1. Giocare titolari con la maglia del Barcellona non corrisponde propriamente all’idea del calciatore sottovalutato. Eppure di Yayà Tourè molti non sembrano ancora aver compreso appieno il vero valore. Un giocatore dal carattere non facile, talvolta scontroso, altre volte un pizzico supponente. Un giocatore vero, però, che ha percorso la strada verso la vetta passo dopo passo, gradino su gradino, privilegiando scelte mirate alla propria formazione e alla propria crescita professionale, spesso a scapito della visibilità. Tanto se c’è il talento, sembra raccontare la storia di Yaya, al Barcellona di turno si arriva comunque. Il centrocampista ivoriano si è raccontato in un’intervista al giornalista olandese Jan Hauspie. Riportiamo i passi più significativi di un dialogo pieno, contrariamente a quanto di norma accade quando ai protagonisti del pallone si mette sotto il naso un microfono, di spunti interessanti.
2. Yayà Tourè conosce l’Europa nel 2001. Ha 18 anni e sbarca nelle Fiandre Orientali, a Beveren, dove lo attende il francese Jean-Marc Guillou e il suo progetto “Académie”, che prevede anno dopo anno il trasferimento di tutti i migliori prodotti della scuola calcio ASEC Mimosas di Abidjan direttamente in una squadra professionistica militante nella massima divisione di un campionato europeo. “Un’esperienza durissima, ma fondamentale. Ogni calciatore africano che sbarca in Europa lo fa per sfondare. La difficoltà risiede nel comprendere i tempi e i modi per farlo. Se il sottoscritto o qualcuno dei miei connazionali fosse andato direttamente in Spagna o in Francia, avrebbe avuto molti più problemi. I giocatori non sono macchine, soprattutto quando sono ancora adolescenti, e pertanto il fattore ambientale non va sottovalutato. A Beveren non ci è stato solo concesso il tempo per assorbire movimenti, moduli, schemi e mentalità del calcio europeo, ma ci è stato soprattutto insegnato come deve vivere un calciatore professionista. Racconto un episodio. Durante certi allenamenti pomeridiani controllavo continuamente il termometro all’ingresso degli spogliatoi: zero gradi, meno due. Il vento mi tagliava la faccia, non sentivo più le dita delle mani, allora raccoglievo le mie cose e correvo dritto sotto la doccia lasciando l’allenamento a metà. Il tecnico del Beveren Herman Helleputte mi rimproverava di essere troppo impulsivo. Sicuramente ero poco professionale, e vedevo il mondo semplicemente in bianco e nero, senza sfumature. Ma un club di provincia come il Beveren ti offriva la possibilità di ritornare sui tuoi passi e capire gli errori. In realtà più grandi sarei semplicemente finito fuori rosa”.
3. Nell’inverno del 2004 Yaya si sposta in Ucraina per giocare nel Metalurg Donetsk. “Mi voleva il Paris Saint-Germain in prestito, ma il Beveren aveva bisogno di soldi e ha condotto le trattative per conto proprio. L’Ucraina non è certo il sogno per chi desidera diventare calciatore professionista, specialmente se africano. Clima gelido, la gente parla solo russo o ucraino ed è piuttosto chiusa. Ma l’esperienza è stata importante perché mi ha formato mentalmente”. La via di fuga si chiama Atene, facilitata da un’estate 2005 in cui Yaya prolunga le proprie vacanze in Costa d’Avorio senza autorizzazione e, soprattutto, senza possibilità di essere reperito. Puntuale arriva la cessione all’Olympiacos. “Volevo un campionato di livello medio come quello olandese o quello greco prima di puntare ad un grande torneo. E poi ad Atene c’era Trond Sollied, che conobbi in Belgio quando allenava l’Fc Bruges e che mi aveva cercato più volte, anche se l’affare non si concretizzò mai a causa di divergenze economiche con il Beveren. Sollied è l’allenatore tatticamente più preparato che abbia mai incontrato. Ogni volta che affrontavamo l’Fc Bruges era un mezzo disastro, sembravamo una squadra al primo allenamento stagionale. Dopo anni da mezzapunta, in Grecia mi ha impostato interno in un centrocampo a tre. Se due stagioni dopo mi sono ambientato subito nel 4-3-3 del Barcellona, lo devo a lui. Sollied insegna un calcio offensivo ma estremamente organizzato. Un campione ti può far vincere la singola partita, non un trofeo. Noi ivoriani lo abbiamo sperimentato nella finale di Coppa d’Africa 2006 contro l’Egitto. Dalla nostra parte c’era Didier Droga, dalla loro Mohamed Abou Trika. Hanno vinto loro, perché possedevano una disciplina sconosciuta a buona parte delle compagini africane”.
