di Oscar Eleni
Il riposo attivo di Formentera, Pianigiani indeciso, Mozgov ripescato, Belinelli portatore di palla azzurro. Niente voti per Jaric, Peterson, Trinchieri, Ray, Washington, Atripaldi, Repesa, Diener, Recalcati, Thomas, Vitucci, Ford, Rivers, Ramagli, Sacchetti e Pecherov...
Oscar Eleni dalla Collina delle Croci, nella contea lituana di Siauliai dove l’Italia gocherà dal 31 agosto le sue carte per un posto a Londra 2012, giochi olimpici lasciati al sole di Atene e Sydney, sfidando Serbia, Germania, Lettonia, la più vicina al borgo di Siauliu Apskritis, Francia e Israele. Per qualcuno pesca fortunata, per altri girone di ferro. Dipende dalle croci che ti porti dietro, da quelle che hai in squadra se il tuo pivot è lunatico e pericoloso per il gruppo. Dipende da troppe cose perché il destino di molte squadre lo deciderà il nume tutelare che garantisce ai giocatori NBA di starsene a Formentera: secondo Santi Puglisi questo è il buen retiro per tutti i cestisti che non hanno voglia di farsi un mazzo tanto, insomma in vacanza attiva come non direbbero Cuzzolin e Bargnani che ci danno dentro davvero nei mesi senza agonismo, piuttosto che rischiare problemi intestinali, digestivi, per cibo e compagni strani che pensano di essere bravi come te che sei stato tritato nel sistema Stern.
Insomma diamo tempo a Simone Pianigiani di studiare un po’ la parte adesso che sembra indeciso fra il rigore messiniano, dopo aver sbattuto sull’ultima paratia stagna del Real quando sembrava che la casa blanca fosse allagata, e la voglia di farsi odiare alla Mourinho visto che adesso quando vince in campionato replica che sono risposte a chi aveva trattato male i campioni in coppa. A noi va bene e avanza il piccolo principe della Lupa con la sua giovanile arroganza, la sua meravigliosa modestia immodesta. Non abbiamo letto da nessuno parte critiche vere al Montepaschi. Sfiga, sì, sulla sfiga che ci vede sempre benissimo con Siena europea, hanno duellato un po’ tutti, ma la verità è che se giovedì, davanti ai 18.000 del popolo Partizan non ci sarà la grande prova ci troveremo con l’Italia alla finestra, ancora una volta, nell’Eurolega che ci tratta sempre come terzo mondo del sistema anche perché se gli altri fanno incassi, hanno entusiasmo, da noi si scivola sul bagattismo precoce, dovendo già sopportare l’eclisse dei sensi seguendo le filastrocche di Sky.
Dicevamo della NBA e se una mattina ti svegli con un Gallinari che ne segna 29 a Detroit, poi scopri che il “perfido” D’Antoni ha ritrovato in panchina quello che era il gigantesco prospetto russo Mozgov. Dopo tante partite di non entrato per scelta tecnica, cosa che capita anche a Pekovic e Splitter, il biondone ha giocato 40 minuti, segnando 23 punti, restando in campo, dicono dalla Mela Grande, anche dopo i primi 4 minuti di nefandezze. Ispirazione dantoniana e ne siamo felici.
Togliamo quindi dalla collina lituana, per un giorno, la croce Knicks, ma restano tutte le altre e ogni squadra di serie A ha le sue da lucidare, sostenere, abbattere, bruciare come fanno i razzisti. Noi abbiamo individuato le croci che poi Pianigiani andrà a visitare con il suo staff se deciderà davvero di scegliere Belinelli come portatore di palla liberandosi dall’angoscia che l’Italia, come dice giustamente Velenino Costa sul Carlen, oltre ad essere un paese per vecchi è anche un paese che non riesce a creare più un vero regista, uno che vada oltre la sincope del pick and roll: palla parallela al terreno che viaggia veloce e arriva nelle mani del giocatore libero più vicino. Semplice arte del giocare insieme o roba del genere come direbbe Antonio Tritto allenatore che fa volare quello che resta della gloria di Desio, il mio caro capo sala nella clinica dove hanno provato un reastauro sull’orso, a proposito il simbolo di Siauliu Apskritis è proprio un orso, e dove per sedarmi mi permettevano di vedere Siena o Sato con il Pana, quasi mai Milano, assolutamente vietata Roma.
