Il secondo più forte

di Simone Basso
A volte ritornano, malgrado tutto, anche se l'America è un luogo che tollera a malapena i supereroi, adorando invece le superstar. Però stavolta il soggetto in questione, trovato rifugio nella Hall of Fame di Springfield, potrebbe essersi messo in salvo per l'eternità. Ready or not, Here I come... Apologia agnostica di Scottie Pippen, il Larry Graham della pallacanestro, un tentativo gioioso di approfondire lo sguardo su un periodo storico soffocato dalle frasi fatte e dagli highlights di Sportscenter.
Scott nacque ad Hamburg, Arkansas, come ultimo di una nidiata di dodici pargoli. Figlio di una miseria nerissima, anzi afroamericana, che si accentuò con l'invalidità del padre, costretto da un infarto alla sedia a rotelle per il resto dei suoi dì. Lo stesso destino crudele che colpì dopo un incidente anche il fratello Ronnie. Scordatevi i camp organizzati dall'Adidas o dalla Nike, le posse dei parenti e degli amici che sostengono la futura prima scelta di Sternville, al liceo locale il nostro fece il magazziniere della squadra di football. Uno e settantotto scheletrico, con la prospettiva di essere inserito (sempre come guardarobiere) a Central Arkansas, college lilliput semidimenticato dagli dei.
Durante il primo anno universitario però accadde l'incredibile. Don Dyer, l'allenatore in quel di Conway, assistette sbigottito alla crescita ipertrofica (quindici centimetri in pochi mesi..) e tecnica del cosiddetto playmaker di riserva; il livello di competizione mediocre, la NAIA, oscurò comunque a lungo le doti in divenire del giovincello. Ma le voci delle gesta di quel diamante grezzo arrivarono fino a Marty Blake, storico capo scouting dell'Nba, che (dopo averlo visionato dal vivo) si affrettò a spargere la notizia. Alla favola di un Magic Johnson spuntato nel bel mezzo del nulla credette solamente Jerry Krause, giemme dei Bulls, che spedì in avanscoperta l'assistente Billy McKinney.
L'aiuto di Crumbs confermò tutte le leggende metropolitane: la palestra di Central Arkansas era poco più che un capannone, la competizione una cicloturistica e il bimbo una promessa certa.
L'anonimato di Pip finì definitivamente al Portsmouth Invitation Tournament e all'Honolulu Classic
; il 2 e 02, pronto per una scelta nella top ten, azzerò la salivazione di molti dirigenti. Per Krause ci fu un fattore che contò almeno quanto l'atletismo irreale, i cinque ruoli cinque giocati e l'affidabilità caratteriale: quelle braccia incredibili, lunghissime, che sono il vero passepartout totemico di un baller completo. Per assicurarselo il buon Jerry convinse Seattle a uno scambio di scelte; il primo pick di Chicago, l'ottavo, ovvero il "riminese" Olden Polynice, fu passato ai Supersonics per il quinto assoluto, cioè l'all around dell'Arkansas. A posteriori un furto clamoroso che, accoppiato anche all'arrivo di Horace Grant, rappresentò uno dei migliori draft di sempre per una franchigia. E così, accompagnato dal gemello diverso Orazio, stesse radici rurali del profondo sud, entrò dalla porta principale dell'empireo con il compito meno semplice di tutti: crescere all'ombra del baobab Jordan, il Fregoli che portava in giro per gli States lo spettacolo solista più elettrizzante del globo.
Lo Scottie della prima fase Nba sembrò un tweener in equilibrio instabile tra santità e perdizione; i bagliori di grandezza futura oscurati da un'inconsistenza agonistica inquietante e dolorosa. Ci parve bello e inutile come un Larry Kenon qualsiasi, preso a bastonate dalla pressione di dover convivere con le aspettative del ventitre e di un'organizzazione intera. Le botte, quelle vere, le presero i Tori dai Bad Boys durante tre edizioni consecutive dei playoffs; gara7 del 1990 fu anche una Caporetto personale dello swingman rossonero: 42 minuti, uno su dieci dal campo e l'uscita prematura dalla contesa per un'emicrania insopportabile. Inutile ricordare che la stampa specializzata lo massacrò, ritenendo l'indisposizione una scusa puerile; Pip invece si spaventò ricordando i sintomi pre disgrazia di papà Preston, che morì proprio durante quelle settimane...
Eppure, proprio in quel periodo durissimo, cominciarono a germinare i semi dei Bulls dinastici:
gli ultimi mesi di regular season del 1991 consegnarono ai posteri meno distratti una fotografia perfetta della dittatura prossima. MJ fu convinto da Phil Jackson e dall'evidenza della trasformazione pippeniana; la farfalla che spuntò definitivamente dalla crisalide permise ad Air, vivaddio, la condivisione della gonfia con un bipede che spartisse doti tecniche e atletiche simili alle sue. Le due sole sconfitte nei playoffs certificarono la marcia trionfale dei Jordaniers straripanti: simbologie del nuovo potere furono l'umiliante sweep a domicilio degli odiati Pistons e il passaggio di consegne con la squadra degli Ottanta, i Lacustri di Magic, nella Finalissima. Come sentenziò Mister Pressing, al secolo Aldo Giordani: "Posso sbagliare, ma - per me - è più merito di Scottie Pippen che di Jordan. Il cannonissimo Air era già immenso anche in passato. Quello che in questa stagione è veramente migliorato, è Scottie Pippen...".
A Chicago si resero conto di avere pescato, oltre al Migliore, anche il secondo più bravo nel giochino; il dominio dell'annata 1992 confermò l'impressione a dispetto del gossip sullo spogliatoio problematico. Convivere con la tirannide jordaniana divenne una missione impossibile: Coach Zen fece il pompiere in una situazione da soap opera, che meriterebbe un capitolo a parte per sviscerarne le dinamiche perverse. La mania ossessiva di Michael per le scommesse, lo spirito competitivo, i suoi rapporti difficili con Grant dopo una rissa post partita. Per rendere ancora più irrespirabile l'atmosfera, Scottie firmò in fretta e furia un'estensione contrattuale che lo pose al riparo da qualsiasi spettro del passato; ma si legò quasi a vita, chiaramente sottopagato, in un'era che lo porterà ad essere (nel 1998) ben oltre la centesima posizione nella lista dei salariati della lega. Tanto per incrementare la fama paranoica, uno che faceva lo streching pre partita lontano dal cubo maxi schermo, No Tippin' Pippen divenne una leggenda scozzese nelle mance ai camerieri e agli uscieri. Essere umano complicato e curioso il versatile do it all type, come quando chiese ai compagni un minuto di silenzio per la morte del suo gatto...
