di Simone Basso
Nello sport, come nella vita, nulla si crea e tutto si trasforma; ma ci sono momenti che modificano per sempre la visione e l'approccio di un mondo. Quell'attimo, quando accade, polverizza il nostro concetto del tempo: pare infinito, malgrado duri lo spazio di una breve stagione, perchè verrà cristalizzato ad libitum e rivissuto ogni volta con un fervore quasi mistico. Lewis Hoad fu l'inconsapevole rivoluzionario che accelerò definitivamente le sorti del tennis; prendendo spunto dal serve and forehand di Jack Kramer e proiettando il gioco in una dimensione allora sconosciuta. Lew, con il suo stile, cominciò l'era moderna dei gesti bianchi.
Bello, biondo, il collo taurino su un corpo da boxeur o alla Valentino Mazzola: il viso da attore oggi ne avrebbe fatto un divo, invece divenne semplicemente il più forte atleta della sua epoca. Hoad fu tellurico nella vita e sul campo, inscindibile nell'imporre il suo ascendente sregolato ad amici, amanti, compagni, avversari. Non interpretò la parte, la inventò: come il Marlon Brando di "On the waterfront", andò oltre la macchina attoriale e modificò la sua arte. Il Terry Malloy aussie ebbe il suo alter ego in Ken Rosewall: scorpioni nati pochi giorni l'uno dall'altro, ridisegnarono i confini geografici della specialità. I Whiz Kids conclusero l'egemonia americana e cominciarono quella down under; il bis nella Davis, nel 1953, suggellò il passaggio di consegne tra le due scuole: Hoad, diciannovenne, soverchiò il grande Tony Trabert (13-11, 6-3, 3-6, 2-6, 7-5) con una dimostrazione di potenza mai ammirata prima.
Se Muscles fu geometria cartesiana, tocco e meraviglia racchiusi in un corpicino esile e leggero, Hoad trasfigurò i gesti: portò la violenza sui settantotto per trentasei del campo. Lo fece con l'arroganza e l'energia di un supereroe di Stan Lee, una specie di Thor. Quel polso d'acciaio, degno di Ercole, consentì al biondo una dimensione diversa dell'esibizione agonistica; un assalto all'arma bianca, un'aggressione, concepita sulla forza e la profondità di palla. Antesignano dell'all around game, per Lew il tennis divenne un assolo di Max Roach: improvvisò colpi impensabili fino a quel momento, innalzando il ritmo e l'atletismo della contesa.
"E' stato l'unico che, se avessi giocato il mio migliore tennis, mi avrebbe comunque battuto. Penso che il suo gioco è stato il meglio di sempre. Meglio del mio. Era capace di creare colpi come nessun altro. Le due volée erano grandiose, il gioco aereo incredibile. Ha avuto il talento mentale e fisico più innato della storia." (Pancho Gonzales)
Per tutti i colleghi, compresi Jack Kramer e Rod Laver, il livello raggiunto da Hoad nelle recite più ispirate non consentì repliche: in soldoni, all'apice della carriera fu ingiocabile per chiunque.
Non ebbe nemmeno bisogno di strategie tattiche per dominare, come se considerasse l'esegesi del gioco figlia dell'inferiorità genetica altrui. Il piccolo Cesare australiano impose anche la propria personalità; lontano epidermicamente dallo stile nobiliare e snob di quei club esclusivi, portò la strada (quella di Kerouac) nella competizione. Entrò nella testa dell'avversario dialogando con il pubblico, bisticciando con gli arbitri e i giudici di linea; non lo fu mai alla Jimmy Connors, per "rubare" punti e partite, ma volle sempre e comunque essere il mattatore sul proscenio. Sequestrò il globo per una stagione intera, il 1956: fece tre quarti di Grande Slam e giunse all'epilogo degli Us Open contro Ken, il gemello diverso. Perse male una partita che avrebbe dovuto e potuto vincere, opposto al fratellino che accudì sempre; anche nelle serate infinite nei night quando si esaltava il Terry Malloy che lo abitò.
La leggenda racconta che una volta, a Soho, tre tizi minacciarono Rosewall: i poveretti furono stesi senza pietà dai pugni di quell'energumeno...
Hoad passò professionista un anno dopo l'amico, nel 1958, tanto per vincere nuovamente Wimbledon e la Davis. Il Lew originale, malgrado la classe, non si rivide più: lui cominciò ad annoiarsi, con la pigrizia tipica dei superdotati, e iniziò ad interessarsi a cose più piacevoli (Bacco e Venere), penalizzato anche da dolori sempre più persistenti alla colonna vertebrale. Alloggiò comunque nel circuito, ancora ultratrentenne, con quel carisma mostruoso: Panatta, nel suo libro, lo descrive come un extraterrestre: "Lo incontrai diverse volte, nonostante la differenza di età. Lew era sui trentacinque, la schiena a pezzi, io stavo appena cominciando. Lo battevo, ben sapendo che la cosa in sè non aveva significato alcuno... Lo guardai entrare in campo e...Non so dire perchè, ma già dal suo modo di muoversi, di gettare un'occhiata al pubblico, di fare un cenno con la testa a chi lo applaudiva con più calore...Beh, mi ritrovai a pensare di avere di fronte un maestro, uno che sapeva giocare terribilmente bene. Aveva l'aria del padrone, del marchese in visita ai suoi territori. Il campo confermò quelle sensazioni, Lew giocava davvero un tennis di livello superiore. E' raro vincere un match e sentire di dover ringraziare l'avversario per aver giocato con te. Ma così è stato..."
