Due righe che può scrivere chiunque

di Roberto Gotta
Con tante scuse a chi questi discorsi li sente ormai da più di 15 anni, mi ritrovo ora, al termine della trasferta probabilmente più esaltante e più faticosa delle 17 che ho fatto al Super Bowl dal 1988 ad oggi, a riprendere concetti di fine secolo scorso per approfondire quanto emerso nei giorni passati.
Giorni in cui ho trascorso una quantità di tempo insana al computer ma ho prodotto pochissima scrittura ad uso esterno, dedicandomi piuttosto alla trasmissione su Twitter di decine, forse centinaia, di messaggi con e senza fotografie allegate. Che sono piaciuti, pare molto. Il primo punto è questo, e da esso discende tutto il resto: raramente si è trattato di foto "esclusive", foto cioé che con un'accurata ricerca non sarebbe stato possibile trovare altrove. Ma quel che, credo, ha fatto la differenza non era la loro qualità artistica, spesso invisibile, né la documentazione di momenti rari: era che le avevo fatte io, cioé una persona con nome e cognome precisi, e che alle poche decine di Twitterers (?) che le hanno viste è dunque parso di ricevere qualcosa di prezioso, con un filo diretto tra l'Italia e Dallas. Non ci vuole un artista o un genio a fotografare Tramon Williams con indosso due cappellini uno sopra l'altro, per il freddo, o a riferire per iscritto la scena. Ma quando lo fa una persona fisicamente identificabile l'esperienza neutra diventa esperienza viva, e si trasfigura nella banale verifica del freddo cane che faceva in quei giorni.
E dunque vado ad una quindicina di anni fa, quando il web divenne parte abituale della vita e nacque in molti - specialmente amministratori, direttori editoriali e direttori - l'idea che i giornali, da quel momento in poi, non avrebbero avuto più la necessità di mandare inviati in giro per il mondo,
perché l'informazione era già accessibile via web; e dunque sarebbe arrivata semmai l'era del commento, più che del reportage. Io espressi subito parere contrario a questa mentalità. La mia idea era questa: se la medesima notizia è accessibile a tutti, se non è più importante essere i primi a sapere com'è finita Kansas City-Oakland perché puoi avere le statistiche in tempo reale e leggere il tabellino dieci minuti dopo la fine della partita, se - ci volle qualche anno, però, con l'arrivo del video in streaming - non fa più la differenza avere visto la gara stessa perché la può vedere chiunque, se dunque il fatto in sé (statistiche, tabellini, svolgimento della partita) è accessibile a tutti, diventa non inutile ma ANCORA PIU' IMPORTANTE avere qualcuno in loco. Perché a parità di informazioni neutre e fredde, la differenza la possono fare l'occhio, la testa, il cervello di chi è lì e coglie una quantità di sfumature che nessuno altro può carpire. Ricordo che tormentai parecchie persone, del tutto disinteressate a questi concetti, proprio su questo punto: nonostante l'esperienza dica diversamente, anche un deficiente, se è ad un avvenimento sportivo, può notare piccole cose che sfuggono a chi è a casa. E allora i media, a mio avviso, avrebbero dovuto accentuare il loro impegno di copertura di un evento: prima, se avevi accesso ad una trasmissione in bassa frequenza (o con una parabole mobile, in epoca di feed non criptati) di una partita invisibile al grande pubblico potevi teoricamente anche startene a casa e scrivevi quel che nessun altro vedeva. Ora, anche Sporting Cristal-José Galvez puoi vederla sul web, e che senso ha fermarsi al risultato o a due righe di commento che potrebbe fare qualsiasi lettore? Perché mai - e succede MOLTO spesso nelle sale stampa degli stadi italiani, anche a causa del dominio delle televisioni sugli altri media - riportare su un giornale le parole di un allenatore ai microfoni di Sky nel dopopartita, quando una percentuale alta di lettori le avrà sentite in diretta?
La mia idea era, e resta, questa: grazie al web i fatti sono noti e dunque diventa PIU' IMPORTANTE, non inutile, avere una presenza sul posto. Meglio se competente, ovvio. Una presenza che ti porti in casa qualcosa di saggio, di approfondito, semplicemente di diverso. Vivere l'esperienza dal vivo dà solo vantaggi, anche se è costoso e dunque si scontra con le risorse a disposizione dei media, specialmente della carta stampata (che dà poi però 3000 euro ad articolo ai prìncipi della banalità ben scritta, ma questo è altro discorso): dai qualcosa di tuo, di unico al lettore, che la partita l'ha vista come te e forse meglio, avendo a disposizione replay. E' il motivo per cui, nonostante la crescente noia (sì, noia) di una manifestazione enormemente sopravvalutata, ho continuato ad andare alla Final Four NCAA pur avendo un posto a sedere a decine di metri dal campo e senza monitor per i replay: la partita la vedevo senz'altro peggio di qualunque spettatore italiano, ma ero già lì al giovedì sera, il venerdì mattina seguivo la premiazione del Giocatore dell'anno e potevo parlargli e subito dopo l'allenamento pubblico delle squadre, inutile dal punto di vista tattico ma accessoriato della possibilità di un colloquio con i giocatori; il sabato si poteva parlare con vincitori e sconfitti, la domenica con i finalisti, il lunedì con chiunque, avendo un po' di pazienza. Ed era quella miscela di dialoghi personali e aneddoti raccolti con le orecchie aperte e gli occhi attenti a fare la differenza, non la partita in sé.
E allora - ma questo concetto lo riprenderò in un altro ragionamento - ecco che avere una persona in loco vuol dire produrre contenuti giornalistici unici, che piacciano o meno,
e sfuggire alla logica dei pezzi-fotocopia che specialmente nelle occasioni delle grandi manifestazioni sportive americane sono atrocemente diffusi, nell'indifferenza di capiredattori e direttori unicamente intenti a non scontentare chi fa i conti e non comprende, totalmente cieco com'è alla qualità, che il risparmio di oggi, il pezzo fatto fare dal ventenne che va in estasi al solo pensiero di poter dire "ho fatto un pezzo sul Super Bowl" (quando si ricorda di scriverlo staccato) in cui generalmente butta dentro tutti i cliché possibili, si traduce nei fenomeni visibili giorno dopo giorno: la disaffezione del lettore meno rozzo, la produzione di articoli tutti uguali, che anche il lettore stesso potrebbe comporre con un po' di studio, la crescente sicurezza nelle proprie tesi di chi, nell'era moderna, sostiene che ormai a distinguere chi genera informazione e chi la consuma sia solo uno status spesso predeterminato da contratti e privilegi, piuttosto che la messa in pratica, in loco e con i meccanismi razionali giusti, di una competenza maturata nel tempo. La barca affonda, l'orchestrina suona sempre le stesse note, in fotocopia sbiadita.