"E' sopravvalutato" (Mike Lupica di Espn).  "E' un bidone, l'unica cosa che è capace di fare è passare la palla a Mike" (Larry Johnson).  "Il giocatore più fortunato della storia del gioco" (Al Bianchi). 
L'Uomo Ragno di Sternville ha sempre diviso in due la platea, persino nei momenti dei trionfi e nell'epica cavalcata 1994 dei Bulls del buen retiro jordanesco; considerata anche dal proprietario Jerry Reinsdorf e da Phil Jax l'annata singola più esaltante di quella squadra.
Il nuovo capobanda perse il primo mese per infortunio e poi indicò, con il piccolo aiuto dei suoi amici, la strada verso la terra promessa: incredibile ma vero, quei Tori senza MJ (con Pete Myers al suo posto..) compilarono un record di 55 vittorie (due sole in meno dell'anno precedente!) e arrivarono ad un sospiro, o meglio un fischio, dallo showdown. Pip in quei mesi giocò a un livello eguagliato dal solo Hakeem, completando un processo di maturazione tecnico-tattica cominciato sull'asfalto di Pine Street, Hamburg.
Ci furono sere nelle quali contemplò l'omniscenza assoluta sul parquet, interpretando TUTTO lo scibile del basket contemporaneo; facendo le grandi e le piccole cose che portano all'unica unità di misura della partita: la vittoria. Lo fece con lo stile inconfondibile dei grandi performer afroamericani della specialità; nella Spaghetti League dei tempi d'oro ci sovviene l'incedere felino di Abdul Jeelani (aka Gary Cole), principe di Livorno sponda Libertas, dall'altra parte della pozza il riferimento non poteva essere che il divino Julius Erving, simulacro di Scottie e di tutti i bambini che, con l'arancia Wilson in mano, sognarono il paradiso in terra del gioco. Proprio come nel leggendario "Mumbo jumbo" di Ishmael Reed quelle evoluzioni aeree, la gestualità sinuosa, elegante, furono il jes grew che ci obbligò a rispettare la musicalità intrinseca, magica, del basket; Afroman col 33 sul petto, con quel ciondolio inconfondibile, ne fu uno dei massimi propagandisti. La mano sinistra, in palleggio e in affondata, il marchio di fabbrica che lo separò dai contemporanei; l'arte dello slashing, inseparabile da un buon palleggio, arresto e tiro, ne fece una minaccia costante per le difese.
Ma lo sciopero di 1,8 secondi nella serie contro i Knicks lo dipinse come l'ennesimo All Star egoista;
quella controversia oscurò la ferocia dello Scottie Team nella semifinale orientale. Persa alla bella, al Madison, e modificata geneticamente in gara5 quando Hue Hollins (il grigio vero asso nella manica dei rileyiani) assegnò un fallo inesistente proprio al capitano dei jacksoniani: quei due tiri dalla lunetta di Hubert Davis confermarono la fallibilità degli arbitri e, molto probabilmente, l'esistenza dei finitimi anche negli United States. Senza quell'intervento fatale, i Mikeless avrebbero disputato la quarta Finale consecutiva...
La stagione seguente, prima del ritorno del Big Brotha numero 45, i Bulls smontarono la portaerei "regalando" il fratellino Grant alla concorrenza (Orlando); offrirono a cani e porci pure l'arte be bop del trentatre ma con risposte poco convincenti.
In fin dei conti, malgrado la sedia tirata in diretta nazionale e i mal di pancia continui, il soggetto in questione era letteralmente inscambiabile: come misurare, in giocatori e scelte, i servigi del miglior giocatore della lega?
Nell'anno del Grande Slam statistico, Pip mise in griglia playoffs un combo con Larry Krystkowiak, Bill Wennington, Luc Longley e Dickey Simpkins come lunghi. Ci furono notti da toro inferocito che regalarono spettacoli assurdi: a Natale, la nemesi newyorchese smantellò i Knicks da solo; giocò tutti i 53 minuti dell'incontro, segnando ogni punto dei suoi nel supplementare vincente. Trentasei e 16 (rimbalzi) non raccontarono lo strapotere, comprendente anche due stoppate consecutive sulle triple del possibile pareggio. Un pomeriggio, opposto alla contender occidentale Phoenix, si applicò su Sir Charles on fire e lo spense, cancellandolo dal campo; nel frattempo, per sovrammercato, mandò a referto 35 punti, 9 rimbalzi, 6 assist, 5 recuperi e 2 stoppate.
Il purgatorio di Batman sarebbe terminato con il rientro di Superman e assunse le sembianze della leggenda:
all'incipit della rumba 1996, il migliore coaching staff allenò il closer più inavvicinabile del reame, il giocatore di squadra più forte e completo della ciurma e lo specialista per antonomasia. Per la riffa scrivete i numeri 23, 33 e 91; aggiungete poi la classe dell'europeo più versatile dei Novanta (Toni Kukoc) e la collaborazione attiva dei vari Harper, Kerr, Longley. Dell'anno record ricorderemo per sempre una corrida di regular season contro Pacers stramotivati, che avrebbero vinto opposti a chiunque; ma il dinamico duo e il verme col piercing imposero la legge della loro supremazia. Ribattendo colpo su colpo, confermarono l'aurea di imbattibilità di quello squadrone cinico e bellissimo: MJ ne segnò 44, Pip 40 (28 nel secondo tempo) più 5 recuperi e 10 rimbalzi, mentre Dennis The Menace ne catturò altri 23. Una monarchia illuminata dalle doti difensive mostruose dell'ensamble; nella specialità decisiva, leader of the pack (The Scottie-Las) l'eterno Mvp ombra.
Nella metà campo che conta veramente, quella che ti permette di issare le bandiere, fu la Dea Calì versione funky:
uno contro uno dalle point (Magic, Mark Jackson) alle power forward (CWeb, Baker) fino alla single coverage personalizzata sullo Ewing di turno. Fu lui a popolarizzare la chasedown, ma l'albatro andò ben oltre qualche rejection circense... Difese corpo a corpo, senza arretrare, e di anticipo; a uomo ed intuendo i movimenti degli altri sul terreno e le linee di passaggio: in un universo che premia gli aggiustamenti tattici nelle serie di playoffs, il Doberman sfoderò il wolfing out definitivo, ovvero il movimento di lettura aggressiva e golpe dell'attacco avversario.
Trattasi della fase che annichilisce la fluidità di qualsiasi schema offensivo e non pensiamo che sia un caso se il 33 e Robert Horry siano stati i due interpreti supremi: fanno tredici anelli in due ma non ve lo racconteranno durante Nba Action.
Un passo indietro (ma mille in avanti nel cosmo..) al Dream Team 1992 con le parole del grande Chuck Daly, l'allenatore di quel convitto di semidei: "Lo so che Michael era il meglio, ma Pippen in quella squadra era il giocatore migliore". 