4. La tappa successiva si chiama Principato di Monaco, nonostante molti ritenessero che la destinazione naturale del giocatore sarebbe stata Londra, sponda Arsenal, per potersi riunire con il fratello maggiore Kolo (un terzo Tourè, Ibrahim, classe '85, gioca nel Metalurg Donetsk); il veto arriva però da Arsene Wenger, insoddisfatto della scarsa intensità mostrata da Yaya in allenamento. Gli telefona anche Drogba per raccontargli il mondo-Chelsea, ma l’ivoriano decide di ascoltare nuovamente i consigli di Guillou (“continua a fare un passo alla volta”), nel frattempo licenziato dal Beveren a causa di risultati ritenuti poco soddisfacenti dalla dirigenza. “Un giornalista francese mi chiese come si faceva a rinunciare alla corte di Real Madrid, Manchester United e Chelsea. Non è stato facile, lo ammetto, ma era troppo presto. Volevo un club francese o italiano prima di compiere l’ultimo decisivo salto. Con il tecnico Laszlo Boloni fu antipatia a prima vista. Un uomo ombroso e dal carattere difficile. Non ci conoscevamo, io ero un acquisto della dirigenza, non suo. Arrivavo dal Mondiale in Germania, all’inizio mi teneva fuori con la scusa che avevo bisogno di riposo. Mi vedeva esterno desto di centrocampo, non esitai a dirgli che non era la mia posizione. Venni a sapere dai miei compagni di squadra che la mia impulsività lo aveva irritato parecchio. Dopo pochi mesi venne licenziato e sostituito da Laurent Bande; con lui 5 reti, il mio primato personale, 5 assist e la fine di tanti problemi. Sarei rimasto in Francia volentieri se non fosse arrivata la chiamata del Barcellona”.
5. Barcellona rappresenta lo zenith della scalata di Yaya Tourè. L’esordio al Camp Nou con gol (fantasma) all’Athletic Bilbao dopo un missile da fuori area puntualizza subito di che pasta è fatto l’ivoriano. “Qui c’è il calcio con la C maiuscola. Piacere puro. In Frank Rijkaard ho scoperto un grande allenatore, come mentalità molto simile a Sollied. La partita vuole sempre giocarla, l’idea è quella di un calcio dominante. La differenza principale è che non sempre il norvegese ha potuto disporre dei giocatori che desiderava. Con Guardiola inizialmente ho perso il posto da titolare, ma me lo aspettavo. Arrivava dalle giovanili, ha portato con sé alcuni suoi pupilli, uno dei quali, Sergio Busquets, giocava nella mia posizione. Incombevano i preliminari di Champions League, c’era poco tempo per conoscersi, e da parte mia per capire come lui intendeva giocare. Logico quindi che il mister puntasse su giocatori di comprovata fiducia. Anche quest’anno però il calcio che pratica il Barcellona è il migliore. E’ il calcio con il quale sono cresciuto, quello di Guillou, fatto di passaggi, sempre creativo. A Beveren non facevamo altro. Non mi piace il gioco eccessivamente strutturato sulla fisicità e sull’atletismo. Eppure non avrei problemi a praticarlo, sono piuttosto grosso, non temo gli scontri, ma preferisco il calcio tecnico. Per questo non mi sono trovato bene in Ucraina, così come non mi troverei a mio agio con squadre quali Inter o Chelsea”.