Roberto Gotta
(per gentile concessione dell'autore, fonte: Vecchio 23)

12 commenti:

Stefano ha detto...

Totalmente in disaccordo.
Meglio pagare 5 euro un pezzo che spenderne 2000 per mandare qualcuno dall'altro lato del mondo.
I 1995 euro di differenza non giustificano il costo. Così è. L'articolista se ne faccia una ragione.

Bella, Gotta ;-)

Anassagora ha detto...

Roberto, tutto bello tutto giusto... sono perfettamente d'accordo con te..

certo che io, però, volevo anche il tuo commento sul super Bowl (veramente lo volevo anche sui Bowl di fine dicembre/gennaio)

K

VVVVVVVVVVVVVVVV ha detto...

Anch'io sono d'accordo con Roberto, ma anche con Andrea perché mi sono mancati molto i tuoi commenti, quelli dell'ESPN sono sul posto ma io preferisco sentire qualcosa in italiano. Pazienza per i miei Steelers, ma si vedeva che i Packers erano lanciati, certo che se avessimo vinto con tre turn-over di svantaggio sarebbe stata leggenda!

Italo Muti ha detto...

@BobtheOne

Concordo, la tendenza al copia-incolla e al minor costo, porta alla lunga anche alla disfatta economica.
La differenza qualitativa la fanno i dettagli.
Mi unisco al coro indiscreto, un vero peccato che tu non abbia potuto commentare il Super Bowl, lo capivo anch'io.

