di Stefano Olivari
Mai tornare dove sei stato felice, ricordano i saggi. Però Dan Peterson che torna ad allenare l'Olimpia Milano dopo quasi un quarto di secolo di inattività attiva ci commuove, siamo fatti così. Bieca operazione nostalgia, astuzia di marketing del maestro Armani, ombrello per Proli che avrà qualche mese per ingaggiare un allenatore da prima fascia europea, salutare scossa a giocatori convinti che in Italia sia impossibile fare meglio del secondo posto e peggio del secondo posto: tutte spiegazioni credibili del Grande Ritorno, ma senz'altro meno interessanti dei suoi effetti positivi sul basket in generale.
Se l'ingaggio di un 75enne, sia pure dal passato glorioso, ha guadagnato le prime pagine di quotidiani politici come non avevano fatto nemmeno tutti gli scudetti di Siena messi insieme questo significa che la pallacanestro italiana ha buttato via le ultime 15 stagioni. La sentenza Bosman ha infatti generato non solo da noi una perdita di identità e un professionismo da NBA sfigata che ha tolto interesse al campionato senza alzarne, anzi, il livello tecnico. Non è certo questione di stranieri o italiani, ma di gente che si senta coinvolta in qualcosa che duri almeno qualche anno. Non è quindi l'effetto nostalgia che ci fa ricordare meglio il roster della Scavolini 81-82 rispetto a quello dell'attuale, ma l'idea di qualcosa di rappresentativo e di coinvolgente. Non è un caso che alla domanda sui cambiamenti negli ultimi decenni di basket Peterson abbia risposto non con facili considerazioni tecniche (abuso di pick and roll, quasi scomparsa della zona, necessità del 'quattro' che tira da fuori, eccetera) ma citando la sentenza Bosman e i procuratori che fanno le squadre al posto dei direttori sportivi.
Per adesso l'effetto Peterson si è visto soprattutto a livello mediatico, per uno sport che ai tempi d'oro (il termine 'heyday' ci emoziona più di apogeo, non per esterofilia ma per il suono) di Peterson vedeva pubblicati sui quotidiani generalisti i tabellini della A2. Un aspetto davvero importante è che, stando ai commenti sui blog e sui siti dei giornali, ad entusiasmarsi siano tifosi di tutte le squadre. Non solo vecchi che non vanno più al palazzo ma anche giovani che conoscono solo il Peterson telecronista Sky e ultimamente SportItalia (noi purtroppo abbiamo l'età per averlo visto anche su Prima Rete Indipendente, prima del passaggio della NBA su Canale 5 nel 1981), non solo nostalgici ma anche giovani appassionati che non riescono ad appassionarsi a 20 secondi di masturbazione della palla seguiti da un gioco a due. Se gioco basic deve essere, tanto vale vedere quello dei fenomeni: senza senso di appartenenza mille volte meglio LeBron di Finley (peraltro bravissimo giocatore, ma vittima del sistema e del bolso esperto che fin da prima di Naismith ricorda che 'ci vuole un regista').
Nel basket non siamo tifosi di squadre, ma di persone come Dan Peterson e del gioco di chi prova a giocare senza nascondersi dietro alla retorica del players' coach. Non perché siamo intelligenti, il motivo è solo che la nostra squadra è fallita trenta anni fa e che ne sopravvive in serie C Regionale una pallida erede che merita di essere seguita solo dai parenti dei giocatori (come in effetti succede) in una palestra al cui confronto quella dove giochiamo noi il sabato mattina sembra lo Staples Center. La storia della Pallacanestro Milano (qualcuno la ricorderà come All'Onestà, Mobilquattro o Xerox) dimostra infatti che anche negli anni d'oro della pallacanestro italiana fosse possibile fallire nonostante i soldi a palate del figlio del cumenda (Milanaccio era il Moratti Massimo degli anni Sessanta, ma più di terzo in serie A non arrivò mai: oggi del basket non vuole nemmeno sentir parlare) o dello sponsor mobiliere emergente poi affogato (Tino Caspani, che oggi è riemerso e nella sua sede hi-tech di Mariano Comense produce divani leopardati per russi e arabi), per non parlare di un entusiasmo popolare che infiammava il Palalido. Impianto purtroppo adatto alle dimensioni del basket di allora come a quelle del basket di oggi, non a caso Peterson è rimasto un gigante.
