di Simone Basso
Considerazioni sulla stagione ciclistica al via: l'onda lunga del passato, il golem anglo-americano, la federazione protetta dai media, gli juniores che volano, il consiglio chiesto a Ballan e i cari vecchi direttori sportivi...
"..Oh bongo bongo bongo/ stare bene solo al Congo/ non mi muovo no no/ bingo bango bengo/ molte scuse ma non vengo/ io rimango qui/ no bono radio e cine signorine/ magre così/ molto meglio anello al naso/ ma stare qui.."
Oroscopo ciclistico di inizio stagione, una scusa per ricominciare a scrivere di attualità stradaiola, quella che ormai rappresenta quasi al cento per cento l'immaginario degli appassionati. Essendo funaristicamente convinti che l'umanità giri attorno al deretano e si possa dividere in due categorie distinte (quelli che il sedere lo baciano e gli altri che lo prendono a calci), ci produciamo in un bel dipinto munchiano della situazione, consci della nostra missione impossibile. Un'annata storica, ahinoi, perchè burocratizza l'insostenibile leggerezza d'essere di BiciItalia: un movimento terzomondista, il migliore (!) del lotto, con un futuro splendido alle proprie spalle. Dicono che la pedivella non è la migliore metafora del divenire umano, ma una rappresentazione più efficace del cul de sac italiano è difficile da pensare. La scena che fino ad un decennio fa era contemporaneamente l'avanguardia e la tradizione, oggi si "accontenta" del proprio glorioso museo.
La globalizzazione avanza prepotente e regala scenari inediti: il golem anglo-americano (Sky Team, Columbia, RadioShack, Garmin, Bmc..) impazza ed impone nuovi standard qualitativi; la realtà maccheronica risponde con una sola carta pesante, la Liquigas, che a fine anno potrebbe terminare il ciclo di sponsorizzazione. Per troppi anni ci si è nascosti dietro le vittorie dei campioni e non si è seminato adeguatamente; il risultato è un paesaggio neorealista, povero di soldi e stavolta anche di idee. Pur non vantando i Liberace del banditismo federale, ovvero la protezione incivile di dirigenti alla Barelli o di imprenditori come Anemone (il jack pot di Piscinopoli è prossimo ai 10 milioni), si ciurla nel manico in ottimo stile.
Una Federazione, quella di Renato Di Rocco, fagocitata dall'ambiente e protetta dal quarto potere stile BiciSport. La rivista storica specializzata in enfasi e in fotografie a colori, massacrò la precedente gestione di Ceruti, personaggio inquietante, lanciando il petrucciano come uomo del rinnovamento: la FCI da allora ha lavorato sull'immagine e i buoni propositi, facendo ineccepibilmente gli interessi delle signorie. Che come Grandi Elettori hanno talvolta la richiesta di nascondere lo sporco sotto il tappeto: così accade che nella maggior parte delle corse under 23 non ci siano controlli antid****g di alcun tipo e si scivoli sulla buccia di banana di una visita sanitaria ad uno juniores. Il bimbo, talentuoso, apparteneva allo squadrone toscano della Ambra Cavallini-Vangi: immaginiamoci la solerzia dei federali nell'indagare uno di loro... L'amministratore delegato di quella società, Cristiano Viciani, infatti sposta(va) voti e tessere come Coordinatore della Commissione Regionale Giovanile; l'allora diesse, Alex Baronti, fu un esponente glorioso del ciclismo pro anni Novanta. La sua mini epopea ebbe l'apice in una vittoria improbabile al Giro del Lazio 1997, il dì che scalò Rocca di Papa trasfigurandosi in Emile Daems; inutile ricordare le squalifiche accumulate in carriera, anche da terminator granfondista a tutt'oggi inibito dall'Udace.
Ma cosa portava una squadra di diciottenni a richiedere le cure di personale così compromesso?
