non essendo uno studente modello ha sempre avuto una sorprendente facilità nell’imparare le lingue. Con buona volontà si sottoponeva al trattamento di un prete protestante di Eindhoven, padre Tiago Koos Bout, che riuscì a fargli entrare in testa almeno i fondamenti dell’olandese. Dopo qualche mese il ragazzo arrivato da Rio riusciva a capire quello che leggeva sui cartelloni pubblicitari, quello che ascoltava al telegiornale e quello che la gente cercava di dirgli per la strada.
(dal libro 'Paura del buio' di Enzo Palladini, Indiscreto editore)
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