6. “Se una determinata situazione di gioco presenta quattro o cinque possibilità di scelta, lui sa trovarne una sesta”. Un commento su un taccuino, completato da una nota a margine: “Farà strada”. Régis Laguesse, braccio destro di Jean Marc Guillou, fondatore dell’Académie Mimosas dell’ASEC Abidjan, non aveva dubbi sulle qualità dell’allora dodicenne Gnègnèri Yaya Tourè. Il suo sodale fu dello stesso avviso, decretandone l’immediata ammissione nei ranghi della più innovativa e strutturata scuola calcio di tutto il continente africano. Poco più di dieci anni dopo il ragazzo nato il 13 maggio 1983 a Bouakè, la seconda città più grande della Costa d’Avorio, e cresciuto nel quartiere di Yopougon, distretto nord-occidentale di Abidjan, è approdato in uno dei più prestigiosi club del mondo. “Gettando lo sguardo alle mie origini mi accorgo che il calcio è fratellanza. La Costa d’Avorio è stata messa in ginocchio da gravissimi problemi politici, c’è stata la guerra civile, c’è tuttora tanta povertà. Il calcio è una delle poche cose che ha aiutato la mia gente a guarire dalle ferite che la vita ha inflitto loro. Abbiamo partecipato alle ultime due Coppe d’Africa, non le abbiamo vinte ma ci siamo andati vicini. E soprattutto siamo riusciti a cancellare per qualche giorno le divisioni etniche che frammentano il paese. In Africa il problema principale resta la povertà. Trovare da mangiare per i tuoi figli anche per il giorno successivo rimane il problema più grande che milioni di famiglie sono costrette quotidianamente ad affrontare. Chi riesce a sfondare nel calcio guadagna un rispetto enorme. Prima però bisogna creare le condizioni - scuole, centri sportivi - che permettano ad un ragazzino di farsi strada. Per questo sarò sempre grato a persone come Jean-Marc Guillou. Loro ci hanno dato una chance”.
2. Yayà Tourè conosce l’Europa nel 2001. Ha 18 anni e sbarca nelle Fiandre Orientali, a Beveren, dove lo attende il francese Jean-Marc Guillou e il suo progetto “Académie”, che prevede anno dopo anno il trasferimento di tutti i migliori prodotti della scuola calcio ASEC Mimosas di Abidjan direttamente in una squadra professionistica militante nella massima divisione di un campionato europeo. “Un’esperienza durissima, ma fondamentale. Ogni calciatore africano che sbarca in Europa lo fa per sfondare. La difficoltà risiede nel comprendere i tempi e i modi per farlo. Se il sottoscritto o qualcuno dei miei connazionali fosse andato direttamente in Spagna o in Francia, avrebbe avuto molti più problemi. I giocatori non sono macchine, soprattutto quando sono ancora adolescenti, e pertanto il fattore ambientale non va sottovalutato. A Beveren non ci è stato solo concesso il tempo per assorbire movimenti, moduli, schemi e mentalità del calcio europeo, ma ci è stato soprattutto insegnato come deve vivere un calciatore professionista. Racconto un episodio. Durante certi allenamenti pomeridiani controllavo continuamente il termometro all’ingresso degli spogliatoi: zero gradi, meno due. Il vento mi tagliava la faccia, non sentivo più le dita delle mani, allora raccoglievo le mie cose e correvo dritto sotto la doccia lasciando l’allenamento a metà. Il tecnico del Beveren Herman Helleputte mi rimproverava di essere troppo impulsivo. Sicuramente ero poco professionale, e vedevo il mondo semplicemente in bianco e nero, senza sfumature. Ma un club di provincia come il Beveren ti offriva la possibilità di ritornare sui tuoi passi e capire gli errori. In realtà più grandi sarei semplicemente finito fuori rosa”.