Ve la ricordate la sua marcatura individuale, da cineteca, su Oscar Schmidt? Quando si scrive di Barcellona e del torneo olimpico, si indugia sul significato globale di quel blockbuster dimenticando la lezione evolutiva delle partite: l'infortunio a Stockton privò gli americani dei playmaker; ma Team Usa ne approfittò per abolirne il ruolo classico, utilizzando Jordan, Drexler e soprattutto Pippen (l'epitome della point forward) come portatori di palla e creatori di gioco. The Natural, al netto degli scottiehaters, ha sempre avuto tanti ammiratori; un anno la rivista Slam chiese ai big della Nba chi avrebbero voluto essere, scegliendo riferimenti contemporanei. Una moltitudine scelse Afroman, tra gli altri Penny Hardaway, Da Glove Payton, Mitch Richmond, Chuck Barkely, l'Ammiraglio Robinson; come dichiarò Reggie Miller: "E' l'unico in questa lega che può segnare cinque punti e dominare lo stesso una partita."
Il regno terminò a Salt Lake City nel 1998, in una gara6 dalle emozioni fortissime: fino all'epilogo fu una saga che spiegò la poliedricità del trentatre, che nella terza recita paralizzò gli Utah Jazz forzando quattro sfondamenti (due di Karl Malone!). All'ultimo ballo a Pip saltò la schiena, i Tori rischiarono il collasso e Jordan si confermò il Babe Ruth moderno; il destino di Patroclo rimase intrecciato con quello di Achille per sempre. Fu incredibile nell'ultimo quarto vedere la reazione di una squadra che rifiutò la sconfitta, idealizzata dallo stupefacente lavoro individuale di Rodman sul Postino.
Lo scioglimento dell'impero lo portò, dopo la serrata, nel luogo sbagliato al momento sbagliato; l'esperienza a Houston fu un fallimento totale viste le premesse e la compagnia di Olajuwon e Barkley. Poi a Portland, in una congrega di talenti a metà tra genio e follia, esibì la saggezza di Geronimo; i Blazers 2000 incrociarono lo spirito del '77 e poi (all'improvviso) aderirono alla Legge di Murphy. Accolita comprendente il Cabaret Voltaire dell'intelligenza cestistica in almeno tre ruoli (Sabonis, Steve Smith e voi sapete chi), nonchè una serie di buzzurri baciati da Dio nel corpo ma incapaci della minima disciplina tattica. Afroman, l'uomo che vedeva il gioco ovunque, alle prese con la (de) generazione cresciuta a isolamenti e pick and roll; fu quasi un successo clamoroso, anche nelle parole di coach Mike Dunleavy. "Da allenatore lo adoravo. Il collante, il professionista modello. Era quello che faceva il passaggio che portava all'assist, che deviava il pallone per un recupero e prendeva il rimbalzo per aprire il contropiede."
Il rendezvous con i losangelini di Coach Zen, nella finale occidentale, fu la madre di tutte le battaglie in Sternville:
i Lakers partirono col turbo e sembrarono padroni del loro destino; poi, sul 3-1 lacustre, lo scenario si modificò radicalmente. Gli oregoniani demolirono il triangolo di Tex Winter; lo Shaq più devastante di sempre fu limitato dai raddoppi scientifici, eseguiti con un timing marziano, del Re degli Intangibles. Per quasi tre partite i Lakers sventolarono bandiera bianca e il blackout della truppa di Paul Allen, sopra di quindici nella bella e a dodici minuti dall'anello, fu veramente inedito: fino all'intervallo di quella gara7, l'Mvp della lega O'Neal aveva realizzato due soli canestri dal campo, terrorizzato dagli agguati del trentatre; la rimonta di LA nel quarto periodo ebbe la benzina involontaria di sette tiri sbagliati dall'ineffabile Rasheed Wallace, guru spirituale dei Jailblazers prossimi venturi.
Nel 2001, l'arrivo del fantasma di Shawn Kemp (imbottito di coca come Sly Stone nei seventies) si sovrappose alla partenza di un Jermaine O'Neal pronto a esplodere:
l'organizzazione, vogliosa di issare un banner al Rose Garden, implose seppellendo i sogni di gloria. Sul Sunset Boulevard della carriera, iperinfortunato, Pippen ci diede l'ultima dimostrazione pratica della sua grandezza. Gara5 del primo turno 2003 a Dallas, Do or Die per i Blazers con un Damon Stoudamire sugli scudi per quasi tre quarti; efficace nel suo eterno uno contro cinque ignorante. Poi, per provare a vincerla sul serio, Cheeks mise il trentatre prepensionato da mille acciacchi: senza più le gambe della pantera nera in maglia Bulls, da fermo, impartì una lezione di pallacanestro ai nove sul legno con lui. Dal post alto, utilizzando il q.i. di un Maestro geniale, l'Ornette Coleman dell'Nba spiegò per un quarto d'ora il verbo alla plebe di milionari tatuati e li portò (come il pifferaio magico) alla doppia v rituale. Fu l'ultima immagine, struggente, di uno dei più grandi vincenti del gioco, il nostro Bill Russell.
Vi risparmiamo le storie meno divertenti del post carriera di Scottie Pippen: i soldi (tanti, troppi) persi in investimenti azzardati e un paio di esibizioni finlandesi per racimolare un pugno di dollari. Ci auguriamo che la sindrome di James Brown si fermi a queste vicende. Il senso della rievocazione, azzoppata la sua versione ultramegaok in rampa di lancio (Grant Hill), è che uno come il sei volte campione Nba (e doppio oro olimpico) non lo rivedremo mai più. Non è solamente la narrazione di un'epica del Sogno Americano, di un ragazzino affamato dell'Arkansas che è passato dalla Fossa delle Marianne alla sommità del Monte Everest. E' l'opportunità migliore per comprendere le dinamiche meno banali e più importanti del gioco; il trentatre è un mistero, una contraddizione, che può svelarci le miserie del basket odierno. Perchè oggi, se sembri appena promettente, a diciassette anni avrai la fila degli agenti dalla madre o dallo zio. E a diciannove firmerai un contratto a nove zeri con un paio di aziende che sistemeranno la crew per decenni: non sarà più una priorità il piede perno a posto o l'hockey pass che sventra la difesa avversaria. Nemmeno l'estate passata a migliorare il palleggio con la mano sfavorita. Avrai una corte di yesman che ti adorerà e applaudirà ad ogni schifezza combinata per migliorare le statistiche personali. E' per quello che, la sera dell'elezione di Pip nella Casa della Gloria con Karl Malone e il fu Dennis Johnson, abbiamo visualizzato la distanza siderale che lo separa da quelli di oggi.
Una volta Bob Cousy disse che ci sono due tipologie di giocatori, definibili dal loro sguardo appena oltrepassata la metà campo: alcuni osservano i compagni, altri solo il canestro. Hanno convinto quasi tutti, soprattutto tifosi e commentatori, che la seconda razza (bugiarda) sia l'unica verità possibile ed immaginabile. Poverini.


