L'ultimo tuffo di Greg Louganis

Nel marzo 1988 Greg Louganis è il più forte tuffatore del mondo, forse già il più grande di sempre, quando a sei mesi dalla sua ultima Olimpiade si sottopone al test per l’Aids spinto dal fidanzato. Positivo, nel senso che il test dà il responso peggiore che ci si possa attendere. L’allenatore Ron O’Brien lo rincuora e lo invita a mantenere il segreto: andrà a Seul il solito Louganis pubblico, il dio dei tuffi, mentre quello privato si imbottirà di farmaci e e soffrirà in silenzio.

Arrivano i Giochi. Al trampolino nelle qualificazioni non è il miglior Louganis, al nono tuffo quasi si spacca la testa contro il trampolino: inevitabile che gli venga in mente l’amico Shalibashvili, il sovietico che cinque anni prima alle Universiadi di Edmonton è morto in un incidente analogo (alla piattaforma, però). Greg sanguina, quasi nessuno conosce il suo segreto e per lui è un bene. Gli applicano 4 punti al viso, lo fa un medico senza guanti: sta rischiando di infettare avversari e collaboratori, è il momento peggiore di una vita che di momenti difficili ne ha avuti tanti (soprattutto lontano dalla vasca, fra riformatorio e tentativi di suicidio). Louganis si fa forza e porta a casa il passaggio in una finale, che il giorno dopo stravincerà.

Altro dramma, ma solo sportivo, alla piattaforma. Prima dell’ultimo tuffo il baby-fenomeno (14 anni) Xiong Ni lo precede di 3 punti, anche l’ultima esecuzione del cinese è perfetta. Anche per il miglior Louganis sarebbe argento, ma per l’ultimo tuffo della sua carriera c’è un ‘miglior Louganis’ ancora più forte e determinato. Sorpassa Xiong Ni per 1.14 punti, praticamente niente. Poi scompare, per combattere la sua battaglia e dedicarsi al cinema (poche cose) e agli amati cani: solo nel 1995 racconterà in pubblico della sua malattia, solo con sette anni di ritardo tante persone capiranno il rischio che hanno corso quel giorno a Seul. Grande campione, Louganis, ma in quell'occasione uomo a metà: con l'interesse personale anteposto alla salute del prossimo.

Stefano Olivari
(pubblicato sul Guerin Sportivo)

4 commenti:

Dane ha detto...

Totalmente d'accordo a metà col Mister, nel senso che è tutto vero ma non son mai riuscito a muovere nessuna obiezione ad uno dei miei idoli d'infanzia.
Ricordo quando da bambino cercavo di imparare in una sfigata piscinetta di provincia i suoi tuffi, che ovviamente mi venivano meglio di notte (poi al mattino suonava la sveglia e toccava andare a scuola...) visto che di giorno portavo all'esaperazione l'istruttore anche per un semplice carpiato rovesciato.
Per quanto riguarda il punto del pezzo, oltre che sull'allenatore bisognerebbe concentrarsi sulla figura del padre e dell'allora fidanzato, figure chiave della vita, dei tormenti interiori e della vicenda coreana.
Senza per questo voler creare alibi a nessuno.....

Dane ha detto...

Ah, grazie comuqnue per il ricordo...

Unknown ha detto...

concordo anch'io a metà: grande rischio, comportamente certamente egoistico.
Però io l'ho sempre percepito non come la cinica determinazione di chi vuol vincere tutto al di soprà di qualsiasi cautela, ma con il terrore di chi si portava dietro una vergogna segreta e la sua colpa più tremenda.
Mi ricordo bene il "coming out" della malattia in cui racconto il terrore cieco che gli venne quando vide il sangue in piscina

Stefano Olivari ha detto...
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