3. Nell’inverno del 2004 Yaya si sposta in Ucraina per giocare nel Metalurg Donetsk. “Mi voleva il Paris Saint-Germain in prestito, ma il Beveren aveva bisogno di soldi e ha condotto le trattative per conto proprio. L’Ucraina non è certo il sogno per chi desidera diventare calciatore professionista, specialmente se africano. Clima gelido, la gente parla solo russo o ucraino ed è piuttosto chiusa. Ma l’esperienza è stata importante perché mi ha formato mentalmente”. La via di fuga si chiama Atene, facilitata da un’estate 2005 in cui Yaya prolunga le proprie vacanze in Costa d’Avorio senza autorizzazione e, soprattutto, senza possibilità di essere reperito. Puntuale arriva la cessione all’Olympiacos. “Volevo un campionato di livello medio come quello olandese o quello greco prima di puntare ad un grande torneo. E poi ad Atene c’era Trond Sollied, che conobbi in Belgio quando allenava l’Fc Bruges e che mi aveva cercato più volte, anche se l’affare non si concretizzò mai a causa di divergenze economiche con il Beveren. Sollied è l’allenatore tatticamente più preparato che abbia mai incontrato. Ogni volta che affrontavamo l’Fc Bruges era un mezzo disastro, sembravamo una squadra al primo allenamento stagionale. Dopo anni da mezzapunta, in Grecia mi ha impostato interno in un centrocampo a tre. Se due stagioni dopo mi sono ambientato subito nel 4-3-3 del Barcellona, lo devo a lui. Sollied insegna un calcio offensivo ma estremamente organizzato. Un campione ti può far vincere la singola partita, non un trofeo. Noi ivoriani lo abbiamo sperimentato nella finale di Coppa d’Africa 2006 contro l’Egitto. Dalla nostra parte c’era Didier Droga, dalla loro Mohamed Abou Trika. Hanno vinto loro, perché possedevano una disciplina sconosciuta a buona parte delle compagini africane”.
4. La tappa successiva si chiama Principato di Monaco, nonostante molti ritenessero che la destinazione naturale del giocatore sarebbe stata Londra, sponda Arsenal, per potersi riunire con il fratello maggiore Kolo (un terzo Tourè, Ibrahim, classe '85, gioca nel Metalurg Donetsk); il veto arriva però da Arsene Wenger, insoddisfatto della scarsa intensità mostrata da Yaya in allenamento. Gli telefona anche Drogba per raccontargli il mondo-Chelsea, ma l’ivoriano decide di ascoltare nuovamente i consigli di Guillou (“continua a fare un passo alla volta”), nel frattempo licenziato dal Beveren a causa di risultati ritenuti poco soddisfacenti dalla dirigenza. “Un giornalista francese mi chiese come si faceva a rinunciare alla corte di Real Madrid, Manchester United e Chelsea. Non è stato facile, lo ammetto, ma era troppo presto. Volevo un club francese o italiano prima di compiere l’ultimo decisivo salto. Con il tecnico Laszlo Boloni fu antipatia a prima vista. Un uomo ombroso e dal carattere difficile. Non ci conoscevamo, io ero un acquisto della dirigenza, non suo. Arrivavo dal Mondiale in Germania, all’inizio mi teneva fuori con la scusa che avevo bisogno di riposo. Mi vedeva esterno desto di centrocampo, non esitai a dirgli che non era la mia posizione. Venni a sapere dai miei compagni di squadra che la mia impulsività lo aveva irritato parecchio. Dopo pochi mesi venne licenziato e sostituito da Laurent Bande; con lui 5 reti, il mio primato personale, 5 assist e la fine di tanti problemi. Sarei rimasto in Francia volentieri se non fosse arrivata la chiamata del Barcellona”.