Le iniezioni e le flebo settimanali erano lo specchio deformato di una mentalità che ha imperversato per anni, legittimata dall'esigenza folle del tutto e subito: è la stessa che si riverbera in questi dì nel torneo foot di Viareggio, occupato militarmente da un esercito di pallonari in fiore con suv, famiglia e procuratore al seguito. Come sottolineato da Alessandro Ballan in un'intervista all'ottimo Cycling Pro: "Tempo fa mi si avvicina una donna che si presenta come la mamma di un giovane corridore. Mi dice che suo figlio è portato per il ciclismo, che è addirittura indecisa se farlo continuare a studiare o permettergli di dedicarsi completamente alla bici. Mi chiede di tabelle di allenamento, di preparatori e addirittura di farmaci. Ero allibito, pensavo: ma guarda che madre fanatica e pericolosa ha questo diciottenne. Solo che il ragazzo aveva quattordici anni". Cappuccetto Rosso, in questo evo complicato e cafone, non ha bisogno di uscire di casa per imbattersi nel lupo. Altro esempio illuminante di qualche anno fa: il campione olimpico Bettini, sull'uscio della casa dei genitori, saluta dopo l'abbondante pranzo natalizio. Mentre ride, osservando la pancetta da vacanza, sfreccia sulla strada un bimbo (già iridato juniores) in un allenamento dietro la moto, guidata dal padre... Noi ci auguriamo che questo campioncino, adesso neoprofessionista, possa vincere in futuro la Liegi-Bastogne-Liegi; ma le esagerazioni fanno sempre spavento, la macchina dell'atleta ciclista è delicatissima e se abusata non permette pezzi di ricambio.
Il guaio italiano sta nell'autista del bus, cioè il direttore sportivo; una figura vetusta e gattopardesca che accentra troppe funzioni: promulga metodi invecchiati dal tempo, inadatti ad interpretare le problematiche dello sport più esigente di tutti. Così, se da una parte esaspera l'atleta per produrre risultati immediati, dall'altra ha difficilmente il bagaglio culturale per informare realmente l'assistito; si abusa di stereotipi e di tecnologie, ma si impedisce al corridore di esplorare le proprie potenzialità attraverso il lavoro specifico. In sintesi, il diesse dovrebbe essere un maestro dello sport, conoscere fisiologia e biomeccanica; sollevato dalle questioni monetarie e contrattuali, affiancato da uno psicologo, un dietologo e un gruppo di lavoro iperspecializzato.
Non siamo Giovanni Drogo, non vi stiamo raccontando un'allucinazione bensì la realta del nuovo squadrone Sky; che utilizza bici (Pinarello) e tecnici nostrani come Max Sciandri, anche se più che italiano lo definiremmo pistoiese... E' già positivo che la discussione su questa crisi strutturale sia cominciata, sarà importantissimo dare seguito ai primi segnali di rinsavimento; sperando che la vittoria di un Pozzato nella Roubaix non fornisca l'alibi per rifiutare il confronto.
Il 2010 agonistico ha avuto un prologo incoraggiante nel deserto del Qatar: abbiamo visto già pimpanti ras del quartiere come Boonen, Gilbert e Cancellara; le classiche (al solito) promettono più spettacolo dei Grandi Giri, legati a concetti tecnici meno spavaldi di quelli dei predoni del Nord.
Almeno per adesso, Azzurra ha ancora nomi da spendere nell'immediato; l'augurio è che la stagione ci regali qualche matricola con i garretti giusti, da super ma con benza normale. Per tutto il resto siamo pronti, sicuramente ci divertiremo ad ammirare un Giro disegnato con intelligenza e sadismo; che forse cancellerà gli scempi dell'anno scorso. In fondo la superiorità ideologica della pedivella sta nella sua brutalità pop; lo spirito che il Ganna, appena vinto il primissimo Giro, spiegò in una frase poco aulica ma efficace: "L'impressione più viva l'è che me brusa tanto l'cù". Avevamo cominciato questa escursione con il posteriore e la terminiamo sempre con lo stesso.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
8 commenti:
Simo, il nostro movimento a livello dilettanti è bello in palla e di ggggiovani con voglia di arrivare (e anche di d****si....)ce ne sono tanti. Il problema come dici tu è che mancano i top team come 10 anni fa. Diventeremo come la Francia nel calcio, magari: grandissimi ciclisti e tecnici e materiali ma senza squadre italiche a livello altissimo. Se si mantiene alto il livello dilentantistico io non lo trovo un dramma epocale.
@Jeremy:io non vedo tutti questi talenti futuribili per BiciItalia.
Considerando che anche in quanto a uomini da classiche siamo in un declino fisiologico:i Bartoli e i Bettini non si sostituiscono tutti i dì.
