di Antonio Cacopardi
Coloro che organizzano il Giro d’Italia, e che ne gestiscono il quotidiano dipanarsi lungo le strade di quel bellissimo e schifoso paese che è l’Italia, non sono dilettanti. Sono, soprattutto, fortunati.
Se, infatti, il povero Wouter Weylandt, invece di cadere nella terza tappa, quella da Reggio Emilia a Rapallo, fosse caduto nella quinta, che ha portato il gruppo da Piombino ad Orvieto attraverso una delle più belle zone di campagna che resta in questo paese, gli organizzatori avrebbero meritato una metaforica impiccagione sulla pubblica piazza. Invece, in quella maledetta discesa verso la costa ligure, la fatalità gli è venuta in soccorso prendendosi tutte le responsabilità. Gli ultimi 50 chilometri della tappa verso Orvieto sono stati non solo un insulto alla sicurezza e al valore della vita, ma anche e soprattutto un non senso tecnico-ciclistico di proporzioni bibliche.
Le strade bianche hanno il loro indiscutibile fascino e, se in pianura o in salita, certamente contribuiscono ad aumentare lo spettacolo, anche diversificandolo, e probabilmente rendono la corsa ancora più difficile e combattuta. Una discesa sullo sterrato, invece, non ha davvero nessun senso: in primo luogo, non lo ha in relazione alla sicurezza e al rispetto per il valore della vita. E se lo sfortunato Wouter sarà stato contento di vedere i suoi compagni ricordarlo in bicicletta il giorno dopo la sua scomparsa, poi sarà rimasto interdetto vedendo che la sua disavventura, in fondo, non era servita a creare in loro una maggior coscienza individuale riguardo al valore della vita e una maggior
coscienza collettiva riguardo alla capacità di saperlo difendere, questo valore.
In secondo luogo, sotto il profilo tecnico, una discesa sullo sterrato non serve a niente: la maggior parte del gruppo scende con i freni tirati e giusta cautela e i pochi che hanno il coraggio, o meglio l’incoscienza, di lanciarsi, finiscono inevitabilmente per cadere, sbandare, uscire di strada. E a valle, ammesso che ci arrivino, si ritrovano gomito a gomito con coloro che sono scesi più prudentemente. Quindi, niente distacchi, niente fughe, niente testa a testa. In poche parole, niente di rilevante ai fini della corsa e della competizione, e niente spettacolo. Certo, sempre che non si pensi che lo spettacolo siano le cadute e gli incidenti, come succedeva una volta in Formula 1, prima che Villeneuve, Senna, Peterson, Lauda, Regazzoni e altri non facessero capire che tanto belli da vedere gli incidenti forse non erano…
Detto questo, come non aggiungere che il dilettantismo degli organizzatori (la RCS, per i pochi che non lo sapessero, cioè in pratica la Gazzetta dello Sport), oltre che dei loro ossequianti servi, che sembrano ritenere gli venga fatto un favore a farli stare lì, tanto sono indecenti nel loro ignobile atteggiamento acritico, consistono anche e soprattutto nel fatto di non saper minimamente prevedere una struttura organizzativa adeguata alle situazioni che essi stessi creano. E’ incredibile, infatti, che sui tratti sterrati non siano previsti, dagli organizzatori e non dalle singole squadre, una serie di punti assistenza fissi (ad esempio ogni cinquecento metri) per eventuale cambio delle ruote bucate. E’ indecente che, allo stesso modo, non siano dislocati dei gruppi di medici e soccorritori specializzati in tratti di strada dove è più facile cadere che rimanere in piedi. E’ incredibile che non siano al seguito della corsa, in coda e in mezzo alla stessa, uomini che sappiano come comportarsi in caso di emergenza.
Chi ha seguito la tappa alla tv, infatti, avrà avuto modo di notare che, in occasione della caduta occorsa, fortunatamente in un tratto rettilineo, all’olandese Slagter una macchina si è fermata a non più di cinque metri dal corridore che giaceva a terra, sul lato opposto della corsia però. Così, invece di offrire protezione, ha creato una sorta di imbuto che indirizzava tutti coloro che sopraggiungevano, auto o biciclette che fossero, proprio addosso al corridore caduto. Come nessuno gli sia passato sopra, ancora non riesco a capirlo…In più, colui che, non so se addetto dell’organizzazione, uomo di qualche squadra o semplice tifoso, si premurava di segnalare il pericolo con ripetuti ed ampi gesti della braccia, è rimasto praticamente attaccato al luogo in cui si stavano prestando i primi soccorsi allo sfortunato corridore quando invece, come ci insegnano a scuola guida, i segnali di pericolo e di rallentamento vanno fatti almeno centro metri prima del luogo in cui si trova il pericolo stesso. Poi li vedi lì, sul palco, in giacca e cravatta come manichini imbalsamati, con un linguaggio ancor più imbalsamato, a pavoneggiarsi e a sottolineare ripetutamente di essere “ovviamente” andati in delegazione alla Malpensa a ricevere la famiglia di Wouter (sempre chiamato per nome, come se non fosse già stato dimenticato dalla mitica 'carovana' a due giorni dalla morte)….. Come definirli, se non dilettanti e cialtroni?
Antonio Cacopardi
(in esclusiva per Indiscreto)
5 commenti:
Articolo magistrale. Purtroppo c'è poco da meravigliarsi, sapendo che tipo di gente lavori in quell'organizzazione....
D'accordo su quasi tutto, quasi perchè un conto è dire che l'organizzazione è ridicola e un conto è dire che lo sterrato in discesa non s'ha da fare. Mettiamoci d'accordo: o si rimpiange il ciclismo eroico coi tubolari sulla schiena o si chiede un meccanico ogni 500 (!!!) metri...
Ancora applausi per Indiscreto....
tutto verissimo
oltre alla mancanza di aderenza in discesa (e quindi impossibilità di tenere una traiettoria ottimale) va anche segnalato che le macchine e le moto che precedono i corridori alzano tanta di quella polvere che ne ostacola non poco la visuale..
Caro Cacopardi, sei decisamente più bravo a scrivere di ciclismo che di calcio. Avanti così.
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