Fa male ricordare che quando un anno e rotti fa Chuck Jura è tornato in Italia e ci siamo permessi di portarlo (con l'amico Giorgio Specchia, che con noi condivide lo schifo per il basket senza identità) al campo della Pallacanestro Milano, l'ex fuoriclasse è stato accolto quasi con fastidio (mentre faceva gli auguri alla squadra un giocatorello si toccava le palle e uno degli allenatori, incapace anche di gonfiare un pallone, sghignazzava) da dirigenti che si lamentano di non avere mezza riga sulla Gazzetta. In proporzione come se Cruijff si presentasse oggi al campo dell'Ajax e De Zeeuw gli dicesse ''Vai via perché mi togli concentrazione''. Non è insomma un caso che questa squadra sia morta e che chi ne ha conosciuto da vicino i suoi protagonisti adesso la detesti anche da fallita.
Nelle nostre peripezie fra la varie categorie del basket italiano abbiamo incontrato gente incapace di organizzare una semplice amichevole di vecchie glorie per fare promozione, gente timorosa di ingaggiare Naumoski perchè, ci è stato spiegato, ''spaccherebbe lo spogliatoio'' (uno spogliatoio dove non ci sono Kobe e Artest, ma impiegati e studenti fuoricorso), gente che aspetta tutta la vita i messia alla Bulgheroni (al quale giustamente frega solo del golf, dopo avere abbandonato il tiro al piccione), il mitologico 'Grande amico di Stern' (poi è vero che conosce il commissioner della NBA, scriviamo queste righe solo per vedere in quanti minuti qualche anziano pagliaccio segnalerà questo pezzo al Toto), invece di costruire qualcosa in proprio, gente che preferisce essere ras a Rho o Garbagnate invece che ascoltare i consigli di un ex allenatore dei Celtics (Tom Heinsohn, per la cronaca), gente che mentre allena chiede il risultato di Inter-Napoli o saluta lo sponsor pizzaiolo, gente che sa tutto del basket-mercato e che considera normale dare 20mila euro l'anno a dopolavoristi che si esibiscono davanti a sedie vuote, gente che deride il passato perché non non ha futuro: tutta gente che abbiamo incrociato negli ultimi mesi in varie realtà e in varie squadre, con il tratto comune di non avere una visione generale del basket. Più concreto trafficare con i cartellini o scambiarsi fatture, in fondo cosa ce ne importa dell'entusiasmo della gente? Una volta che hai trovato lo scemo che caccia i soldi questo entusiasmo è un fastidio.
Lo stesso fastidio con cui molti addetti ai lavori del basket stanno giudicando il ritorno di Peterson, senza nemmeno bisogno di leggere fra le righe. Si va dal cronachistico 'E' vecchio' allo scherno puro, passando per la ovvia realtà del traghettatore senza prospettive. Probabilmente c'è chi preferisce fare ragionamenti astrusi su comunitari e passaportati che parlare di basket, di sicuro c'è paura che la gente normale possa entrare nella parrocchietta. Senza un progetto non si va da nessuna parte, ma soprattutto la gente non si affeziona a ragazzi con contratti di due mesi. La stessa Olimpia ha rischiato più volte di fallire, finendo in mano a personaggi improbabili (la coppia Caputo-Joe Bryant quella più di culto) e venendo salvata nel momento più buio (2002) dal vituperato Giorgio Corbelli: mestierante dell'imprenditoria sportiva in negativo ma anche in positivo, avendo una chiara nozione di quanto costi il basket e di quanto sia difficile proporlo in una grande città.