Dunque collina delle croci. Vediamo chi le ha portate e chi le ha bruciate.
SIENA: la croce di oggi è sapere se Jaric arriverà in tempo a dare un mano. L’altra è Michelori che soffre interiormente e non vuole pensarci perché sarebbe peggio.
MILANO: la croce nuova è il Peterson figlio di maga maghella, il nano che vede oltre la collina dei Pecherov e dei Greer, che riesce a cambiare la vita ai Melli o ai Ganeto, convincendo Mordente e Rocca che si può navigare guardando le stelle e non le lavagne, senza pensare ai contratti in scadenza, ai Messina in arrivo, a quello che fa dell’Armani la bella rospizzabile.
CANTU’: la croce è trovarsi così in alto avendo peccato così spesso. Quando tutto sarà a posto attenti a questi lupi di Custer Trinchieri.
MONTEGRANARO: la croce è sicuramente la presunzione di Allan Ray, ma è croce nazionale anche sapere perché Ford vive questa delizia di società e non salta per chi ha sogni europei. Lasciamo perdere il divorzio dalla Virtus.
BOLOGNA: la croce era ed è l’incompletezza della formazione, questo navigare a vista sentendosi la vera Virtus e sapendo di non poterlo essere per troppi motivi.
AVELLINO: si chiama croce quella ti senti addosso il giorno in cui trovi gente per fare un bel gruppo, fai miracoli e ti trovi sempre in coda alla Caritas dei canestri.
PESARO: infortuni incrociati, passioni incrociate, bestemmie incrociate con il gioco e l’anima.
CASERTA: la croce è sul tavolo dove gli americani non trovano la loro pepper cola per tutte le partite anche se, rispetto all’inizio, adesso sembrano persino felici.
ROMA: croce di Washington, croce immensa sull’anima di chi non suda neppure per fare la doccia, su chi vorrebbe parlar male persino di Tanjevic perché in quella società il gioco preferito è far appare come cojoni quelli che ne sanno molto più di te.
BIELLA: Si mette in croce da sola anche se fra volate vinte e perse siamo sicuri che nel rosario di Atripaldi c’è anche una madonna nera.
TREVISO: la croce è nella stessa gioventù che si vorebbe esaltare. Repesa che rischia per tutti viene trattato come l’orco che strangola i bambini nella culla anche se ti guardano con la faccia furba di Motiejunas e Gentile. Siamo alle comiche critiche.
SASSARI: la vera croce è non avere il vero Diener per almeno tre settimane di fila. Per ora bastano e avanzano i pesci che moltiplica con Meo Sacchetti in lizza per essere allenatore dell’anni insieme a Vitucci.
CREMONA: la croce è tutta nella resistenza che manca quando c’è da ritirare il bel lavoro di un allenatore di talento.
BRINDISI: il peccato originale sono le troppe croci su uomini che sembrano incatenati a vecchi copioni: non capiscono la parte e il ruolo della città e della passione che hanno intorno.
VARESE: la croce di Recalcati è non trovare sempre le stesse motivazioni in gioocatori che dovrebbero baciare la terra dove si trovano perché niente, nel basket italiano, si vive come nel consorzio varesino.
TERAMO: una croce luminosa perché nessuno mollerà la presa prima che suoni l’ultimo gong come succede alle società dove le annate nere restano comunque annate istruttive.
Da questo luogo sacro non hai più voglia di fare pagelle, ma se vi interessa diciamo che Thomas, Vitucci, Ford, Rivers, Ramagli, Sacchetti sono i cocchi nostri della parte alta, mentre al rogo mandiamo Peterson e Pecherov, Varese che scalcia in direzione sbagliata, i tiratori che pretendono l’ultima boccia e se la tirano in faccia.
Oscar Eleni
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