di Roberto Gotta
Bordo campo al Ray Nitschke Field, ovvero il campo all’aperto dove si allenano i Green Bay Packers in estate e in qualsiasi momento le condizioni del tempo lo permettano. E’ uno dei primi giorni di agosto del 2010, e Dallas, con il suo Super Bowl XLV, è lontana nel tempo e nello spazio. Mike Dressler, coach della Horace Mann High School di Fond du Lac, nel Wisconsin, si gira verso due suoi giovanissimi assistenti, studenti appena diplomati, e sussurra loro qualcosa con tono vistosamente ammirato. La curiosità, per una volta, prevale sulla solita paralizzante timidezza, e chiedo.
La risposta è questa: «Stavo spiegando ai miei ragazzi come siano perfetti i movimenti della linea d’attacco. Guarda come si spostano: il primo passo lo fanno tutti identico e tutti con l’angolazione giusta. Sono proprio bene allenati, è come se ci fosse un’asta legata alle loro caviglie che li fa scivolare tutti assieme». Solo una delle mille particolarità che si possono apprendere seguendo l’unica strada eticamente percorribile in questo mondo del copia-traduci (male, spesso)-incolla: alzare il fondoschiena e muoversi – compatibilmente con i propri mezzi – verso i luoghi dove si costruisce quel che un giorno verrà esposto in pubblico. La sincronia e sintonia dei movimenti di una linea di attacco neppure troppo rinomata, e reduce da una stagione difficile, ad esempio: i Packers bloccano prevalentemente (ma non sempre) a zona, cioè teoricamente si muovono tutti assieme nel cercare di sospingere la linea difensiva avversaria nella medesima direzione, spesso accentuando ed esagerando il movimento iniziale della defensive line stessa, e aprire così un lato al running back, che a sua volta non dovrà spararsi subito nel varco ma dimostrare pazienza, leggere la situazione e poi effettuare un unico taglio dove ci sia più spazio. C’è chi insegna al portatore di palla a fare quel passo una yard oltre la linea di scrimmage, chi glielo consiglia non appena al di là delle due catene di uomini intravvede la prima maglia avversaria, ma sono le normali differenze di filosofia che dividono un coach dall’altro senza per questo creare gerarchie di competenza. Quel giorno di agosto, dietro alla linea ammirata da coach Dressel non c’era nessuno in grado di analizzare lo sviluppo dei blocchi, anzi non c’era proprio nessuno in assoluto oltre all’offensive line coach James Campen, l’ex centro proprio di Saints e Packers che effettuò a suo tempo lo snap per la prima azione di Brett Favre da Qb di Green Bay: era uno dei tanti esercizi per reparto che rendono il training camp noioso per i non appassionati e favolosamente educativo e trascinante per chi ama il football, ed era proprio il motivo per cui ero lì e non avrei voluto essere in alcun altro luogo della Terra.
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(Inizio del secondo capitolo di Football & Texas, autore Roberto Gotta, editore Indiscreto: in vendita sul web e in libreria)
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