di Stefano Olivari
Difficile ricordare un draft NBA dimesso come quello di Newark, con i classici fischi locali per la scelta dei Knicks (Iman Shumpert da Georgia Tech, numero 17). Non per la qualità dei giocatori scelti, che si conosceva da mesi e che comunque è relativamente bassa, ma per il clima di provvisorietà e di incertezza che si intuiva anche a migliaia di chilometri di distanza. Di sicuro, lockout o non lockout, le scelte hanno premiato molto più il margine di miglioramento, il mitico ‘upside’, della realtà del campo.
Solo così si spiegano il numero uno, peraltro stra-annunciato, di Kyrie Irving (Cavs) dopo un solo anno a Duke (due terzi di stagione persi per infortunio, oltretutto, sole 11 partite giocate e un rientro nel torneo finale quasi controproducente per Coach K) e le scelte creative degli international player: Kanter (numero 3, Jazz) dopo un anno di inattività, Valanciunas (5, Raptors) e Vesely (6, Wizards) e Biyombo (7, ai Bobcats con la scelta dei Kings e attualmente in lite con il Fuenlabrada per il buyout), solo per citare quelli chiamati più in alto. Prima di trascinatori come Brandon Knight, Kemba Walker e Jimmer Fredette o del pompatissimo Motiejunas che è stato scelto alla 20 e lascerà quindi una Benetton in smobilitazione per giocare con i T-Wolves. Di sicuro la prospettiva di una stagione NBA dimezzata ha indotto molti americani a farsi un altro anno di semi-professionismo al college: gente come Jared Sullinger (Ohio State) e il nostro favorito, il morbidissimo Harrison Barnes (North Carolina), sarebbe di sicuro stata scelta davanti all’Irving della situazione. Nella folle passaportopoli che ammorba il basket FIBA anche Irving stesso potrebbe paradossalmente essere considerato un international player, visto che è nato in Australia (da padre americano, che lì giocava) e più volte ha ricevuto offerte da quella nazionale (del resto, se si è potuto parlare seriamente di Matt Barnes a disposizione di Pianigiani…). Ci sarà tempo tutta l’estate per parlare degli effetti sportivi di questo draft, con la ricostruzione di Cleveland (l’ultima volta che ha scelto con il numero 1 chiamò LeBron James, era il 2003) e tante altre storie interessanti, ma già adesso si può dire che con queste scelte la NBA ha ufficializzato il suo anno di transizione. Sperando che sia almeno un mezzo anno di gioco.
stefano@indiscreto.it
(pubblicato sul Guerin Sportivo)
2 commenti:
Yep,un draft eccitante come un convegno medico sui problemi di prostatite nella terza età.
Harrison è un gioiello,un giocatore degli anni settanta per disciplina e tecnica individuale ma con la corazza del ventunesimo secolo.
Sta crescendo da ala piccola,vivaddio,e non da big guard ipertrofica.
Curioso di vederlo con James McAdoo nei Tar Heels.
A proposito,l'anno prossimo Kentucky sembra una squadra Nba del 2015:Anthony Davis,Gilchrist,Teague.
Vedremo più Ncaa,soprattutto se c'azzecca Chuck Barkely(il vero Mvp della stagione Nba):ha detto che la stagione non ci sarà...
Errata Corrige.
"...Chuck Barkley..."
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