Il presidente Proli si è assunto la paternità della decisione, che come spirito però ci sembra più da Giorgio Armani: un proprietario che si è lamentato spesso per la freddezza del pubblico e mai per il livello (fra l'altro scadente, in rapporto al materiale umano a disposizione) del gioco di Bucchi. Uno che di basket non capisce niente, Armani, come dicono quelli della parrocchietta dandosi di gomito (loro sì che capivano le strategie dei Martinelli e degli Amodio), ha alla fine fatto la scelta più di basket che fosse possibile fare. Grazie Oscar Eleni, che ieri come altre volte ci hai emozionato, perché ci hai dato una scossa. Grazie Armani perchè pensi in grande, chi non tifa Olimpia non tiferà mai Olimpia ma questo colpo ha rimesso in circolo il sangue di molti. Non è tornato un vecchio coach, è tornata un'idea.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
15 commenti:
l'ultima frase " è tornata un'idea" spiega meglio di altre mille parole perchè a molti nell'ambiente può dare fastidio il ritorno del coach. Non c'è cosa peggiore per i mediocri della forza di un'idea che loro non hanno mai avuto nè mai potrebbero avere.
A me, che ho incominciato a tifare Olimpia ai tempi della finale persa con Casertadel '91 (e ho detto tutto)e che quindi non ho potuto seguire "gli anni d'oro dell'olimpia di Peterson" perchè troppo piccolo, l'idea di rivederlo in panca domani sera (tra l'altro proprio contro Caserta)mi emoziona, e questo mi basta.
Stefano, da stampare e incorniciare, anzi attaccare fuori dai muri dei palazzetti (li chiamo ancora così), da dove peraltro verrebbero staccati da tutti gli amanti della modernità a tutti i costi, quelli con l'agente in - scusami il francesismo - speed-dial. Sottoscrivo al cento per cento, avendo oltretutto assistito dolorosamente al declino di questo basket in un ambiente che non si faceva mai certe domande, perché troppo preso dalla frenesia di sapere chi fosse il prossimo finto bulgaro o macedone con twang nella voce, benedicendo la Bosman che dava modo di scrivere pezzi di mercato su giocatori che un giorno ci sono, il giorno dopo non più, manovrati dai loro agenti per quella percentualina, un tempo proibita dalla minore libertà di movimento. Almeno ai "nostri" tempi era - o meglio sembrava - una cosa più pulita.
Lo scrivo anche qua: mi ha emozionato, nonostante sia tifoso di Varese. E' come se si fosse staccato da una foto in sede per tormare in panchina a ridare mordente ed anima ad una squadra che in fondo, della Sua, ha solo il nome. E' una atto d'amore straordinario (chi glielo fa fare, alla sua età e con il suo palmarés?), una vera storia sportiva d'altri tempi. Ho ancora negli occhi la disgraziata semifinale del '79, sconfitta inattesa all'andata, ritorno a Milano e Gergati che va a a segnare il canestro decisivo dell'uno pari al Palazzone. Esco sfottendo il mio socio di stadio dal quale però siamo divisi dal tifo del basket convinto che la bella sia cosa fatta e invece Dan pochi giorni dopo a Masnago si ripete e ci fa secchi. La Stella, quando io già pregustavo la doppietta con quell'Altra, quella calcistica, arrivata proprio quell'anno dopo anni di stenti, sarebbe arrivata lustri dopo. Alla fine non vinsero, e mi spiacque perchè in finale c'era la per me più detestata Bologna: ma mi sarebbero rifatti pochi anni dopo
concordo pienamente e applaudo.
solo una precisazione, visto che sono uno di quelli del: ci vuole un regista... in effetti il problema non è che finley sia scarso (perché non lo è), solamente quando si costruisce una squadra i giocatori bisogna incastrarli in base alle caratteristiche. come diceva tavcar nel suo blog qualche giorno fa bisogna sempre che sia chiaro chi beve e chi paga da bere, e a milano non lo era. non so se cambiando coach si andrà meglio o peggio, però bucchi non lo reggevo proprio più.
Bellissimo articolo, direttore. Forse perché ho la tua età, forse perché per l'olimpia ho tifato per anni, e adesso non tifo più nemmeno per il brindisi, visto che le squadre attuali mi emozionano come una colica renale.
buon anno!
Pezzo notevole.
A mezzodì,col riso cantonese tra i denti,ridevo delle due pagine sulla Rosea e lo spazio "abnorme" dedicato dagli altri quotidiani.
Evito dietrologie sociali su un settantacinquenne come ricetta della rinascita meneghina:può accadere solamente in un paese postumo.
Il problema non è del Nano Ghiacciato,ma dello scenario improbabile del baloncesto tricolore.