Simone Basso 
(in esclusiva per Indiscreto)

Video:
1. 1987 NBA Draft - 5 - Scottie Pippen, Central Arkansas
2. 1987 NBA Draft - the Pippen vs Polynice trade
3. Pippen and Jordan dunk on the Knicks
4. Scottie Pippen 39/6/10/9 vs. Hawks (1994)
5. Scottie Pippen: Ultimate Defender
6. 2000 NBA Playoffs: Blazers at Lakers, Gm 5 - part 7/11

42 commenti:

pettanick ha detto...

Grazie, Simone.
Quando puoi regalaci altre perle come questa.

Roberto Gotta ha detto...

Ullallà!

axel shut ha detto...

mi mancano le parole...
sto cercando un parallelo nel calcio di una partnership altrettanto incredibile e mi vengono in mente solo Cruyff e Neeskens (altri due che sapevano fare più e più ruoli anche diversissimi)

P.S.: "non sarà più una priorità il piede perno a posto o l'hockey pass che sventra la difesa avversaria. Nemmeno l'estate passata a migliorare il palleggio con la mano sfavorita."
mi ricordo Bryant che l'estate scorsa (a 31 anni e 4 anelli già sulle dita) si prende Olajuwon come insegnante per imparare il gioco sotto canestro e poi penso a tanti altri (soprattutto nel calcio) che si credono arrivati appena mettono piede in una grande squadra

furio ha detto...

omaggio meritato ad un atleta con un percorso eccezionale - un mio carissimo amico peraltro ha studiato a Central Arkansas, che almeno a livello accademico è diventata una scuola molto rispettabile.

Ad un certo punto temevo quasi però che mancasse la doverosa citazione dell'episodio del non rientro in campo contro NY, mi auguro che avrai tempo e voglia di dedicare un post alle dinamiche umane dei Bulls spaziali e dell'assurdità di un gruppo lacerato da tensioni pazzesche e veri e propri odi personali (va ad ancora maggior onore di Kukoc l'aver resistito all'ostilità clamorosa dei mammasantissima) che sublimava tutto sul parquet

Unknown ha detto...

Simone, grazie!
Ecco perchè adoro Indiscreto.
Questi articoli li puoi leggere solo qui!
Da appassionato di basket ti direi: di più, di più...

Miky ha detto...

Instancabile Simo, magistrale rivisitazione del Pippen-pensiero su questo Gioco!

Del più classico degli eleganti dinoccolati la cosa che più mi impressionava, la stessa che si dice dei massimi interpreti di uno sport qualsiasi esso sia, era la tremenda facilità nell'eseguire qualsiasi tipo di fondamentale, con grazia e leggerezza, non da ultimo lo stacco verso la lefty dunk dopo l'ultimo appoggio del terzo tempo. Decollava, e senza far rumore. Tanto delicato all'inizio del movimento quanto potente nella conclusione.
Quelle braccia hanno notevolmente aiutato un talento dei più affascinanti di sempre, ma Scottie 2 Hottie non credo avrà mai la giusta riconoscenza, se escludiamo queste e poche altre righe.

PS: il paragrafo finale sembra l'incipit di un "He Got Game" letterario...
bye!

Italo Muti ha detto...

@Simone

Quando sei così in forma, Mastro Olivari dovrebbe vietare i commenti, si va in adorazione e basta. Anche la tua ridondanza ci collegava direttamente con l'incedere di Pip nel campo, di questo ragazzaccio over the counter.
Per uno che ha l'immaginetta del 32di Lansing nel cuore, questo ritratto è la giusta continuazione alla Martin Ritt di un gigante del basket comunque sottovalutato.
Italo

Simone ha detto...