5. Barcellona rappresenta lo zenith della scalata di Yaya Tourè. L’esordio al Camp Nou con gol (fantasma) all’Athletic Bilbao dopo un missile da fuori area puntualizza subito di che pasta è fatto l’ivoriano. “Qui c’è il calcio con la C maiuscola. Piacere puro. In Frank Rijkaard ho scoperto un grande allenatore, come mentalità molto simile a Sollied. La partita vuole sempre giocarla, l’idea è quella di un calcio dominante. La differenza principale è che non sempre il norvegese ha potuto disporre dei giocatori che desiderava. Con Guardiola inizialmente ho perso il posto da titolare, ma me lo aspettavo. Arrivava dalle giovanili, ha portato con sé alcuni suoi pupilli, uno dei quali, Sergio Busquets, giocava nella mia posizione. Incombevano i preliminari di Champions League, c’era poco tempo per conoscersi, e da parte mia per capire come lui intendeva giocare. Logico quindi che il mister puntasse su giocatori di comprovata fiducia. Anche quest’anno però il calcio che pratica il Barcellona è il migliore. E’ il calcio con il quale sono cresciuto, quello di Guillou, fatto di passaggi, sempre creativo. A Beveren non facevamo altro. Non mi piace il gioco eccessivamente strutturato sulla fisicità e sull’atletismo. Eppure non avrei problemi a praticarlo, sono piuttosto grosso, non temo gli scontri, ma preferisco il calcio tecnico. Per questo non mi sono trovato bene in Ucraina, così come non mi troverei a mio agio con squadre quali Inter o Chelsea”.
6. “Se una determinata situazione di gioco presenta quattro o cinque possibilità di scelta, lui sa trovarne una sesta”. Un commento su un taccuino, completato da una nota a margine: “Farà strada”. Régis Laguesse, braccio destro di Jean Marc Guillou, fondatore dell’Académie Mimosas dell’ASEC Abidjan, non aveva dubbi sulle qualità dell’allora dodicenne Gnègnèri Yaya Tourè. Il suo sodale fu dello stesso avviso, decretandone l’immediata ammissione nei ranghi della più innovativa e strutturata scuola calcio di tutto il continente africano. Poco più di dieci anni dopo il ragazzo nato il 13 maggio 1983 a Bouakè, la seconda città più grande della Costa d’Avorio, e cresciuto nel quartiere di Yopougon, distretto nord-occidentale di Abidjan, è approdato in uno dei più prestigiosi club del mondo. “Gettando lo sguardo alle mie origini mi accorgo che il calcio è fratellanza. La Costa d’Avorio è stata messa in ginocchio da gravissimi problemi politici, c’è stata la guerra civile, c’è tuttora tanta povertà. Il calcio è una delle poche cose che ha aiutato la mia gente a guarire dalle ferite che la vita ha inflitto loro. Abbiamo partecipato alle ultime due Coppe d’Africa, non le abbiamo vinte ma ci siamo andati vicini. E soprattutto siamo riusciti a cancellare per qualche giorno le divisioni etniche che frammentano il paese. In Africa il problema principale resta la povertà. Trovare da mangiare per i tuoi figli anche per il giorno successivo rimane il problema più grande che milioni di famiglie sono costrette quotidianamente ad affrontare. Chi riesce a sfondare nel calcio guadagna un rispetto enorme. Prima però bisogna creare le condizioni - scuole, centri sportivi - che permettano ad un ragazzino di farsi strada. Per questo sarò sempre grato a persone come Jean-Marc Guillou. Loro ci hanno dato una chance”.
(in esclusiva per Indiscreto)
15 commenti:
Bellissssssimo articolo, quando esce sulla Gazza? ;)
La chicca: l'Italia messa al livello della Francia tra le realtà non di primissimo piano. A quando il pallone d'oro a Totti?
vince, io sono troppo avanti: è da settembre che dico che siamo al livello della Francia come campionato e se ci va bene ci restiamo.
beh pure io dico da anni che l'italia è molto dietro inghilterra e spagna...
e che Toure è un grandissimo.
MI commuovo sempre un po' quando rileggo la storia di Yaya. Alec sa come io sia tifoso della primissima ora di questo giocatore: quando ha firmato il contratto al Barça mi sono preso non so quante rivincite. Mi scuso per la parentesi personale, ma volevo soo aggiungere come, a fronte di giocatori usciti dall'Academie (io ci sono stato esperienza unica: su internet da qualche parte c'è qualcosa) che ce l'hanno fatta davvero, ci sono super talenti che invece si sono persi. Parlo di giocatori della classe e della qualità di Yaya, e il primo nome che mi viene è Marco Né, sperduto adesso in Russia proprio per limiti caratteriali (timidezza incredibile e poca forza mentale). Capisco molto bene l'infatuazione di Ancelotti per la nazionale della Costa d'Avorio... Verissimo poi l'amore per il calcio tecnico dei ragazzi di Guillou: la coordinazione con cui calcia, ad esempio, Romaric del Siviglia, un altro académicien, è il miglior marchio di fabbrica di Sol Beni, l'area su cui sorge l'Académie. Salomon Kalou, del Chelsea, ( figlio indiretto dell'Académie), tuttavia non si trova male al Chelsea, e Yaya, credo, neppure...