Ma l'aspetto più inquietante è quello dei tappisti,facendo riferimento agli uomini da Tour.
Dietro a Nibali (1984) c'è un paesaggio postatomico,non si scorgono campioncini nemmeno con un microscopio elettronico...
Si spera,da italiani veri,nello stellone che ti recapita il Bugno della situazione.
Ma il Gianni a sedici anni era già un predestinato:sulla targhetta aveva scritto "Potenziale Vincitore di Tour e Mondiale".
Non è il caso dei bambini delle ultime covate...
Vorrei ricordare che il ciclismo italiano non ha avuto un dragone da Grand Boucle per più di vent'anni.
Dal primo Gimondi (1965-67)alla maturazione di Bugno e Chiappucci (1990).
Il paragone con la Francia ci può stare,ma attenzione...i cugini transalpini passarono in poco tempo da Hinault,Fignon e Bernard alla tabula rasa di inizio secolo.
I paesi emergenti stanno lavorando benissimo,potremmo diventare una realtà veramente marginale.
Il ciclismo è ormai come l'atletica e il tennis;non vive sulle cialtronerie protezionistiche del foot e del basket.
Credo che tu abbia ragione sul discorso protezionistico e sui paesi emergenti. Pero il moviment dilettantistico è vivo a me sembra. Possibile che nessuno dei nostri ragazzi sarà un giorno un grande? L'importante credo sia anche mantenere un humus vivo e soprattutto orientato alla competizione. Il tennis italianoè morto perche si è chiuso nei circoli. Ci chiuderemo nelle nostre gare di provincia sponsorizzate dal supermercato locale? Il problema dei tappisti credo sia atavico. Tranne Bugno e Basso, un po' Gotti, non ricordo animali da Tour negli ultimi 20 anni (quelli che ho visto personalmente).
@Simone
Egregio,
non vorrei fare paragoni malefici, ma nel mondo bici, sembra di essere nel dopo Galgani, il deserto del Ciad.
Il problema èche l'autobus è fermo, immobile, e ci vorranno anni di programmazione seria. I talenti veri, ahimè, li dànno gli dei.
Da aggiungere al detto about you back, few words, but you may imagine....
invece di personaggi gattopardeschi ce ne vorrebbero di futuristi, ma invocherebbero la blasfemia.
Italo
@Italo:beh,il tennis del post Galgani sembrò Nagasaki dopo la pioggia.
La tradizione della pedivella italiana è superiore a quella di qualsiasi altro sport nostrano,però si rischia parecchio.
E non manca tanto allo sbarco degli africani e dei cinesi:sperando che Zeus ci confezioni un Contador o un Bekele nato a Firenze o a Lecco...
Simone, non credi però che i problemi che enumeri accomunino un po' tutte le grandi nazioni ciclistiche tradizionali? Di Contador in giro ce n'è uno, e sinceramente ormai non riesco a giudicare un atleta spagnolo, quale che sia la disciplina, senza che mi sorga l'innominabile dubbio. Vero anche il discorso sull'inadeguatezza, e in molti casi nocività, dei direttori sportivi in Italia, ma Riis, per dirne uno, non mi pare abbia mai avuto difficoltà a trovare lavoro, e sempre con squadre straniere.
@Simone
I cinesi sbarcono da tutte le parti come cavallette, a volte spontaneamente, alle volte direttamente dai laogai dove si fabbricano scarpe e vestiti.
Saltando di palo in frasca, un ritrattino di Gunde Svan, sarà sui tuoi schermi?
Italo
@Furio:certo,ma è arrivato il momento di un cambiamento quasi radicale.
La concorrenza oggi è infinita,se pensiamo solamente ai paesi del Comecon che ancora negli anni Ottanta non potevano diventare pro:lo scenario è ormai mondializzato.
Finalmente!
L'anno scorso il Giro lo vinse un russo,il mondiale un australiano...
Lasciando da parte i soliti discorsi sulla farmaceutica,la cilindrata di certi corridori è evidente:la prima volta che i tecnici italiani videro Ullrich,a una corsa a tappe in Sassonia,si spaventarono...
@Italo:yes!
Ci stavo pensando,è stato un atleta che è andato oltre i limiti angusti della propria disciplina.
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