@Pettanick,Simoneair23:grazie!
Nel futuro prossimo arriveranno anche un paio di ritratti europei...

@Roberto Gotta:ola!
Ci fossero ancora i direttori di periodici sportivi disposti a pubblicare queste monografie zingare...

@Axel Shut:danke.
Paragone decisamente azzeccato quello con i due tulipani.
Kobe,piaccia o meno,è uno studente del gioco;prosegue una tradizione indispensabile del basket.
Chiunque si ricordi il Ginobili del primo anno a Reggio Calabria o il jumper mediocre del Magic rookie comprende l'applicazione feroce di questi atleti nel corso degli anni.
Non so se è un record,ma Pip migliorò tutte le sue statistiche personali per sette anni consecutivi.
Il prossimo con quel tipo di etica lavorativa?
Kevin Durant,of course.

@Furio:merci!

I Bulls della prima tripletta furono una saga degna di un serial televisivo.
La leggenda racconta di una pessima partita e del volo aereo notturno:Horace Grant,che consuma la cena tranquillamente,vede arrivare MJ.
Che prende il piatto dell'uomo di Clemson e lo getta via:"Hai giocato di m***a,uomo.Non meriti di mangiare."
I due iniziano a menarsi con il 33 e Scott Williams che provano a dividerli...
Sono pochi gli ex compagni che si lamentano dello Scottie da spogliatoio,era un collante anche fuori dal campo.
Con Kukoc i rapporti sono ottimi,incredibile ma vero.

La stagione trionfale,quella delle 72 vittorie,ebbe il prologo di una scazzottata tra Steve Kerr e $(...).
La commissione interna era rappresentata dal Breakfast Club,il trio(MJ,Pip e Ron Harper)che si ritrovava due ore prima degli allenamenti per sedute extra(torniamo al discorso dei topi da palestra..).
Proponevano(e imponevano..)a Jackson di tutto.
Arrivarono a far cambiare il numero di maglia di Randy Brown per scaramanzia(sic)dopo alcune partite sfortunate.
Il 23 e il 33,allo United Center,si cambiavano in una stanza apposita,sparati dagli altri giocatori.
Ciò era dovuto anche alla folla di giornalisti che si accalcavano per fare domande al dynamic duo...

@Miky:thank you,man!
In queste settimane,in coincidenza dell'elezione nella HoF,ho letto articoli molto interessanti sul soggetto.
Rimangono ahinoi alcuni scottiehaters,ma l'impressione generale è che l'Afroman diventerà un culto per gli appassionati veri.
Quelli che non si fermano all'esteriorità circense del giochino.
Per farla breve,è il Tim Duncan di ieri...
Ah,Pip ha su YouTube il canale monografico più bello dedicato a una stella dell'Nba.

Scottie33Pippen

@Italo:spasiba!
Beh,sai che ho un debole per Buck.
Alla cerimonia di qualche giorno fa ha parlato alla folla insieme a Larry Bird:il carisma dei due è ancora intatto.

Simone ha detto...

"..in una stanza apposita,separati.."

alessiobaccetti ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Straw61 ha detto...

Simone, gran bel pezzo...come sempre ! Io non mi iscrivo certamente tra gli Scottiehaters ma mi consentirai un posticino tra gli Scottiedoubters. Condivido tutto quello che hai scritto sulla grandezza del personaggio che alla "luce" nell'NBA dell'ultimo decennio ne esce come un gigante. Ma il "what if ?" mi rimane...fortunato e sfortunato nello stesso tempo per aver giocato quasi tutta la carriera al fianco del più grande di sempre. Diciamo che non mi è mai sembrato avere quella durezza mentale propria dei primissimi violini...senza la copertina MJ ha fatto benissimo il suo, senza però fare il salto di qualità, banalizzando molto, passare da 20 a 30 punti a partita, ma il concetto è quello.

ps Da nostalgia canaglia il richiamo a Larry Kenon, il Doctor J dei poveri, col suo jumper a gambe raccolte all'indietro...

Simone ha detto...

@Straw61:thanks!
Comprendo i tuoi dubbi su uno Scottie da trenta a serata;infatti durante il primo ritiro di MJ era sui 22.
Pip non aveva tre caratteristiche da trentellista:l'egoismo,ha sempre avuto l'animo della point-forward,la difesa doberman che impone pause nell'attacco del canestro avversario e il jumper da ricezione immediata e sparo.
D'altronde,con il tiro di un Mitch Richmond Chicago sarebbe andata per l'82-0 ogni stagione...
Poi,se si analizza il post Bulls,dobbiamo dare un'occhiata alla carta d'identità:a Portland nel 2000 ne aveva 34 ed era reduce da un'operazione alla schiena.
Però era molto di più,nel senso delle caratteristiche tecnico tattiche:è curioso che la maggiorparte dei suoi presunti epigoni attuali siano di scuola europea.
O forse raccontano qualcosa sull'involuzione delle ali piccole Made in Usa:con l'eccezione del primo KG,l'unico vero erede,ci sono i vari Kirilenko(quello degli esordi..),Diaw,il Turkoglu di Orlando.
E dire che il classico all around,che nella Spaghetti League era diffusissimo,era proprio yankee:senza scomodare i fenomeni mi vengono in mente i John Johnson,Paul Pressey,Rodney McCray.

Kenon,rivisto decenni dopo,era impagabile:i difetti da All Star Me,Myself And I e i pregi di un atletismo incredibile...

Tani ha detto...

Simo, what can I tell you, man? Speechless!

Posso solo ripetere quello che dico sempre, ci vuole una versione "english" delle pagine dedicate al basket su Indiscreto. Sono sicuro che Straw puo aiutarci...
Prima che il 2012 arrivi, io mi sto copiando tutti i tuoi pezzi, quelli di Stefano (Olivari) e quelli del altro Stefano (Micolitti)dedicati al basket. Ne faro una bella raccolta, sperando che il supertifoso di DWade un giorno impari l'italiano,perche per quanto io posso sforzarmi a tradurre...

