La coscienza del Zena

Non è affatto vero che il teatro dei sogni sia solo l'Old Trafford di Manchester. Ogni tifoso, soprattutto se bambino, ne ha uno proprio. Talvolta è semplicemente frutto dell'immaginazione. Più spesso coincide con lo stadio della propria squadra del cuore. Per ogni genoano è sicuramente il "Luigi Ferraris". Il quasi centenario "campo du Zena", dotato di caratteristiche pressoché uniche in Italia, è il palcoscenico che ha ispirato le fantasie di generazioni di ragazzi. Cresciuti sognando di parare come De Prà, sfondare le reti come Levratto, dribblare come Abbadie, incornare come Pruzzo o Skhuravy. Così per noi tornare a Genova, a Marassi, dopo una lunga assenza, ha permesso di ricordare le tante emozionanti domeniche pomeriggio dell'infanzia trascorse qui. Ma anche riflettere su quanto oggigiorno sia raro incrociare bambini allo stadio in compagnia dei genitori, per non dire, come accadeva fino a pochi anni fa, addirittura per contro proprio. Per questo motivo, prima del match prenatalizio contro il Parma, è stato davvero piacevole notare la presenza, nel loro potenziale teatro dei sogni, dei bimbi del progetto "Genoa for Children". Un'iniziativa (lodevole) nata, oltretutto "dal basso", per coltivare sportività e socializzazione nei piccoli tifosi, accendere in loro una sana passione per il calcio e, naturalmente, per il vecchio grifone.
Dopo aver sfilato sul terreno di gioco tra gli applausi il centinaio di bimbi del GfC, tutti tra i sette e tredici anni, come una classe-modello è andato ad accomodarsi nei posti solitamente assegnati. Che, in tutta onestà, non sono il massimo. Si tratta dello spicchio di spalti riservato agli ospiti in occasione delle partite della Sampdoria, altrimenti inutilizzato. Un settore defilato, conosciuto comunemente con un soprannome ("la gabbia") più da incubo che da sogno, separato dagli altri da enormi vetrate divisorie e dal campo da una rete per prevenire il lancio degli oggetti che lo copre interamente. Lì per lì abbiamo pensato: "Peccato!". Visti gli ampi vuoti nello stadio, sarebbe stato certamente più comodo sistemarli in tribuna, o di fronte, nei "distinti", a pochi metri dalla linea laterale, proprio dove eravamo seduti noi con alcuni amici. Settore in cui, riflettevamo ingenuamente, oltre a vedere perfettamente la partita avrebbero potuto viverla vicino a tifosi "normali". Se non fosse che, dopo il calcio d'inizio, abbiamo forse compreso perché i bimbi vengono isolati dal resto del pubblico. Per proteggerli. Per tenerli al riparo dall'inciviltà, dalla maleducazione e dall'isteria di una portata tale che mai ci era capitato di rilevare in passato a Marassi. In una gara, va detto, senza particolari ansie di classifica, contro un'avversaria insignificante quanto a rivalità. Priva di episodi contestati. E invece neppure l'ombra di un sorriso, d'allegria, di voglia di divertirsi. Completamente assenti anche entusiasmo e ironia, che al Ferraris erano di casa. Solo frustrazione, rancore che sfiorava la paranoia. Insulti feroci (e sputi) diretti dalla maggior parte degli spettatori, nello specifico - vale ripeterlo - non ultrà scatenati bensì uomini e donne "normali", non solo a terna arbitrale e avversari ma pure, a causa di qualche passaggio sbagliato, verso tecnico e giocatori rossoblu. Che, oltretutto, stavano disputando una prova quantomeno di grande impegno e intensità. E probabilmente, tele-trasportati altrove (probabilmente in un altro Paese), se non altro avrebbero ricevuto sostegno e applausi dai propri supporter.
Un imbarbarimento, sia chiaro, che non ha origine nello stadio e non è solo genovese o genoano. E' sufficiente andare a qualsiasi partita in Italia, magari anche del campionato "pulcini", e osservare il comportamento del pubblico cosiddetto normale per intuire che il degrado ha origini ben più ampie e profonde, probabilmente da tesi di sociologia. Però, senza volare troppo alti, è stato sufficiente ascoltare i discorsi sulle gradinate di Marassi per capire che un ruolo decisivo nella corsa verso il burrone l'abbia certamente la capillare biscardizzazione dell'informazione sportiva, tracimata a livello locale. Tanto che oggi credo sia fondamentale appellarsi a chi fa comunicazione chiedendo di prendere coscienza della propria influenza su spettatori e lettori e dei danni causati attribuendo al calcio valori fuorvianti, assecondando (fomentando?) il livore e il becerume anziché stemperarlo. Altrimenti è davvero finita. Invece, non bastasse l'originale, alcuni epigoni provinciali del rosso del lunedì (e dei suoi ospiti) col loro tipo di giornalismo (giornalismo?) continuano ad alimentare mostri della domenica che poi finiscono per infestare il "teatro dei sogni" di bambini-tifosi rinchiusi in gabbia, proprio come esemplari di una specie in via d'estinzione nei nostri stadi. Già desolatamente vuoti. Di allegria e sana passione.

Paolo Sacchi
p-sacchi@hotmail.it

Nessun commento: