I ricordi scaldano il cuore e la maggiore esposizione mediatica del basket italiano fa piacere, ma il ritorno in panchina di un grande dei Settanta significa che in Italia è stato buttato via un quarto di secolo. Quell'Olimpia e quella pallacanestro sarebbero in parte replicabili, se solo si volesse...
"Ho in mente di buttar giù una grossa pisciata in prima persona sulla avventura milanese, sul miracolo economico, sulla diseducazione sentimentale che è la nostra sorte d'oggi..."
(Luciano Bianciardi)
Qualche settimana fa, nel dì cartaceo del ritorno di Dan Peterson sul luogo del delitto (perfetto), eravamo basiti in un ristorante cinese a mezzodì: si constatava l'impatto mediatico, semidevastante, del Nano Ghiacciato sul quantitativo di pagine dedicate alla pallacesto dai quotidiani. Praticamente quadruplicate. L'effetto agrodolce, sfogliando la Gazza o La Repubblica, era assicurato: il timbro involontario di inadeguatezza, soprattutto culturale, su un movimento che (per un lunghissimo quarto d'ora warholiano) era diventato l'alternativa chic e intelligente a Commodo Calcio. Se non comprendiamo del tutto l'entusiasmo dei coetanei e dei più anziani, troviamo fuori luogo l'estasi di chi (per motivi anagrafici) quel basket l'ha solamente ammirato (...) grazie a spezzoni, solitamente sfuocati, finiti su You Tube. Essendo snob per scelta, quindi maledettamente scettici, ci auguriamo che questi ultimi non abbiano semplicemente aderito ad alcuni exploit catodici del coach portato nello Stivale dall'Avvocato Porelli. Perchè quella del capellone (..) da Evanston, Illinois, fu vera gloria; parallela, simbiotica, alla crescita esaltante della pallacanestro italiana nei Settanta e negli Ottanta.
In molti, troppi, dimenticano lo scenario di quei giorni: un territorio vergine, apparentemente infinito, da colonizzare con il grecale a favore. Il Dan Peterson che riportò la Virtus Bologna al titolo, dopo vent'anni di siccità, agì già in pieno basket boom; quello che, con la Banda Bassotti meneghina, chiuse il ciclo della Grande Varese era la ciliegina sulla torta di un settore in un'espansione che pareva inarrestabile. Il gioco che parlava ai giovani, agli studenti, con il linguaggio giusto: il decennio della cosiddetta Milano da bere fu lo zenith di tutto. Attenzione della stampa, presenze televisive quasi debordanti, la qualità delle contese sempre più alta: fu Spaghetti League perchè capace di attrarre tutto il mondo che contava al di fuori dell'Nba.
Si ebbe dunque personale qualificatissimo: il nucleo di indigeni più forte di sempre, americani a ventiquattro carati, gli esponenti Fiba più prestigiosi del periodo. E una serie clamorosa di cervelli cestistici sulle panche: la lista potremmo cominciarla con Nikolic, Paratore e Primo; proseguirla attraverso Guerrieri, Gamba e Bianchini... Con i regolamenti continentali contemporanei, quella Serie A "rischiava" l'en plein in un contesto come l'attuale di Eurolega; le differenze con l'Acb o il campionato dell'allora Jugoslavia erano imbarazzanti. Gli altri erano il terzo mondo, noi l'unico ponte comodo e transitabile verso il sogno americano. Ecco appunto la discriminante massima nel raffronto tra il 2011 e il 1987, l'anno del ritiro dorato di Peterson: quelli erano i giorni, "Golden years, golden world" canterebbe David Bowie. Rivederlo là, sul pino dell'Olimpia, è un tuffo al cuore e la constatazione del fallimento degli ultimi lustri. Sono ancora tutti incatenati al ricordo irripetibile di un'epoca e nel frattempo sono accadute cose turche, folli.
I prodromi erano già evidenti, basterebbe rileggersi l'ironia al plutonio di Mister Pressing sui Superbasket di allora, ciò che si verificò fu profondamente italiano. Per raccontarla con Aza: "Prima munto tutto il latte da vacca e poi rovesciato il secchio con calcio." In soldoni, si è scopiazzata la grandeur pallonara, senza comprendere le possibilità politiche e sociali (puramente ricattatorie) di quel pianeta. Si è svenduto un immaginario potentissimo per un po' di caviale e champagne: salari impossibili da sostenere, strutture insufficienti, la coprofagia del presunto "diritto sportivo", etc. Il tutto speziato dall'arrivo catastrofico della Bosman, il cavallo di Troia di una modernità che ha reso indispensabili le figure più mefistofeliche dello sport, ovvero i procuratori. Abbiamo sacrificato, sull'altare di una globalizzazione idiota, la Reyer Venezia, le due Livorno; ci fu il trasferimento della Stefanel a Milano, staccammo la spina a Torino e Firenze. Siamo riusciti ad assistere all'umiliazione di Basket City, Bologna, su entrambe le sponde: un'impresa al contrario. L'immagine perfetta, la cornice in oro finto, furono forse i proclami del leggendario Mimmo Barbaro, il presidentissimo della gloriosa Viola Reggio Calabria. Quello che per qualche settimana (nell'estate caldissima del 2001) convinse Myers, Recalcati, Ilievski con i soldi del Monopoli: ve le ricordate le conferenze stampa phytoniane, con l'annuncio dell'arrivo di Sabonis?
Sono passati i barbari, i lanzichenecchi, a devastare la terra promessa e l'erba, da quei dì, non ricresce più. La lega più competitiva d'Europa si è trasformata in un'imitazione del campionato israeliano: con Siena meritatamente nei panni del Maccabi. Il resto è la concorrenza (ri) montante e lo sguardo strabico verso Sternville. La questione è sempre quella: perchè un ragazzino, intortato anche dal marketing atomico dell'Nba, dovrebbe interessarsi all'avanspettacolo fornito dall'ormai ex Spaghetti League? La risposta corre nel vento, stavolta contrario, di un libeccio umidissimo...
L'epilogo è d'obbligo: avendo l'età sbagliata, ahinoi, ci piacerebbe descrivere quella Milano petersoniana vista dal vivo. Smontando alcune favole costruite, le solite leggende metropolitane che attecchiscono sull'ignoranza altrui. Ricordiamo un "Cuore e batticuore" di un articolo di Giganti che la dipinse alla perfezione. L'Olimpia dei record partì con l'acquisizione di Meneghin e fu un esempio, inquietante per chi la supportava, di combo che pareva camminare su un filo sottilissimo. Essendo una combriccola di veterani si gestivano: squadra incapace di mantenere uno standard normale, visse sempre per ricompattarsi nelle grandi occasioni.
L'anima era D'Antoni, il compendio più elegante mai ammirato nel Bel Paese alla categoria playmaker. Insisteva troppo col palleggio destro, tiratore discontinuo, talvolta un caratteraccio; ma, negli ultimi due minuti delle partite vere, fu il bipede più dominante mai visto nel Vecchio Continente.
Pierre Boulez al quadrato, il direttore d'orchestra dei sogni: MAI una scelta tattica e tecnica sbagliata.
Negli anni, un solo erede si è intravisto all'orizzonte: Sarunas Jasikievicius, forse. Michelino veniva spremuto alla Riley da Big Little Dan: dovette inventarsi una sorta di autogestione sul campo, scegliendo i momenti più adatti per i celeberrimi blitz difensivi. Poi la cazzimma del Menego, i suoi blocchi al titanio, la capacità di essere utile ovunque, anche negli intangibles. La mitica Elle che coinvolgeva il duo fu il passepartout per gli assaltatori che si inserirono in quella era: il dinamitardo Premier, l'italiano più slavo di tutti, le missioni possibili di FranBoselli, quelle impossibili di Gallinari.
E una schiera di yankee da sballo.
Gli operai specializzati, i più utili, alla Gianelli e Schoene; gli altri, gli assi o presunti tali, che si alternarono alla buona tavola del Torchietto. Del primissimo Billy, il ricordo va a C. J. Kupec, realizzatore spaventoso. Il Cureton di qualche partita (il back up di Moses Malone ai Sixers!) mostrò il potenziale super di quella Simac: finì come in un film di spionaggio, con Peterson che lo rincorreva in taxi (verso Linate...) dopo che Earl si era fatto convincere da un garantito per tornare a casa. Poi passarono i Carr, il Macca della tripletta; per sei mesi ci si estasiò di fronte a Geibì Carroll: uno che, venti mesi dopo, fece l'All Star Game Nba. Per far capire l'antifona, in quell'evo uno come Joe Barry condivise lo spot di centro con Kareem Abdul-Jabbar e Hakeem Olajuwon...
Eppure lo squadrone fu tale soprattutto nei rovesci: la finale fratricida di Coppa Campioni, con Cantù a Grenoble '83, decisa da un'invasione di campo a un secondo dalla fine. L'anno dopo, 1984, un'altra sconfitta con l'asterisco opposti al Real Madrid di Corbalan, stavolta in Coppa Coppe, e poi l'amaro calice della stella virtussina. Brunamonti, Van Breda Kolff (uno scienziato), Bonamico, Villalta (un califfo). Le vitolate celeberrime. Persero gara3, al Palazzone, in una finalissima dalla bellezza stordente: lo fecero con gli errori decisivi, dalla lunetta, di Bariviera e dopo le polemiche roventi di una squalifica federale a Meneghin.
Fu sempre e comunque basket doc, affascinante, giocato con la grinta e l'abnegazione dei duri e puri. Il Peterson, al di là dell'arma psicotattica della Uno Tre Uno, era il catalizzatore, il guru.
Squadra piatta, parziale degli avversari? L'uomo dell'Illinois si faceva cacciare per proteste (studiatissime) agli zufolatori. Un paio di minuti di caos e al rientro dal baillamme, con Casalini allenatore ad interim, i suoi rimontavano con la bava alla bocca. Pensiamo che lo score post sceneggiata napoletana fosse 20-1 o giù di lì; il segnale di guerra lo mandava Geronimo Mene Ghin, spazzando via di forza, alla prima occasione utile, la concorrenza a rimbalzo offensivo.
Tanobelloni (...), sugli spalti di San Siro, era chiaccheratissimo: lo si accusava di fare troppe cose, con inevitabili distrazioni per la truppa. Scriveva articoli e libri; intervistava in tivù Rivera e Moser; ballava in discoteca, novello Don Lurio, avvinghiato alle grazie di Matilde Ciccia. Però, in quel momento storico, era perfetto per le manie di grandezza dei Gabettisti e del pianeta cestistico tricolore.
Fu un Mourinho simpatico, diabolicamente paraculo. La mentalità vincente che installò stava nel sadismo del meno quarantacinque, in stagione regolare, contro la Scavola di Kicia e Bouie (1981-82) e nei trentuno beccati a Salonicco dall'Aris del dioscuro Galis in Coppa. Una portaerei inaffondabile, dallo spirito misterioso, che diventava irresistibile quando fiutava la brezza dell'impresa storica.
Nella ghiacciaia di Losanna, in un Mercoledì da leoni, l'apice assoluto della Tracer e (senza capirlo quella sera) il vertice invalicabile dell'intera esperienza di uno sport meraviglioso nel Bel Paese.
Peterson scese lì, sulla cima dell'Everest, con la scorta di bombole.
Inutile quindi, nell'anno di grazia 2011, chiedere miracoli a un settantacinquenne intercettato verso gli uffici dell'Enpals: potrà semplicemente traghettare l'Armani verso l'approdo di Ettore Messina. Perchè lo snodo della vicenda risiedeva integralmente nel manico: tre coach tre, nella storia Olimpia, fino al pokerissimo contro la Juvecaserta. Una successione disperata, senza soluzione di continuità, nel post Rubini/Faina/Peterson. L'omicidio del baloncesto italico dimora nell'uccisione sistematica del tempo per lavorare e crescere. I roster pantagruelici, con trenta pallinfaccia in una sola stagione, europei orientali dal nome impronunciabile, americani scartati dall'Nbdl (...) e i nostri che avrebbero faticato (nel famoso 1987) a far la squadra in A2. Non chiedeteci dunque parole di conforto sulla situazione attuale; se si invertirà la rotta, un bel dì, lo capiremo subito. Basterebbe ricominciare con pochi concetti, semplici: restituire un'identità locale alle varie realtà, abolire le retrocessioni, finirla col mercato tutto l'anno e la guerra tra bande. Vi auguriamo, giovinastri, di divertirvi quanto ci siamo divertiti noi; anche se, raccontando le vostre fandonie ai bimbi di domani, non riuscirete a far passare Mazzarino e Ortner come novelli Marzorati e Jim Brewer. Questo no, nemmeno assumendo un forte quantitativo di ossicodone...
Simone Basso
(Pubblicato tra breve anche su http://www.europeansportservice.com/)
P.S. Dedicato a tutti coloro per i quali Lauro era Tullio.
26 commenti:
Bravissimo.
Splendido!
@Magister
Fluviale ed eroico, come sul Monte Grappa. La cosa più devastante è la descrizione, da dilettanti, della rottura di un mondo fantastico che viveva di vita propria e non riflessa, una speranza oltre il calcio. direi anche finalmente.
Per me, tifoso varesino da sempre.il cambio di casacca di Menghin fu un colpo al cuore che non riuscii mai a digerire.
Fu, in ogni caso, la degna continuazione di una leggenda ancora più grande, quella di varese, Ignis e Mobilgirgi che qui, per motivi angrafici ricordiamo in presa diretta in pochi.
Santè Magister, alla golden age che fu, aspettando Carlo Magno, visto che Odoacre ha da tempo rimandato le insegne imperiali a Bisanzio.
Italo
Articolo meraviglioso, da incorniciare, mi permetto di dissentire sull'anima di quella squadra che a mio avviso era l'ariete di spresiano, il vero uomo dell'impossibile e dei maroni spianati nei crucial moments, compresa l'artestata contro tutti di livorno, ideale congedo per il tripallico trevigiano. Liquidato lui(per Riva!) quel team leggendario è letteralmente imploso in maniera anche abbastanza ingloriosa, complici anche i limiti anagrafici e la disastrosa scelta come secondo iuessei del cavallo (bolso) di ritorno cureton, poi sostituito dal bizzarro orlandone graham.
P.s. ricordo anch'io le foto del nano ghiacciato avvinghiato alla Ciccia su Sb, bei tempi...
Quoto tutto, ma soprattutto l'attribuzione al Nano Ghiacciato di una posizione ENPALS (invece che quella INPS attribuitagli da qualche mente di corte vedute...) e la dedica al grande Tullio (mitico, col suo cazzo di codino da Studio 54...): m'era venuta in mente nei giorni scorsi leggendo le polemiche sull'altro Lauro in coda ad uno degli ultimi pezzi di Eleni...
@Dane
sei un fiscalista, quasi da ige
Italo
Ma no, sono gli altri che sono dei meri impiegati e non riescono a capire la reale portata del lavoro dei Grandi... :-P
"...Il gruppo di indigeni più forte di sempre..."
Credo che in tempi più recenti il gruppo conmposto dai vari Myers, Fucka, Meneghin jr., Poz, Abbio, Bonora ecc. ecc. non fosse da meno.
Forse, malgrado gli anni 80 fossero ormai lontanissimi, in quel periodo grazie, alla Virtus (e alla Fortitudo), grazie alla nazionale c'erano le basi per ricostruire qualcosa di importante... Invece la Bosman e l'arrogante monopolio mediatico del calcio hanno eliminato ogni possibilità di rinascita...
ventennio irripetibile i 70-80, vissuti in corsia di sorpasso, da tifoso, atleta e appassionato...orfano dei miei eroi, continuai a seguire le gesta dei cugini, seguendoli con passione anche in epiche trasferte (Losanna in primis)...più che l'avvento del nano ghiacciato, il turning point si ebbe quando una società razzista (chi non si ricorda l'intero palalido/palazzone che urla "negro di merda" al colored di turno) si accorse che senza i fratelli non si sarebbe andati da nessuna parte...e il resto è storia con le vittorie firmate Carr, McAdoo, Barlow, Brown etc...poi il lento declino di uno sport che non riconosco più, fino al nulla odierno.