Simone ha detto...

@Tani:grazie!
Il problema della mia scrittura è che è pensata in italiano...
A proposito di Wade:mi auguro che il Maestro col gel sottoponga l'altro,il cosiddetto Prescelto,a una bella Cura Ludovico.
Ore e ore di filmati di Scottie Pippen,per comprendere che si può dominare il gioco senza masturbarsi con l'arancia a sette metri dal canestro.
Soprattutto se giochi con uno che è meno all around,ma mooolto più closer nei finali di partita come Flash.
Ecco,se lo convincerà a spostarsi in post(come Pip nella Triangolo)e a evitare i jordanismi,la dinastia sarà una realtà.
Anche con Crosariol al posto di Bosh...

Dane ha detto...

Provo a rovinare la festa dicendo che su Pippen l'ho smepre pensata come Dan Peterson, che lo riteneva una specie di Worthy (oggi potremmo fare il paragone con Ibra...).....

Dane ha detto...

Continuo a rimpiangere un edit... :-P

Simone ha detto...

@Dane:vabbè,Peterson...
Non è male essere James Worthy,ala piccola ipertrofica,il bersaglio ideale(nelle corsie di contropiede)delle assistenze fucilate di Buck.
Eccellente in post con un movimento che è diventato un trademark.
Però l'ex Tar Heels era un pezzo(importante)del puzzle,Afroman invece è stato il perno tattico della dinastia.
Infatti i primi Lakers avevano Jamaal Wilkes in nello spot di Worthy,small forward più duttile nel sistema di Westhead e Riley.
All'apice della carriera Big Games James era forse nella top fifteen della lega,il trentatre fu almeno sul podio.
Tecnicamente i due sono opposti:Worthy era un terminale offensivo,Pip l'ispiratore del gioco.
Per farla breve,il primo era sostituibile,il secondo NO.
L'ha detto più volte Phil Jackson:non c'è un giocatore di quella generazione che possa rimpiazzarlo.
Nell'annata 1998 saltò l'inizio stagione per un'operazione al piede.
Il primo mese i Bulls persero partite imbarazzanti;sistemarono il record(fino a quel momento 12-9)grazie a una striscia di otto partite su nove allo United.
Al rientro del 33 erano 24-11,con Pip fecero 36-8...
Il paragone calcistico è improprio,se non utilizziamo quello di Axel Shut(Neeskens) potremmo spenderlo con Paul Breitner.

Ah,Knicks Hollins for life.
http://bleacherreport.com/articles/443810-united-center-scottie-pippen-statue-10-ideas-for-the-statue-10-ideas-for-the-statue#page/2

Italo Muti ha detto...

@Simone

Più che Breitner direi Overath 1970, chissà se te lo ricordi. Per il resto concordo. Magic asse portante di LA show-time, tutti dettero di più delle loro doti, ma sono fenomeni che s'incontrano raramente. Come il 33 del trifoglio, ovviamente.
Italo

Simone ha detto...

@Italo:certo che mi ricordo dell'architetto del Colonia,centrocampista geniale.
Non rivedremo mai più un asse play-centro come Magic-Jabbar.
E nemmeno un "contorno" composto da Nixon,Wilkes,McAdoo...

Italo Muti ha detto...

@Simone

Secondo te Pianigiani, come sta lavorando? A me sembra molto Pat Riley prima maniera, anche per come veste e per il gel nei capelli. Il tempo è il miglior coadiuvante e forse, avremo una squadra.
Italo

Simone ha detto...

@Italo:il Pettene al solito ha scritto un'ottima disamina tecnica della situazione(nei commenti dell'articolo di Eleni).
Il problema dell'Italbasket è che vent'anni fa si racimolava tanto materiale umano,grazie anche al basket boom,oggi(in piena crisi di vocazioni cestistiche..)i margini sono ristretti.
Inoltre,come succede anche nel tennis,la globalizzazione ha modificato i confini internazionali del gioco,espandendoli.
Più concorrenza quantitativa quindi.
Abbiamo tre giocatori Nba,due di loro sono potenzialmente eccellenti nel loro ruolo:per riprendere il pezzo sul 33,c'è uno specialista come Bargnani(che fa un paio di cose al massimo livello)e un giocatore di squadra di alto lignaggio(Gallinari)spendibile anche nelle vesti di closer.
Mancano i luogotenenti,ma il mio omonimo sta impostando un certo tipo di lavoro:i progressi dovranno verificarsi soprattutto in difesa,al momento il segmento tattico più carente.
Poi,logicamente,ci sono i limiti del personale:ieri sera,osservando Usa-Croazia,era evidente il divario di cilindrata tra alcuni americani e i croati.
Westbrook,rispetto a un Ukic,sembra provenire da un pianeta differente...

Marattroni ha detto...

Simone ti chiedo scusa per il ritardo. GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE.
Da uno Scottielover totale. I miei primi 3 pesci rossi si chiamavano Michael, Scottie e Toni. La dico a totale provocazione, ma nel mio ideale quintetto all-time il posto da 3 lo prende lui. Nonostante Doctor e Larry. Per esplicitare, vi dirò che è Magic-MJ-Scottie-Hakeem-Jabbar.

Simone ha detto...

@Marattroni:prego!
Bella quella dei pesciolini rossi..
E pure la "tua" squadra,visto che la potrei allenare anch'io..
Per ogni spot si potrebbero proporre dieci nomi validi,pensa come tre(oltre ai citati)a Elgin Baylor e Rick Barry.
Scrivendo di versatilità,il primo riferimento certo è Maurice Stokes,l'ultimissimo è Kevin Garnett.
Cinque ruoli su cinque ad altissimo livello?
Mo e Buck.
Quattro?
Ieri Pip e Grant Hill,domani Lbj.
Tre?
Big O(un inchino doveroso),Rock Jabali,Sugar,Penny.
Sheed,KG.
In futuro punto su Batum,il francese...
In Europa lo swingman per eccellenza fu Delibasic;nel settore frontcourt Sasha Volkov.
Altro materiale pregiato:il Cameriere,Bodi e(oggi)Papa il greco.
Poi,americanizzati,AK47,Turkoglu e Diaw.
In Italia?
Meo Sacchetti.

