Era l'anno simbolo di tutte le fobie dei movimenti post-punk, il 1984, e le cose non sarebbero state mai più le stesse. Ci fu un disco, suo malgrado, che fotografò alla perfezione il momento. Un'istantanea vagamente mossa: una Polaroid a colori di uno scarto, una vertigine, nella percezione del mondo esterno ormai alieno a dinamiche realmente umane. Gli Hüsker Dü colsero l'attimo e lo trasferirono su un vinile doppio firmato SST. Amarcord, gli Ottanta come ultimo (e unico?) decennio di libertà creativa nella cultura giovanile. La possibilità inebriante della costruzione di un pianeta parallelo a quello ufficiale. Ecco allora, ad Occidente, una pulsazione che coinvolse un paio di (de)generazioni; basterebbe snocciolare il bill dell'etichetta indipendente di Greg Ginn per spiegarlo in maniera efficace: oltre al combo di Saint Paul, Black Flag, Minutemen, Sonic Youth, Meat Puppets, Dinosaur Jr, Bad Brains. Musica differente per menti espanse, totalmente estranee al mainstream di allora che, grazie alla globalizzazione e a Mtv, si stava diffondendo nel mcworld.
Una scelta di campo, supportata dal mistral impetuoso di quei tempi: l'America nerissima del rap (la Cnn dei fratelli) e la Washington bianca della Dischord lo confermarono, così come l'uragano thrash che si diffuse dalla Bay Area fino alla Ruhr. In Belgio presero ad iniettare veleno per topi nelle strutture rassicuranti della dance e della wave, il new beat, e in giro per il Vecchio Continente si diffuse il virus apocalittico della cultura industriale. Si concluse finalmente l'utopia (o l'aberrazione) dell'individuo che prova a modificare e migliorare il sistema facendone parte, 'Zen arcade' è la colonna sonora perfetta di una scelta di vita, del risveglio da un incubo che venne venduto come un sogno. E' una fuga dalla realtà imposta dagli impostori, il passaggio obbligatorio attraverso il fuoco della consapevolezza che porta, dopo il dolore, alla verità. Un viaggio senza biglietto di ritorno, un 'Easy rider' senza cazzate hippie che sfruttò l'apice creativo di una band colta in piena trasformazione sonora: dall'hardcore punk yankee in qualcosa d'altro, sicuramente meno catalogabile, più fantasioso, e altrettanto dirompente.
Molte testimonianze di quel periodo, con lo scorrere inesorabile della sabbia nella clessidra, sono invecchiate male. Questo album, soprattutto la seconda parte, mantiene intatta l'espressività, miracolosa, dei grandi classici. Eppure suonavano ancora con l'urgenza e la rabbia sguaiata del cacofonico 'Land speed record', pur scrutando altri orizzonti artistici molto meno claustrofobici. Produssero, in serie, acquarelli ipnotici, virulenti, in un muro sonoro di fuzz: 'Something I learned today', 'I'll never forget you' (una meraviglia quella furia di riff), 'The biggest lie'. Nei Novanta prenderanno come esempio questa manciata di canzoni potenti e sbilenche per farne un nuovo trend.
Scelsero produttori in gamba per abbellirne le strutture armoniche, si inventarono un brand vacuo per supportarlo ("Grunge? Avranno chiesto una definizione alla musica a un tizio e questo se ne sarà uscito pronunciando malissimo la parola garage...", disse Bob Mould) e la imposero in heavy rotation su Mtv e nelle radio. Il trio sfolgora, incanta, quando va oltre con la propria immaginazione fervida e perfida. In 'What's going on' c'è già la Gioventù Sonica di 'Daydream nation', 'Masochism world' coniuga il rumore con la sperimentazione pop, 'Standing by the sea' è un mistero che scorre tra il fango del feedback e il liquido amniotico di una melodia agrodolce. 'Somewhere', 'Pink turns to blue', 'Whatever', dalla poetica straniante, stabiliscono la nascita della nuova canzone americana d'autore. C'è l'urgenza di dire qualcosa anche nelle finestre ambientali ('One step at a time, 'Monday will never be the same', 'The tooth fairy and the princess'), minimaliste, oniriche e minacciose. E quante volte Kurt Cobain avrà ascoltato il combat-shoegazing della tuonante 'Turn on the news'? Tutto sfocia, si materializza, nei quasi quattordici minuti di catarsi estrema di 'Recourring dreams': ci si spoglia anche della pelle e si vola via, definitivamente.
Come scrisse Elias Canetti: "Tutte le cose che uno ha dimenticato implorano aiuto nei sogni."