Italo

Roberto Gotta ha detto...

@andrea, @lizardking66: vi ringrazio, ma non mi sono divertito molto a non fare il commento, né è divertente essere al secondo lavoro specializzato consecutivo in 18 mesi senza avere praticamente preso nulla di quanto pattuito nel contratto. Sui bowl non posso commentare nulla perché non ho avuto tempo di vederli con attenzione. E sarei patetico se commentassi qualcosa senza averlo visto con la cura necessaria, mi capirete...

Roberto Gotta ha detto...

@italo: stante la situazione televisiva, ho preferito IO - dunque nessuna colpa di nessun altro - andare là e vivere l'esperienza CERTAMENTE al restare qui e FORSE fare la telecronaca, visto che solo a pochi giorni dalla partita si è avuta la garanzia della messa in onda. Tutto qui.

VVVVVVVVVVVVVVVV ha detto...

Beh allora non mi resta che riesumare il mio account di Twitter che però non mi piace molto.

Dane ha detto...

Curioso leggere questo pezzo dopo che eiri sera ero a San Siro dove si rincorrevano strane voci sul ritardo del Milan e non si capiva niente!... :-D
A parte le battute sono generalmente d'accordo col punto di vista di Gotta, anche se dipende da caso e caso: è chiaro che se la trasferta con intervista al protagonista è paragonata al pezzo fatto scrivere allo stagista che si documenta su Wikipedia non c'è confronto, però va detto che spesso le tarsferte (soprattutto quando riguardano arrivo e partenza in un giorno giusto per fare solo la telecronaca, sono ridicole.
A me ad esempio fa ridere quando sento i telecronisti dire ai collegati in studio "a noi dalla tribuna stampa è sembrato rigore", la prima volta che sono entrato in tribuna stampa mi son sentito preso per il culo: ma "a noi dalla tribuna stampa" cosa, che non si vede una cippa?!
Adesso a San Siro la stampa è addirittura al secondo anello e continuano a dire "a noi da qua è sembrato rigore"..... :-o

Paolo S ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Paolo S ha detto...
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Paolo S ha detto...

Roberto, arrivo in ritardo - settimana difficile - ma solo per condividere tutto quanto hai scritto.
E' verissimo che l'inviato sul posto può offrire chiavi di lettura e da dietro le quinte che sfuggono totalmente o quasi a chi sta in studio o a casa. Poi più l'evento è grande più esiste questa necessità. Percepire, apprezzare un evento attraverso gli occhi competenti e la capacità comunicativa di un professionista non ha prezzo. Il problema nasce semmai quando gli inviati sembra siano andati a fare (magari pigramente) il compitino. Tanto per dire, a mio parere ai mondiali sudafricani abbiamo (anche) ascoltato una marea di ovvietà e incredibili generalizzazioni, a volte disegnando un paese a piacimento, pure da parte di persone che avrebbero pure andi capacità di analisi.
Ho seguito i mondiali (anche) su BBC e vedere un loro inviato insieme ad Alan Shearer (Alan Shearer!) in giro per il paese a raccontare calcio e vita del Sudafrica in quel mese mi ha fatto capire quanto professionalità e volontà di poffrire qualcosa di non stereotipato e quanto possibile profondo fanno tuttora la differenza.
Vorrei condividere con te un mio pensiero su quella che ritengo una prova di quanto, tra gli addetti ai lavori, venga reputato l'inviato sul posto, prendendo spunto dalle trasmissioni tv domenicali nei dopopartita con le interviste agli allenatori. Ho l'impressione che in generale gli allenatori rispondano con maggior disponibilità all'inviato rispetto a chi sta in studio, come a dare autorevolezza all'interlocutore in lco rispetto a chi parla dallo studio. Come ritenessero, forse inconsciamente, che chi ha seguito la gara in tv o piuttosto a spezzoni non abbia la stessa autorevolezza nell'esprimere giudizi. E' solo una mia sensazione?

Roberto Gotta ha detto...