Marattroni ha detto...

cmq cito le parole di uno che dovrebbe intendersene, tale Jerry Sloan (penso detta dopo the Flu game, ma potrei sbagliarmi): MJ è, è stato e sarà il più grande PG, la più grande SG, la più grande SF e PF della storia, e se ci avesse giocato, nonostante i cm, sarebbe stato uno dei 5 più grandi centri della storia.
Io non gli dò torto.

Dane ha detto...

"@Dane:vabbè,Peterson..."

Vabbè, il vostro idolo ha definito "Mozart" un perdente.....

Simone ha detto...

@Marattroni:sulla grandezza di MJ si potrebbero scrivere tomi interi.
Però Sloan in quel caso era enfatico;una volta chiesero un paragone tra John Stockton e il "suo" Magic a Pat Riley e il coach rispose così:"E' meglio di Earvin nella lettura a metà campo,ma nessuno potrà chiedergli di marcare Roy Tarpley in post.."
Ricordi l'esperimento da play di Air nei Bulls 1989?

@Dane:l'idolo di chi?

Ataru ha detto...

Beh anche mito Tavcar non è stato troppo morbido con "Mozart"

http://www.youtube.com/watch?v=yn-0hdpzRvg

Simone ha detto...

@Ataru:è la telecronaca della partita più bella mai giocata sul suolo europeo.
Nonchè dell'ennesimo scippo subìto da un club italiano negli Ottanta.
I pareri dell'epoca sul Diavolo di Sebenico non è che fossero così concordi.
Giordani su SB era sempre ruvido...
E se andassimo a rileggere i giornali americani ci divertiremmo molto:ricordo un "Razen",per sottolineare le lacune Difensive di Mozart.

Dane ha detto...

E vabbè, abbiamo sistemato anche Mozart......

Simone ha detto...

@Dane:sono solo opinioni,talvolta supportate da dati tecnici,altre volte dall'emotività del momento.
Quando Shaq vinse con Miami,2006,alcuni opinionisti scrissero che Kobe Bryant era "..overrated and a loser."
Poi per il classico "jump on the wagon" c'è sempre tempo.

Dane ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Dane ha detto...

Perfetto, quindi se sono solo opinioni posso definire "solo opinioni" anche quelle che bestemmiano sul più grande giocatore europeo di sempre o mitizzano oltremodo il più lussuoso dei secondi violini?!...
Ovviamente è solo un opinione. La mia.....

Simone ha detto...

@Dane:appunto,è l'opinione su un poster.
Drazen Petrovic è stato il giocatore più importante della storia del basket europeo perchè ha ridotto le distanze della pozza.
Un pò come Cristoforo Colombo...
E sull'argomento ci ritorneremo.
Mitizzare chi?
Il pezzo è doveroso perchè prende in considerazione ciò che non si vende al pubblico:l'aspetto tecnico tattico del gioco.
Ed è curioso che a Springfield siano entrati insieme tre eterni sottovalutati:Pip,DJ e Gus Johnson.
Si chiama Hall of Fame,non House of Scoring;il più grande vincente di sempre,Bill Russell,non ha mai segnato venti punti a stagione.
In Italia potremmo fare lo stesso discorso per Meneghin...

Marattroni ha detto...

Simone una domanda: non pensi che la maglia del Pesce, una volta che questi smetterà di sguazzare nel mare gialloviola, dovrebbe stare appesa al soffitto dello staples?
A me sembrerebbe DOVEROSO.

Simone ha detto...

@Marattroni:dal punto di vista sentimentale c'è già...
Però se guardi i numeri ritirati la lista è di un livello spaventoso.
Ci sono helluva players che furono il meglio dell'epoca e/o di sempre(Mikan,Pollard,West,Baylor,Chamberlain,Jabbar,Magic)e giocatori importanti(gli altri..).
Ho visto Fisher condurre "Jim Rome Is Burning" su Espn:ha intervistato Jennings e un tizio(..)al quale il numero glielo ritireranno di sicuro.
Il Mamba.

Dane ha detto...

"@Dane:appunto,è l'opinione su un poster."

Perfetto, basta mettersi d'accordo che i poster han tutti lo stesso valore. Perchè se cominciamo col "il mio poster è più bello del tuo" è finita.....

"Drazen Petrovic è stato il giocatore più importante della storia del basket europeo perchè ha ridotto le distanze della pozza."

Secondo me non è il più importante ma il più grande. Anche pensando al fatto che più che il "perchè" pesa il "come". E' come se la cavalleria polacca con cavalli e sciabole avesse sconfitto i panzer tedeschi.....

"Si chiama Hall of Fame,non House of Scoring;il più grande vincente di sempre,Bill Russell,non ha mai segnato venti punti a stagione."

Mai fatta una questione di punti o di vittorie, bussi alla porta sbagliata.....

Simone ha detto...

Dane,sei in nomination per lo Skip Bayless Award.
L'unico poster che potrei esibire sul basket è una raccolta di concetti semplicissimi e di una lucidità spaventosa.
Un mantra contagioso.
Li scrisse anni fa il Dottor Jack Ramsey,uno "bravino"(avresti dovuto leggere cosa diceva di Afroman nel sistema dei Bulls..)nel suo mestiere.