Simo, questo è troppo per le mie capacità da traduttore "all'amatriciana". Il kiddo dovrebbe imparare l'italiano per godersi questi pezzi.
@Marcopress:danke!
@Francesco74:mooolte grazie.
Anch'io,scrivendo l'articolo,ho pensato alla generazione Myers-Fucka.
Qualitativamente notevole.
E vorrei ricordare l'elemento più bodirogesco di tutti,il povero Davide Ancilotto.
Però il quantitativo della ciurma di fine Settanta-inizio Ottanta era quasi imbarazzante.
Ogni ruolo era coperto da tre-quattro giocatori di livello altissimo.
Un altro fattore determinante;l'Azzurra dei Meneghin,Villalta,Marzorati si batteva contro l'Unione Sovietica e la Jugoslavia.
Ovvero la Russia più la Lituania e le altre repubbliche sovietiche.
Nel 1999 la Banda Boscia fece un finale di Europeo super,esibendo una pallacanestro moderna,scintillante.
Ma proviamo a pensare alla Jugo unita.
Metto in squadra i presenti,non gli assenti(Komazec,Djordjevic,Rebraca,Radja..).
Divac,Nesterovic,Kukoc,Bodiroga,Mulaomerovic.
Tarlac,Smodis,Stojakovic,Danilovic,Zdvoc.
Mrsic,Giricek,Becirovic.
Si parte dal meno venti di handicap...
@Italo:merci!
Un bel dì Varese sarà proposta,ma si rischia la Treccani...
@Dane:grazie.
Siamo tutti una grande famiglia,noi iscritti all'Enpals.
Compresi Benedetto XVI e il Mago Silvan...
@Arturo:thank you,dude.
Il cerimoniere era il Baffo esperto di poker,un magistero tecnico con pochi eguali nella storia del gioco europeo.
Premier era l'ideale agonistico,l'ariete impazzito,di quel combo.
Concordo sullo scambio,a perdere,con Nembo Kid.
Il Roberto,per tornare al Nano Ghiacciato,era creatura petersoniana.
Lo difese e lo sviluppò tecnicamente.
L'uomo di Evanston fece almeno altre due magate:Bonamico e Villalta.
Quest'ultimo,alla Virtus,lo spostò all'ala grande.
Vide lontanissimo:un guerriero sotto le plance,pestifero quasi quanto Meneghin,con un jumper dai cinque metri(costruito nel tempo)inarrestabile.
Specialmente dall'angolo,una sentenza.
@Straw61:siamo sulla stessa scialuppa...
La mentalità Olimpia era parecchio ruppiana,trovo però ancora più inquietanti le parole di alcuni allenatori e giornalisti odierni sugli afroamericani.
L'aspetto più triste è quando si rinfaccia al Blake Griffin di turno di giocare troppo di fisico.
E dire che,da bimbi,volevamo saltare come il Doc o David Skywalker...
Sono reduce da un Orlando-Boston splendido.
I still love this beautiful game.
@Tani:ola!
Pensa che,dalle parti del Duomo,accennai al kid la storiella della ventitreesima squadra Nba.
Dovresti cominciare indicandogli,sulla panca degli Heat,quel signore alto con gli occhiali che funge da assistente.
Un Nowitzki che difendeva.
E proseguire con l'allenatore dei Knicks,che in maglia Olimpia è stato lo Stockton della Spaghetti League.
Articolo meraviglioso, condito da commenti (penso ad Arturo, ma anche altri) degni della stessa definizione.
Ero a Losanna (per sempre immortalato dalle immagini RAI finali, mentre abbraccio Kenny Barlow sul campo) e leggendo l'articolo ho quasi rivissuto la stessa emozione...