Curioso che le suggestioni siano così sixties, ovvero l'hard rock meno compromesso con l'airplay e la psichedelia più brutale. 'Zen arcade', senza assolutamente saperlo, concluse un'era e ne aprì un'altra. Vendette centomila copie negli Stati Uniti, un'enormità per il semianonimato del genere ma anche lo specchio di quanto potenziale (anche economico) avesse quella scena vergine e alternativa. I profetici e gloriosi Hüsker Dü vissero pericolosamente on the road per altre tre stagioni, poi differenze musicali inconciliabili e la tossicodipendenza di Grant Hart portarono all'esaurimento della loro esperienza collettiva. In pochi anni contribuirono come nessuno all'edificazione di un'altra prospettiva del sound guitar-oriented americano, liberandolo dai suoi stereotipi. Rimangono la stella polare indie, mai abbastanza cantati, degli Eighties. Il loro vigore emotivoresta una certezza immarcescibile del decennio ed è bello ricordarlo (con quel nome, poi...) in questi giorni. Popolati magari da mummie milionarie, reduci degli Ottanta che svernano allegramente chiedendo 250 euro a cranio (evidentemente disabitato) per qualche ora di esibizione annoiata. Dopotutto, è' bello considerare ancora l'arte e la dignità più importanti dei dischi venduti e del marketing.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
20 commenti:
Incredibile leggere un post sulla mia band preferita su Indiscreto !
Bellissimo post per un bellissimo album: complimenti Simone.
Io ho altre origini musicali e all'epoca non conoscevo la band, però il disco Black sheets of rain di Bob Mould ce l'ho da anni e mi piace. C'è qualche somiglianza ?
Post da incorniciare, per il soggetto scelto e per la folgorante istantanea di una stagione pazza e straordinaria. Grazie Simone, veramente un bel regalo.
@Simone
.... mi sa che questa volta sei stato un pò troppo prolisso.
Bastava scrivere "Capolavoro Assoluto !!!".
grande, come al solito
@Jeffbuckley:il disco che citi è considerato il migliore di Mould nel post Husker Du.
Il combo di "Metal circus" visse sempre sul dualismo compositivo tra lui e Grant Hart,il batterista.
Se il primo era più diretto,rocker,il secondo preferì sempre un approccio stravagante,pop e obliquo.
Hart,nel 1989,pubblicò "Intolerance";ovvero uno dei dischi di culto della scena indie Usa.
Consigliato.
@Gianni,Lbrt,Gareth,GuusTheWizard,Axel Shut:thank you!
Per dirla tutta,se esistesse un copyright sull'archetipo rock americano,il trio di Saint Paul(dai Novanta in poi)sarebbe diventato più ricco di Bill Gates...
A me garba assai anche "Warehouse", anche se decisamente più bicefalo.
@GuusTheWizard:è un disco nostalgico.
Vanta alcune canzoni notevoli,magari penalizzate da una produzione frettolosa.
a qualunque persona perbene dovrebbe garbare warehouse :)
... e lo stesso vale per il resto della produzione "huskerduiana"
sapete una cosa: mi avete fatto venire voglia di ascoltare she floated away...
sono il solo a considerare finito il disco con il lato 3 (per chi ha il cd, fino a "the tooth fairy..." inclusa)? non sono mai riuscito ad includere il quarto lato all'interno del concept. per me finisce con lui che si sveglia urlando.
@Durango_Carachou:si,il concept si esaurisce sul primo lato del secondo disco.
"Turn on the news" e "Recourring dreams" sono l'epilogo libero,catartico,di "Zen Arcade".
@Durango
Trattasi della nota "Sindrome di Sister Ray", riscontrata spesso anche in altri artisti (Trilogy dei SY, Halleluhwah/Aumgn dei Can, The End dei Doors, Autobahn dei KW)
@guus
eheh che è la sindrome di sister ray? conosco bene solo daydream nation e the doors tra i citati, e non sono dei concept - magari il primo? in tal caso, non intenzionale. poi quei pezzi, come sister ray, chiudono la bara, no?
@durango
Più o meno ci siamo capiti: pezzo di durata non convenzionale (dai 10 minuti in su), spesso semi-sperimentale e/o borderline, solitamente utilizzato per caratterizzare tutto un lato di un LP.
I Velvet tracciarono il solco e fecero la storia, gli epigoni ebbero fortune più o meno alterne.
@guus
sì ora ho compreso. in effetti molti gruppazzi degli ottanta, anche i gruppi garage, in fondo al disco piazzavano il pezzo "strano" e da 8 minuti
Guus, eccepisco: il solco l'ha tracciato Frank Zappa un paio d'anni prima con The Return of the Son of Monster Magnet (da Freak Out!, primo doppio LP della storia del rock by the way), i compagni di scuderia V.U. sono solo i primi epigoni.
@gareth
E fai bene ad eccepire, però io faccio parte della Setta dei Testimoni di Reed-Cale, quindi su alcuni testi sacri potrebbero esserci delle discrepanze ...
Guus non mi dire! Eri tu con quell'altro tizio vestito di nero, domenica mattina, che hai citofonato a casa mia per convertirmi alla dottrina del Feedback dell'Ultimo Giorno lasciandomi l'ennesima copia di Metal Machine Music nella buchetta?
@gareth
In realtà funziona in maniera leggermente diversa.
Ad esempio, in questo video un giovane adepto sta facendo l'equivalente della Prima Comunione nella Chiesa Cattolica.
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