http://hoopthoughts.blogspot.com/2009/07/dr-jack-ramsays-dozen-absolutes-in.html

Su Petro le metafore storiche vanno benissimo ma è meglio sviscerare la sua importanza tecnica nel basket europeo.
Portò al potenziale massimo,grazie anche alla introduzione della tripla,il loop del palleggio,arresto e tiro(con finta incorporata),classico trademark slavo dei Settanta.
Favoloso nell'uno contro uno e nello scarico dopo penetrazione(il suo vero movimento copyright).
Una combo guard con il fisico da due e il ballhandling da uno.
Più alto di Galis,meno classico di San Epifanio.
Eppure,nel suo ruolo,non sono sicuro che fosse il migliore della sua generazione.
Sarunas Marciulonis dove lo mettiamo?
Gamba,esagerando,lo definì il Jordan continentale;ma le doti del lituano erano impressionanti.
Forza fisica spaventosa,eccellente nella marcatura altrui,slasher di livello e closer notevolissimo.
La differenza col Diavolo di Sebenico?
Tarzan lo si vedeva pochissimo perchè relegato a Vilnius...
Ecco dunque l'importanza dell'immaginario collettivo:Drazen giocò a Zagabria e poi a Madrid col Real;firmò per la Reebok e la Winston.
Era visibilissimo,oltre che un grande campione.
L'altro potè uscire dall'Unione Sovietica solo un anno dopo l'oro olimpico.
Eppure ebbe un impatto notevole in Nba.
Dall'Urss a San Francisco in pochi mesi...

Le cifre dei due.

Sarunas
Regular Season 363 gs 12,8 pts in 22'
Playoffs 17 gs 13,7 pts in 26'

Drazen
Regular Season 290 gs 15,4 pts in 26'
Playoffs 29 gs 10,2 pts in 21'

La media post season di Petrovic è inficiata dagli anni nei Blazers,dove si ritrovò in una rotazione impossibile(Porter,Drexler,Ainge..).
Proprio come Tarzan nel meglio dei suoi anni ai Warriors.
Era un sesto uomo fantastico,che cambiava le partite.
Era la smallball di Don Nelson all'apice:SM ha dovuto "rubare" i minuti a Tim Hardaway,Mitch Richmond,Chris Mullin,Latrell Sprewell,Mario Elie,etc.
L'altro "esploratore" europeo invece si trovò,ai Nets(il Turmoil Team..),nella situazione tattica ideale e,sfruttando doti sempre più sviluppate,fece il terzo quintetto Nba.
Che impatto avrebbe avuto l'ex Statyba in un contesto favorevole come quello del croato?
Facciamo 20 a sera pure per lui?

Dane ha detto...

Simone, credo di non aver capito bene per cosa sarei in nomination, solitamente conservo le rabone dialettiche per le pagelle.
In ogni caso non sono un tecnico quanto voi, la mia era una valutazione liedholmiana (quindi vale pure per Marciulonis, certo...) che potrei rendere in maniera molto più sintetica rispetto alla tua: ai tempi di Mozart e per uno col background di Mozart era molto più difficile sbarcare in NBA e fare quello che fece Mozart, rispetto ai tempi della generazione di Novitzky&Parker&Co. (quella che un mio amico yankee chiama razzisticamente "l'NBA cani&porci"...).
Vale anche per Marciulonis ovviamente, diciamo che Petrovic era semplicemente leggermente (leggerissimamente?!...) meglio o forse questa era l'impressione per una maggior classe. E chi se ne fotte delle cifre, Inzaghi è a due gol da Van Basten.....

p.s.: poi certo, nel calcio i numeri si pesano mentre nel basket si contano un po' di più, ma l'hai citato tu Meneghin.....

Dane ha detto...

Ciao, siamo il Comitato Alter Ego di Dane, un sindacato composto dagli ultimi neuroni rimasti sani qua dentro. Volevo avvisarvi di lasicorlo perdere quando parla di Petrovic, perchè è obiettivo quanto un gerarca nazista al processo di Norimberga. Si è "limitato" a dire solo "il miglior cestista europeo di sempre" perchè occasionalmente Sebenico si trova in Europa. Si fosse trovata in America avrebbe tranquillamente detto "il miglior cestista americano di sempre".....

Simone ha detto...

@Dane:yep,mò ci siamo.
Questa è l'ultima intervista di Petro,ufficiale,in un magazine televisivo americano.
E' divisa con Kenny Anderson e il grande Chuck Daly:è anche divertente...

http://www.youtube.com/watch?v=4jgtjjjpQszw

A fianco c'è pure la sintesi del suo career high in Nba contro i Rockets.

Un minuto e mezzo di Saras,una belva.

http://www.youtube.com/watch?v=fumWbJomIS4

Sakyamuni ha detto...

Anche se in ritardo, con la speranza che presto arrivi un'altra monografia così generosa: GRAZIE!!!

Lo slogan di un famoso prodotto recitava: "La potenza è nulla senza il controllo". Bene: il basket attuale sembra negare questa filosofia. L'animale da cabaret Howard è considerato un grande centro, il migliore della lega, e Labbrone James si può permettere di tirarsela per finire a occupare il terzo posto da egoista a Miami.
Quindici anni fa il mio coach passava intere sessioni di allenamento a mostrare i video di hakeem, scottie, MJ & C., prima di spaccarci la schiena a "fondamentali" : altri tempi?

Ho l'impressione che di 'sto passo ci ritroveremo a vedere la RedBull NBA, con cultu-cestisti alla space-jam.

Simone ha detto...

@Sakyamuni:prego!
L'involuzione tecnica del gioco è evidente,anche in Europa.
James è un grande all around,con un corpo bionico e un potenziale pazzesco,che recita una parte "larger than life":il jordanismo,nel senso del marketing estremo applicato a un campionissimo,ha fatto tanti danni e ne farà ancora...
Il tuo accenno al miglior centro attuale è un assist per completare il discorso.
Questa è una statistica,interpretabile e discutibile,che somma la percentuale di vittorie di un singolo atleta nell'Nba,sommando regular season e playoffs.
Ebbene,le cifre di Kareem oltrepassano la fantascienza,se pensiamo anche alla dinastia Bruins nell'Ncaa.

Kareem Abdul Jabbar
.681 1223 w 574 l 36,9 minuti di impiego.
Scottie Pippen
.677 939 w 447 l 35,5'
Robert Horry
.675 912 w 439 l 25,1'
Danny Ainge
.667 824 w 411 l 26,5'
Dennis Johnson
.647 827 w 453 l 33,6'