D'accordo sul fatto che l'ultima generazione veramente competitiva fu quella degli anni 90, però va detto che discendeva ancora dal basket pre-bosman, quando si curavano ancora i vivai. poi il colpo di coda (incredibile visto il livello medio della squadra) del 2003/04 e il boh odierno (ottime punte, ma livello medio scabroso, per qualità e soprattutto quantità)
Super-articolo (non dovrei dirlo, ma visto che purtroppo non lo devo vendere lo dico), che dovrebbe far riflettere chi partecipa a dibattiti del genere 'Meglio uno o due passaportati?'...ero anche io a Losanna (ma quanti eravamo?), nelle poche cornici che in nella cameretta c'è il biglietto e la copertina del programma...incredibile che 3 ore prima della partita si potessero incontrare i giocatori in giro per la città (!!!) a passeggio, forse non sono 24 ma 240 anni fa...dispiacere solo perché la squadra sconfitta era il Maccabi, piacere ricordando un tiro da...6 punti di Premier (concordo su lui anima della squadra, quando si schiacciava il tasto 'casino' era la stella indiscussa) cadendo all'indietro...e l'arrivo a Milano alle 5 del mattino, diverso da quello di ogni altra trasferta...c'era la chiara percezione che si era chiusa un'epoca (e non perché fossimo tifosi, visto che non lo eravamo)...di sicuro la parte più luminosa di quel ciclo fu quella dal 1984 in poi, con la naturalizzazione di D'Antoni che cambiò nettamente gli equilibri in un contesto in cui gli stranieri (che erano due) facevano la differenza...
io mi sono innamorato della pallacanestro quella sera della finale del 1983 ... e mi ricordo bene ancora l'eccitazione mentre me ne andavo a letto prima volta in cui potei sfondare il muro delle 20.30 come orario della ritirata.
Epico come sempre simone ... grazie mi hai fatto tornare a quell'epoca ... e alla fine dan ci ricorda gli anni spensierati della giovinezza e delle vittorie ...
ALE'
ALE'
ALE' CANTU'
:-)
Articolo bellissimo... si parla dei "nostri" anni e di una pallacanestro che per qualche anno smise di chiamarsi basket e brillò di luce propria. Condivido tutte le considerazioni tecniche, però credo che l'operazione Peterson sia soprattutto un colpo di tipo mediatico e un modo di dare una scossa all'ambiente. E vada quindi visto sotto questo aspetto, senza pretendere troppo.
"6 punti di Premier (concordo su lui anima della squadra, quando si schiacciava il tasto 'casino' era la stella indiscussa) cadendo all'indietro..."
Verissimo, ricordate l'asciugamano in faccia al telecronista RAI?! Una scena esilarante!!!... :-DDD
"anch'io,scrivendo l'articolo,ho pensato alla generazione Myers-Fucka.
Qualitativamente notevole.
(...)
Però il quantitativo della ciurma di fine Settanta-inizio Ottanta era quasi imbarazzante.
Ogni ruolo era coperto da tre-quattro giocatori di livello altissimo."
Sì, no, infatti...dai ragazzi, lasciamo perdere i paragoni, su.....poi Myers....facciamo le pulci a Ibrahimovic e poi paragoniamo Myers agli Apollo del basket italiano?! ma dai.....
"Ma proviamo a pensare alla Jugo unita."
Ma nemmeno per sogno, c'ho pensato per un attimo e mi è subito girata la testa.....non riesco nemmeno a leggere la lista dei nomi, non ce la faccio....
"@Dane:grazie.
Siamo tutti una grande famiglia,noi iscritti all'Enpals.
Compresi Benedetto XVI e il Mago Silvan..."
Bèh, il primo è un uomo di spettacolo strepitoso, sarei lieto di pagare la sua pensione con parte dei miei contributi....hai visto il pezzo di cabaret sull'Educazione sessuale nelle scuole?! Puro gramelot di fine ottocento....
@ dane: La generazione dei novanta, pur non così profonda, era comunque da leccarsi i baffi per qualità e quantità, e Myers ne era l'uomo copertina, sebbene non il più forte (il fuoriclasse era ovviamente Gregorio I di Slovenia).
Non che questo basti per lo status di fenomeno, che l'anglo-romagnolo non era, però si parla pur sempre di una delle migliori guardie di Eurolandia del periodo.
