La medicina di Spensley

di Stefano Olivari
Insieme a Torino il motore del calcio italiano di fine Ottocento è senza dubbio Genova, con un carattere più di importazione e nettamente più inglese rispetto all’altra città faro. Genova sta vivendo un boom commerciale, dovuto anche all’apertura del Canale di Suez che ha ridato centralità al Mediterraneo, ed è una delle città italiane più ricettive nei confronti delle novità: all’inizio il nuovo sport viene giocato quasi solo da marinai e impiegati inglesi, ma lo spirito di emulazione scatta subito nonostante all’epoca in Italia l’idea di ‘vero sport’ sia lontana da quella delle discipline di squadra. Gli sport da giovin signori sono infatti individuali: scherma, podismo, ginnastica.

Il Genoa come polisportiva nasce ufficialmente nel 1893, mentre è solo di 3 anni dopo la nascita della sezione calcio su spinta di James Spensley. Medico di bordo su navi commerciali inglesi, Spensley sbarca a Genova nel 1896. Modesto calciatore in vari ruoli, soprattutto portiere, diventa in breve l’animatore sportivo della colonia inglese della città. Si iscrive al Genoa, stabilendosi in città e studiando la situazione organizzativa del suo calcio. Fatta di sfide estemporanee fra inglesi e italiani praticanti altri sport: molto frequenti quelle fra praticanti del cricket e ginnasti. Il calcio non esiste come entità a sè stante, ma ha già le sue squadre di culto. E a Genova, con sommo dispiacere di Spensley, la squadra che gioca il miglior calcio è l’Andrea Doria. Una società di ginnastica, per l’appunto.

Ma Spensley fa cambiare la direzione della storia, a Genova e in Italia. Diventa subito capitano del Genoa, non per meriti tecnici ma perché si sbatte più degli altri nell’organizzare quelle sfide: fa un po’ ragionier Filini, ma tutto inizia così. Ed il Genoa, sotto il suo impulso organizzativo, diventa ben presto dominatore in città al punto che Spensley contatta i dirigenti delle squadre torinesi per allargare gli orizzonti. In molti libri il 6 gennaio del 1898 è segnato come la data storica in cui il Genoa incontra, perdendo, una mista di Torino e Torinese, ma stando invece ai giornali d'epoca molte altre ‘amichevoli’ sono già state giocate e altre importanti (coinvolgendo anche l’Alessandria) saranno giocate a breve. L’infaticabile Spensley intanto lavora per la creazione delle federazione: battaglia che vincerà, come ha vinto qualche mese prima quella per far entrare all’interno del Genoa anche soci (e quindi giocatori) italiani o comunque non inglesi.

Sulla parte strettamente calcistica della sua esistenza torneremo poi, visto che Spensley è l’anima del Genoa dominatore nei primi anni del nostro campionato, adesso ci interessa il famoso ‘uomo’. Un personaggio di cultura enorme: parla correntemente cinque lingue moderne e tre antiche (greco e sanscrito, più il latino), è diventato medico per accontentare la famiglia e a Genova lo stipendio glielo passa lo stato britannico visto che è il punto di riferimento di tutti i marinai e i commercianti inglesi che transitano da lì. Amante del mare, della storia delle religioni, del giornalismo (durante il periodo genovese scrive di politica italiana per il Daily Mail), della boxe ma soprattutto del calcio.

Rapportando tutto ai canoni inglesi dell’epoca, non è strano che un uomo simile sia impazzito per il calcio. Che in quella fase riesce ancora ad unire, a livello di pratica, le classi sociali medie e quelle basse. Mentre pochi anni dopo la situazione cambierà, con i tanti ‘working class hero’ a rendere il football un gioco di classe proprio nella terra che ne ha inventato la versione moderna. Una situazione che, con molte sfumature ed eccezioni, è arrivata fino ai giorni nostri: Totti e Del Piero possono frequentare senza imbarazzi anche club con politici ed intellettuali fra gli iscritti, mentre la stessa cosa non potrebbe succedere al Rooney della situazione.

Tornando a Spensley, il medico non è decisivo solo per il calcio ma anche per lo scoutismo italiano. Ci riferiamo proprio al movimento fondato da Robert Baden-Powell, fra l’altro conoscente di Spensley, che in Italia arriva nel 1910 e di cui l’ex (la sua storia rossoblu è intanto finita nel 1907) portiere-mediano-dirigente-tuttofare del Genoa diventa uno dei dirigenti. Intanto la vita procede, fra mille attività (alle altre aggiunge lo studio di matematica e alchimia) e un breve passaggio nell’Andrea Doria come allenatore. Nel 1914 ha 47 anni, potrebbe evitare la Grande Guerra ma decide lo stesso di arruolarsi nell’esercito inglese come ufficiale medico. Opera su vari fronti, gli è fatale quello tedesco. Prestando soccorso a un soldato tedesco (abbiamo scritto bene, tedesco) viene colpito da una pallottola di incerta origine. Di sicuro c’è che finisce a Mainz, in un ospedale militare e lì finisce di vivere il 10 novembre. Da eroe vero, forse pensando agli anni felici passati al Genoa. Un destino, la morte al fronte, condiviso con l’altro mito genoano Luigi Ferraris con il quale per motivi di età si è incrociato solo in poche partite. Mentre scriviamo queste righe Ferraris ha intitolato lo stadio, Spensley solo una via di Genova (a pochi metri dallo stadio, fra l’altro): anche limitandoci solo all’importanza calcistica sarebbe forse più giusto il contrario. (fine seconda parte - continua)

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
(pubblicato anche sul Guerin Sportivo)

La prima parte di LA NOSTRA STORIA

2 commenti:

Paolo S ha detto...

Ciao Stefano!
In effetti la decisione di dedicare lo stadio di Marassi, il ‘campo del Genoa’, a Luigi Ferraris anziché James Spensley in apparenza suona alquanto bizzarra. Già me lo chiedevo quando ero piccolo e passavo li davanti tutti i giorni. In realtà a mio parere fu una scelta (Ferraris) non immune dalla politica. Dei due hai già detto tutto tu, Stefano. Il primo, atleta che ha dignitosamente vestito il rossoblù. Il secondo, tra i grandi padri del football genoano e italiano, autentico leader, grande personaggio non solo nel football. Se però collochiamo temporalmente il momento della decisione di dedicare lo stadio, all’epoca oltretutto di proprietà del Genoa, a Ferraris piuttosto che Spensley probabilmente la risposta diventa semplice. Nel 1933 il regime a guida del paese non credo avrebbe particolarmente gradito che l’impianto della più affermata società calcistica italiana fosse dedicato a un inglese. Dunque per la retorica dell'epoca, meglio un valoroso combattente volontario che s’immolava per la patria piuttosto che il principale protagonista della storia del Genoa. L'uomo che oltretutto aprì le porte del club agli italiani...

Simone ha detto...

Bello.
Curioso che la funzione sociale del football abbia attecchito così velocemente nel Bel Paese.
Mentre tralascio ogni commento sui destini di un gioco,diffuso da un uomo della cultura di Spensley e caduto nelle zampe dei figuri che lo amministrano oggi.