E' proprio Adriano a paragonarlo a Federerissimo: completamente diversi nell'aspetto e nell'attitudine, i due incarnano il non plus ultra del genio nel loro dinamismo creativo, nella cinetica del gesto puro. E' la naturalezza biomeccanica che li accumuna, distanziandoli dagli altri Immortali. L'inventore del power tennis ebbe una vita avventurosa e felice, amò una donna alla follia e fu ricambiato, visse l'ultima fase della sua vicenda nel caldo implacabile di Fuengirola: al solito, ahilui, precedette l'altro Apprendista Stregone (si spera ancora per tanti anni) anche nella partita a scacchi finale. Protagonista (?) di un irriverente sketch phytoniano oppure (s)oggetto di culto di mille storie tramandate a voce dagli appassionati, il fantasma di Lewis Hoad incombe sul mondo del tennis contemporaneo; ignaro e beota (nell'esposizione ipertrofica attuale) a riguardo di chi ne costruì realmente la mitologia.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
15 commenti:
Ah come scrive Simone Basso....
@Jeremy:grazie Giuliano.
Scrivere di Hoad è un onore;rileggendo vari documenti cartacei emerge una personalità incredibile.
In America direbbero "larger than life".
@Simone
Eccellente, as usual !!
Segnalo anche questo vecchio articolo con un estratto da un libro di Gianni Clerici (sempre sia lodato !!)
@GuusThe Wizard:thanks!
"500 anni di tennis" dello Scriba è un testo fondamentale.
Consiglio anche la lettura del grande Bud Collins,altro "socio" della Hall of Fame.
Sublime ritratto di chi come pochi coniugò nella grande arte della racchetta potena e dolcezza.
Destino amaro, quello di Lew, prima perseguitato dagli infortuni (la schiena che dal 1958 in poi orbò gli spettatori di leggendarie sfide contro Gonzalez e Kenny) ,un altra malattia lo avrebbe ucciso ancora piuttosto giovane.
Sorridente e benvoluto, uno dei pochi,se non l'unico, che sopportasse i ghiribizzi del Divino Pancho nel circuito maggiore,ed atleta fenomenale, poderoso,instancabile fin quqando la carrozzeria lo sorresse.
A detta di tutti i contemporanei, il Migliore nel Giorno Migliore ,in ogni zona del campo.
@King Ivan:danke.
Impressiona,su Lew,l'uniformità di giudizio degli avversari.
Tutti lo ritengono,come hai scritto,il Migliore nel giorno migliore.
Ciao Simone,
imaginifico oltre l'orizzonte, Lew, il tutto, il tuo commentoscrittura apolegetica da tramandare.
Lew è Ettore, vincente ma romantico, eroe e futurista, sfortunato ma imperiale, spalle larghe e personalità infinita, trovò pure Andromaca.
Con Rosewall formò la coppia perfetta per il doppio, più di Newcombe-Roche e di Emerson-Rolle.
Potenza mai fine a se stessa, legata ad una visione del gioco completa, se avesse vissuto 20 anni dopo, la medicina e la fisioterapia gli avrebbero garantito una carriera incredibile.
I cazzoni del tennis moderni, comei loro cantori modesti, non hano il diritto di sfiorare questa divinità, escuso Roger, ovviamente.
Incredibile l'accostamento al mio maestro Max Roach, sceglierei invece Billy Cobham per Ken, per completare il quadro impressionista che hai fatto da vero magister.
Per questo tuo pezzo s'attaglia la frase di Spinoza "Sed omnia praeclara tam difficilia, quam rara sunt".
Ciao Spirito della notte
Italo
@Italo:grazie...
Penso proprio che il buon Lew fosse geneticamente un Chamberlain o un Anquetil:ovvero un atleta del futuro capitato per caso negli anni cinquanta.
E' stato decisivo,dopo di lui il tennis è stato modellato sul suo esempio.
Bravo Simone. Nulla so di tennis... ma un pochino, di scrittura, sì...
@Roberto Gotta:mooolte grazie!
Simo, te riusciresti a scrivere poesia anche scrivendo l'elenco telefonico di Pechino...
@Tani
Simone riuscirebbe a rendere interessante anche il congresso centrale del Pcus epoca Breznev, meno male che non ha fatto.
Salutami Dritan.
Italo
@Tani,Italo:bisogna scegliere un bel soggetto e Mister Hoad è una sceneggiatura di Billy Wilder.
Prima o poi sull'Unione Sovietica e i suoi antieroi sportivi ci ritorneremo...
@Simone
Eh già, la sceneggiaura è eccellente, poi ci vuole la mano sapiente e anche sapida, aggiungerei. Mano di primissima classe.
Certo quella bastarda della leucemia poteva risparmiare Lew, Ettore moderno.
Italo
Posta un commento