Quella era una nazionale che si poteva permettere di non prendere neppure in considerazione (e senza che ci fossero polemiche per questo) un Gentile a fine carriera, ma ancora uomo importante nel Pana, gente come Boni ed Enzo Esposito... oggi credo si farebbero ponti d'oro a un veterano come Basile perché accetti la convocazione.
Chad, che negli anni 90 ci si potesse leccare i baffi (soprattutto rispetto ad oggi) siamo ovviamente d'accordo, ma è il paragone con l'Olimpo degli anni 70-80 che non regge. Anche Kakà e Messi sono numeri 10 da leccarsi i baffi, Maradona e Zico era un'altra cosa... ;-)
Per quanto riguarda una delle miglior guardie di Eurolandia, non ho abbastanza competenza e fosforo per dare una valutazione rispetto ai colleghi d'epoca, ma che il Celentano Nero si eclissasse negli hot-moment è purtroppo un fatto... :-/
@Chad quella squadra lasciava a casa pure Pittis....
@Dane per carità il concetto è chiaro e la risposta di Simone era già illuminante
Quanto a Myers, non l'ho mai amato molto ma lo scudetto Fortitudo e l'oro e Argento europeo azzurro 99-97 portano (anche) la sua firma da (co)protagonista
Francesco, non intendevo dare lezioni a nessuno (sul basket poi, figurati....), chiacchieravo con Chad e rispondevo per non far la figura di quello che non aveva capito il reale valore di quel ciclo degli anni 90.
Per quanto riguarda il riminese, la qualifica di CO-protagonista è perfetta e rende l'idea: uno che giocava bene quando le cose andavano bene, il primo a perdersi quando le cose si mettevano male.
Il siparietto col figlio dopo l'Europeo azzurro semplicemente patetico....
@Skinn68:thanks!
@Nanomelmoso:grazie.
Se non erro guardai Grenoble su Tmc...
@Un gobbo:ho conservato come una reliquia il Giganti di quella finale di Coppa.
C'è una lettera di un tifoso canturino che,ironizzando sui milanesi,scrive che le proteste di Peterson erano fondate.
L'allora Billy era una squadra vecchia e al tramonto,mentre la Ford con i vari Riva e Bosa rappresentava il futuro...
Nostradamus al contrario.
Di quella formazione,una riga per sottolineare la grandeur difensiva di Jim Brewer,maestoso nella help and recover come suggeritore.
@Silvano65:graazie...
La mossa del ritorno di Dan è anche pubblicitaria.
Ma avendo appena visto Siena in Eurolega(bruttina e punita dell'ex Thornton)potrebbe pagare dividendi interessanti già in Coppa Italia.
@Chad Palomino:si,l'airone di Kranj è stato l'esponente migliore della generazione che fece il bis in Francia.
Polivalente,ambidestro negli ultimi metri e atipico.
Un quattro con il gioco da tre e l'altezza di un cinque.
@Francesco74,Dane:Myers fu la prima guardia tiratrice italiana di chiara ispirazione americana.
Come movenze e chassis.
La sindrome del mattatore l'ha talvolta penalizzato,però ha avuto la sfortuna di sbattere contro la mistica dell'unica portaerei tricolore che raccolse,in parte,l'eredità dell'Olimpia petersoniana.
La Virtus di Messina.
L'aspetto più affascinante dei biancogialli di B16 è il silenzio tombale sull'attualità.
La merda,la pedofilia,le menzogne,la putrefazione morale,la mutazione criminale avvenuta.
I genitali come luogo del pensiero unico.
Silenti,aspettando le prossime simonie.
@Stefano Olivari:oggi è il giorno.
Nel 1892,il 20 Gennaio,James Naismith sperimentò,in via ufficiale,il suo gioco da palestra.
Non smetteremo mai di ringraziare lui e Phog Allen,creatori e promotori di uno sport che incarna la modernità e la creatività.
P.s.
giusta la considerazione sull'italianizzazione di D'Antoni.
Simone, hai descritto perfettamente in due parole le caratteristiche di Myers. E' il motivo per cui me ne innamorai ad inizio carriera. Poi mi deluse per i motivi che ho detto, al netto del valore degli avversari... ;-)
Ragazzi, è morto Brumatti!...
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