Peterson si ritirò all'apice,non solo suo ma dell'intero movimento:nel 1987 il basket italiano era la Spaghetti League.
Il meglio in Europa con tre Vigorelli di vantaggio sulla concorrenza.
Oggi,agonisticamente,sembra la copia del campionato israeliano.
Con la Montepaschi,meritatamente, nella parte del Maccabi.
Si è scritto troppe volte di questa decadenza e si rischia di apparire patetici e passatisti;però ciò che si vede è raggelante.
Fatta eccezione per Siena,che quest'anno potrebbe(finalmente)avere una chance continentale robusta,il resto è invedibile.
Chi segue lo sport per appagamento estetico(..),senza l'ingombro virale del tifo,non può sorbirsi questa realtà depauperata.
Appunto,il sottoscritto al Palazzone era felice e non riesce nemmeno a simulare una parvenza di entusiasmo per la Lega Clinto d'oggidì.
Il mondo è cambiato,abbiamo Nba ed Eurolega a disposizione:mercoledì,per Olimpia-Juvecaserta,oltre a Big Little Dan tornano anche D'Antoni,Meneghin,Bariviera,Carr,Oscar,Carraro,Generali e Davis?
P.s.
Strepitoso il bentornato di Bianchini al guru di Evanston..
P.p.s.
"Temo" anche per Boscia a Roma..
Splendido articolo.
Primo paragrafo da standing ovation.
Unico appunto: "Finley bravissimo giocatore". Finley? Bravissimo?
Direttore un pezzo che tocca il cuore e che fotografa molto bene la realtà italiana in molti settori.
Pensando a Dan che si rimette ad allenare mi è venuta alla mente la sorpresa di magic sull'atteggiamento delle giovini star verso i vecchi quando è tornato ad allenare.
Io stasera non potrò essere al palazzo per motivi vari ma me lo vedrò e spererò di vedere un po di animus pugnandi nei giocatori e la voglia di giocare bene per se stessi
Leggevo sulla stampa che Dan è stato chiamato mentre andava all'ENPALS (a prendere la pensione?)
La bellezza ed insieme il ridicolo di questa storia è tutto qui: un vecchio pensionato che viene chiamato a risollevare le sorti del basket italiano. Che è messo così male che l'operazione sta riuscendo.
Rivedrò con piacere Milano e il basket dopo anni di digiuno autoimposto, sono molto d'accordo con i sentimenti del Direttore e mi tengo il "ma" per me.
D'altronde, dopo due anni che seguo questo blog e l'esperimento intermedio, ho lasciato il mio primo commento solo a questa notizia e magari penso che sono tante piccole cose a fare la differenza
Forse il tempo deforma i ricordi, ma nella mia infanzia (fine anni 70) avevo capito da solo che il basket era il secondo sport in Italia dopo il calcio. Non occorreva che qualcuno lo facesse notare: era una cosa lampante. Ricordo a fine anni '70 dirette pomeridiane Rai di partite infrasettimanali di A2!! Ampio spazio nei notiziari, sui giornali, ecc... partite di Coppa Korac in diretta... Ditemi che queste cose non me le sono sognate.
C'erano quindi tutti i presupposti affinchè le cose andassero poi in modo diverso da come sono andate nei decenni seguenti... o sbaglio?
ecco se dan peterson .... mi venisse sotto il naso e mi dicesse tu prendi i rimbalzi ... ecco ... io forse cercherei di saltare pià di 2mm di elevazione che mi rimane
Daniele, no non hai sognato, però è un problema più generale del rapporto sport-tv.
Pensavo l'altro giorno ai capodanni nei quali a tenerci compagnia durante i pranzi in famiglia c'erano prima l'immancabile concerto di capodanno (quello vero), poi la tappa di Garmish della 4trampolini...
Negli anni 70 e 80 la Rai dava una straordinaria copertura degli Eventi (con la E maiuscola) sportivi.
Da anni ormai invece la Rai è ridotta a calcio e F1... E tutto lo sport secondo me ne ha risentito, non solo il basket...
grande coach!
si grande ho visto una squadra viva che si passa la palla e che difende ma come fa lui tutto il tempo in piedi ? cavolo ...
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