Paolo S, non so risponderti sulla questione degli allenatori al microfono dell'inviato piuttosto che alla domanda dallo studio, spero che sia perché ritengono che chi è lì la partita l'abbia vista tutta invece di pontificare su 8 partite in contemporanea come fa chi è in studio.
D'accordissimo, cento per cento, con te sul compitino che molti inviati fanno quando sono in trasferta: è spesso anche frutto delle circostanze loro imposte, delle abitudini e della pessima tendenza mentale a fare "mandria", come la chiamo io. Faccio un esempio personale, scusandomi per questo: quando seguo una manifestazione come freelance e magari vengo poi raggiunto sul posto da colleghi italiani che conosco (capita di rado perché ne conosco pochi e seguo eventi che non interessano a molti), la quantità di materiale che riesco a fare PRIMA di incontrarli è immensamente superiore a quella che faccio DOPO. Perché troppo spesso chi viaggia come inviato "ufficiale" o di lungo corso ha l'abitudine automatica della cena fuori al ristorante o di preoccuparsi di sapere il minimo indispensabile per fare le sue 60 righe, mentre io cerco di perdere meno tempo possibile per pasti o cose mie cercando invece di sfruttare il tempo per imparare altre cose. E se non ti unisci al gruppo "italiano" vieni etichettato come asociale... La mia mentalità è che quando sei in trasferta devi cercare di pensare meno possibile a te stesso e il più possibile a sfruttare l'opportunità unica di essere in quel luogo: il che può anche consistere nel mangiare fuori o (e lo faccio spesso) fare la spesa al supermercato per capire cosa mangia la gente normale, o vedere se hanno ideato nuove procedure di pagamento alle casse, tutta roba che prima non conoscevi e ora conosci. Quando sento - ed è successo anche di recente, tra l'altro si trattava di un amico caro per il quale ho totale stima - "per stasera abbiamo prenotato" [in un ristorante] rimango sempre perplesso, perché quando sono in trasferta l'ultima idea che mi passa per la testa è quella di pensare alla cena già al pomeriggio, figuriamoci al mattino, come era stato in quel caso. In generale io cerco di seguire più aspetti possibili relativi al mio lavoro o a quello che eventualmente potrebbe un giorno servirmi (un esempio è, durante un blitz a Houston anni fa, un salto al Rice Stadium giusto per vederlo... e ora che sto terminando
un libro sul football, del Rice Stadium posso dire due cose in più perché ci sono stato, invece di leggerne solo), e non di limitarmi al compitino; va anche detto che sono favorito dal fatto di non avere mai effettuato alcuna trasferta, spesata o da freelance, per quotidiani, e dunque di non avere mai avuto la limitazione delle 50-60 righe; ho potuto al contrario pensare a discorsi a più ampio raggio, sempre per il concetto "un giorno quel che vado a vedere potrebbe tornarmi utile".
Finisco ribadendo che spesso - e qui ribatto sul tasto solito - la responsabilità va, volenti o nolenti (cioé costretti anche loro a fare nozze con pochi fichi secchi) a capiredattori e direttori. Credo di avere già scritto che a Iran-Messico dei Mondiali 2006 un inviato di un quotidiano sportivo, seduto accanto a me, mi chiese con estrema cortesia un aiuto a seguire il primo tempo perché a 30' dal calcio d'inizio dalla redazione gli avevano chiesto un pezzo sul... Ghana, che 24 ore dopo, a 3/4 di Germania di distanza, avrebbe sfidato l'Italia. Questo poveraccio doveva parlare di una squadra che non conosceva e in contemporanea seguire Iran-Messico: certo non una super-partita, ma l'avevano mandato lì a seguirla e un motivo ci sarà stato... Mettiamo che questo inviato non abbia scritto un gran pezzo sul Ghana, per ovvi motivi: chi l'ha letto se l'è presa magari con lui, che invece non c'entrava nulla. Che poi alla fine alla maggioranza dei lettori non freghi nulla di leggere un bel pezzo sul Ghana, perché quel che conta è la loro squadra o sapere chi sarà il nuovo acquisto estivo, è altro, triste discorso...