ATTENZIONE!
Moratti oggi ha rilasciato dichiarazioni nel segno della continuità con le accuse verso la stampa, di cui fu primo promotore Josè Mourinho.
Dato che nessun organo di stampa (non ho mai visto nessuno parlar male di se stesso (Cit. S. Nicoletti)) le ha riportate, probabilmente perchè questa volta INEQUIVOCABILI del pensiero del Presidente (nessun sano di mente può interpretare queste dichiarazione con "Moratti attacca il Bologna") rispetto a quelle EQUIVOCATE del Mister che da "siete prostitute perchè non parlate del Milan e della Roma che non vinceranno niente e parlate della crisi Inter" a "L'Inter è forte, Milan e Roma no perchè non vinceranno niente",
ecco dicevo, dato che nessun organo di stampa mai le riporterà,
facciamoci promotori di diffonderle almeno noi, a mezzo internet.
INONDATE IL WEB DI QUESTO LINK
http://www.oleole.it/blogs/iostoconmancini/posts/moratti-quottroppo-severi-con-l039interquot
Ecco le grandi preoccupazioni dell'italiano medio.
@Dag: parlavi di Moratti, vero?!... :-D
@alesad...........(senza parole).
@ Alec : In Italia nessuno si interessa al lavoro che si fanno in queste accademie calcistiche africane sono solo ad appannaggio di realtà più lungimiranti come quelle nord-europee? Se non sbaglio anche l'Ajax in sudafrica ha qualcosa del genere. Bellissimo articolo.
Vincenzo ha detto...
Bellissssssimo articolo, quando esce sulla Gazza? ;)
La chicca: l'Italia messa al livello della Francia tra le realtà non di primissimo piano. A quando il pallone d'oro a Totti?
è stata la mia stessa identica reazione
Lo penso già da qualche anno: secondo me la Costa d'Avorio, con maggiore disciplina e organizzazione potrebbe stare tranquillamente fra le prime 5-6 nazionali del mondo. Ancelotti non ha scelto a caso.
Non esageriamo. Sicuramente è anche una questione di disciplina e di struttura (l'Egitto ha meno potenziale e le da a tutti), ma i valori complessivi sono buoni non eccezionali. Valgono una buona europea (tipo Turchia o Croazia) ma non sono un top team mondiale, nemmeno in potenza.
@ Jeremy Rispetto il tuo parere ma rimango convinto del mio. Qualità tecniche, atletiche e temperamentali sono di primo piano. Mancano l'organizzazione e la disciplina (fondamentali negli scontri di alto livello).
Ale pero se la Costa d'Avorio è forte lo sono anche da questo punto di vista Cameroon (che ha sempre avuto attaccanti fenomenali)e Ghana (il centrocampo delle stelle nere è una macchina da guerra impressionante). Non so ma il giudizio è accettabile in un'ottica potenziale, sia chiaro.
@ cuginostivi: l'Ajax proprio il mese scorso ha festeggiato il decennale della parternship con i sudafricani dell'Ajax Cape Town. Molto impegno e molti sforzi ma, per ora, pochi risultati (Pienaar, Enoh e pochi altri). Comunque, avanti così, meritano stima e rispetto.
Anche il Feyenoord aveva una propria Academy in Ghana, ma l'ha chiusa.
SEcondo me in Italia ci sono delle realtà che potrebbero interessarsi ad un discorso del genere (penso soprattutto all'Udinese), ma aprire e mantenere una scuola calcio costa parecchio. Infatti lo fanno club come Ajax o, prossimamente, Lione. I friulani non potrebbero permetterselo
Ma se al posto di questo nuovo mercato di schiavi le europee pensassero ai giovani di casa nostra?!...
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