di Oscar Eleni
L'amaro trionfo di Lardo, gli eliminati fra gli applausi, il regalo di Contador, il realismo di Repesa, il nuovo pensiero intorno a Peterson e la balconata di Trinchieri.
1. Oscar Eleni dal giardino del Maryland dove hanno scoperto come morivano certi personaggi passati alla storia per efferatezza o grandezza, dall'Ivan il Terribile intossicato dall’arsenico, alla orgogliosa Jane Austen che soffriva sintomi da mucca pazza, niente in confronto all’efferatezza dell’epilogo stagionale in casa Virtus dove Lino Lardo è stato portato in trionfo come quel generale che urlava lì no” e i festeggianti che lo impalavano credevano che volesse l’inno mentre lo buttavano dalla finestra di Praga. Amarezza nel vedere castigato un buon allenatore che ha fatto il massimo, ha battuto persino Siena, con il poco che aveva, e che si è sentito dire dai soliti noti che il suo gioco blindato toglieva fantasia, ali, a gente che, come sappiamo non è Danilovic, Rigaudeau, Ginobili o compagnia cantante nell’età dell’oro. Si può voler bene a Poeta più che ad Amoroso, ma, accidenti quel Winston che Roma ha persino rimpianto, che tipo di freni poteva avere. Non parliamo degli altri. Tutto doloroso il finale in quella che vorremmo fosse per sempre la capitale del basket e anche quelle due righette per ringraziare la passione autentica dell’ottantaduenne Bertocchi costretto a dimettersi quando ha visto che il sostituto di Lardo sarebbe stato il fortitudino Finelli. Lui credeva ancora nella seprazione delle sacre chiese, non è passato da Milano per avere consigli su come si trattano i Leonardo, ma di sicuro gli avrebbe fatto piacere conoscere il parere di chi ammira i creativi, ma soltanto se pensano al bene comune e non fanno confusione su tutto e non si vendicano del pubblico critico o infedele alzando i prezzi oltre la ragione del risentimento, non dicono io vendo ma, come suggerisce l’inviperito Gilberto Benetton io regalo senza debiti.
2. Siamo tornati in gioco su questo sito dopo aver lasciato fermare bene le bocce degli ottavi di finale che ci hanno detto una cosa abbastanza nuova: chi ha perduto, ma si è battuto, è uscito fra gli applausi a Varese, Avellino, Sassari la bellissima che con tre stipendi Armani farebbe un’intera stagione. Unica eccezione Bologna: lacrime e abbracci per tutti il giorno in cui Siena ha voluto verificare cosa vuol dire servire la causa comune e semplificare certe scelte interne; il ritorno al grande freddo con licenziamento già in mano al pony-express travestito da ciuco mangiaerba molto prima della sconfitta.
3. Bocce ferme e vita beata da sostenitore dello sport come unico spettacolo che non ha mai lo stesso finale, da grande innamorato di una professione che devi benedire, alla faccia dei geniali scriba delle testate che non la bevono quasi mai, ma che da Torino a Napoli ne sanno una più del diavolo, se ti regala giornate come le ultime quattro al Giro d’Italia, dove Contador non ha convinto i soliti cinici che allo sport chiedono visibilità, pronti a sputare su tutto, ma non lo capiscono davvero se capita una tappa come quella dove il re lascia libertà di culto e di gioia ad un ulivo secolare come Tiralongo; gente che stanga l’immenso sir Alex Ferguson, che nell’anima è scottish, nel viso è chiantigiano, nella professione un guru senza fine, per non aver trovato le contromosse contro il super Barca di Guardiola, ma poi sono gli stessi che dopo essersi genuflessi davanti al triplete di Mourinho aspettavano di vedere il perfido cadere in Castiglia per dirgli che il suo gioco era costruito per avvelenare l’acqua dove si specchiavano i blaugrana o il Bayern.
4. Ci siamo trattenuti, ma ora è il tempo. Semifinali. Una scritta fra Siena e Treviso, anche se Repesa dice che vorrebbe l’Europa, che spera, ma sa benissimo anche lui come stanno le cose. Se gli andrà bene sarà un 3-1, ma potrebbe essere un dolorso 3-0, quasi impossibile che si arrivi al 3-2. Noi crediamo in Gelsomino, ma dobbiamo riconoscere che dall’altra parte non hanno lavorato invano per essere quelli che sono: imbattibili, almeno in Italia.
5. Diverso il faccia a faccia fra Cantù e Milano con il Pianella come montagna sacra da scalare se si arrivasse, come potrebbe essere, alla bella nella quinta partita. Allenatori diversi, uomini diversi che stranamente hanno assistenti nati nella generazione dell’avversario. Trinchieri ha i suoi giovani apprendisti, ma la fonte dell’ispirazione è il Bruno Arrigoni che da Milano scivolò via per seguire Gamba e poi il suo destino. Peterson si fida ciecamente del nuovo pensiero che ruota intorno al sole e al cielo di Sky e dei suoi adoratori, di Valli e Fioretti, fratello di uno degli assistenti canturini, anche se nei minuti di sospensione quelli danno l’impressione di essere badanti nei confronti di un maestro che godendosi la felicità si è dimenticato che ai tempi belli lui, come gli americani, D’Antoni in testa, non capiva davvero tutti quegli abbracci con gli avversari prima di una partita. Adesso, invece, sembra che sia lui a cercare fraternità in ogni angolo del campo e del palazzo. Certo questa sfida generazionale sarà curiosa e così l’abbiamo presentata ai lettori della Provincia di Como che ci ospita nei giorni in cui al Giornale lo spazio diventa tiranno, quasi sempre, nonostante gli sforzi di chi guida pagine sportive che hanno dato tanto nei giorni in cui era prestigioso avere autorevolezza.
6. Capricorno contro Leone. Il vecchio Peterson, nato in gennaio del 1936, nel giorno dell’ambizione, il giovane Trinchieri venuto al mondo in agosto nel giorno degli avvenimenti unici. Generazioni a confronto adesso che non ci sono più foglie per nascondere la paura. Peterson c’era ai tempi in cui Milano e Cantù dominavano la scena. Trinchieri guardava dalla balconata del Palalido i suoi idoli. Il nano ghiacciato c’è anche oggi, ma senza la magia di quei giorni splendidi. Trinchieri viene pagato per guidare giocatori di scuole differenti da quelle che produssero Marzorati, Meneghin, Riva, D’Antoni, McAdoo, Lienhard, Recalcati, Della Fiori, il padre di Gallinari o i Boselli. Non vi diciamo che era meglio prima perché siamo sempre in una semifinale, anche se tutti vi dicono che i padroni stanno altrove e si gioca, al massimo, per il secondo posto. Vi sembra poco? Secondo posto vuol dire Europa e rimorso per chi non ha mai costruito un europalazzo, secondi dietro questo Barcellona dei canestri italiani significa davvero tanto, ma è ancora presto per guardare lassù o laggiù. Ehi gente, questa è la sfida attesa da un anno, un pizzicotto al Lombardia, due strane recite in campionato, il mancato faccia a faccia, per colpa dell’Armani, a Torino, in coppa Italia. Adesso non è più tempo di vestiti bianchi, servono quelli per “uccidere” le partite. Peterson e la sua tenacia, risolutezza, anche adesso che sembra un nonno con nipotini discoli. Trinchieri e il suo originale romanticismo spericolato, antisociale alla Andy Warhol. Il primo dice che essere maturi non significa dimenticare di saper giocare, l’altro che ammonisce: è l’imprevisto che accade. Buona semifinale a tutti. Rispetto, sofferenza, divertimento.
Oscar Eleni
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